Riforma Moratti: primo commento alla “nuova” proposta di riforma dei cicli.

“Manifesto dei 500 insegnanti e genitori per il ritiro della riforma dei cicli e la difesa della scuola pubblica”

Riforma Moratti: un piano minuzioso di distruzione della scuola pubblica

Primo commento alle “nuove” proposte di riforma dei cicli

Un’enorme confusione regna nel Paese: nel giro di qualche settimana ben tre proposte di “riforma” sono state presentate: il documento della commissione Bertagna, i risultati degli Stati Generali, la prima ipotesi di Legge Delega del governo. Ora si attende la quarta proposta, la Legge Delega definitiva. I giornali e la televisione hanno parlato di “scuole elementari e medie salvate”, di “licei”, di “diplomi per tutti a 18 anni”… Se così fosse, ci troveremmo di fronte a qualcosa di radicalmente diverso dalla “riforma” Berlinguer-De Mauro e, almeno per questi aspetti, non potremmo che essere contenti… Ma le cose stanno veramente in questo modo? Che cosa si nasconde dietro questi slogan? Quale scuola ci preparano e ci propongono la Moratti e il suo staff?

Il “Manifesto dei 500” ha sempre cercato di seguire un metodo: basarsi sull’analisi diretta dei documenti e dei fatti prima di prendere delle decisioni o delle iniziative. Di fronte a questa situazione estremamente confusa è necessario attenersi più che mai ai fatti certi, cioè ai documenti, per cercare di comprendere qualcosa. L’obiettivo di questo dossier è quindi quello di portare a conoscenza di più persone possibile i progetti del governo, partendo dall’analisi di quanto è stato scritto. A tutti gli insegnanti e a tutti genitori rivolgiamo il nostro invito: leggete questo dossier con le citazioni esatte dei testi ministeriali e fatevi voi stessi un’opinione. Sarà così possibile rispondere ancora una volta alla domanda: non è più giusta che mai la posizione del “Manifesto dei 500” che si batte per il ritiro integrale della legge, all’interno della lotta più generale di difesa della scuola pubblica?
Non è più urgente che mai mettere da parte le differenze di opinione sul futuro della scuola e sul suo sviluppo per cercare di unirsi nel fermare una vera e propria opera di distruzione delle fondamenta della scuola?

Il gruppo organizzativo del “Manifesto dei 500”


Di che cosa si sta discutendo in queste settimane?

Il Ministero dell’Istruzione (non più chiamato “della Pubblica Istruzione”, ci sembra già significativo) ha incaricato, con decreto ministeriale del 18/7/01, un Gruppo Ristretto di Lavoro (d’ora in avanti lo chiameremo GRL) allo scopo di “fornire concreti riscontri per un nuovo piano di attuazione della riforma degli ordinamenti scolastici, ovvero per le eventuali modifiche da apportare alla legge 30 del 10/2/00 (riforma dei cicli) “.
Il GRL era presieduto dal prof. Bertagna, dell’Università di Bergamo. Il 28 novembre 2001 il GRL ha consegnato il suo documento. Sulla base di questo documento, il ministro ha presentato una bozza di Legge Delega (LD) che, nel momento in cui scriviamo, non è ancora stata adottata in modo definitivo dal governo, ma costituisce comunque la base su cui si stanno elaborando alcune variazioni. Che si tratti dell’applicazione della “riforma dei cicli”, del documento Bertagna o della Legge Delega, le domande a cui tutti sono confrontati sono: che cosa cambia? Qual è la sostanza di quello che si prepara? Per comprenderlo analizzeremo i passi fondamentali dei due documenti.

Analisi del documento della commissione Bertagna

Un “nuovo” concetto di scuola: la scuola “volontaria” Il 23 luglio del 1999, l’allora ministro della Pubblica istruzione, Berlinguer, dichiarava alla Camera:
“Stiamo lentamente superando il concetto di obbligo che fa parte di una fase della nostra storia quando si trattava di alfabetizzare la popolazione (…) Oggi per noi il concetto di obbligo diventa un diritto del soggetto e un obbligo dello Stato. Stiamo capovolgendo questa impostazione. Si tratta di un altro elemento di alta pregnanza culturale che non si può immiserire di fronte al problema dei nove o dieci anni”.
(tratto dal verbale integrale della seduta). Berlinguer può dormire sonni tranquilli: nel progetto del GRL e della Moratti, in effetti, il suo “nuovo” concetto di obbligo non viene per nulla “immiserito”, anzi… Tutti possono giudicare: “Il concetto di obbligo scolastico, nato tra il ‘700 e l’800, sembra essere giunto al termine della sua luminosa parabola. (…) La legge costituzionale 18/10/01 (votata dal centro-sinistra) (…) r
estituendo a legislazione esclusiva regionale l’istruzione e la formazione professionale e, in secondo luogo, affidando tutta l’istruzione a legislazione concorrente regionale, rende, ad esempio, impossibile pensare ancora che l’obbligo scolastico si possa o si debba soddisfare solo in scuole governate e gestite dallo Stato” (…) In questa prospettiva, il GRL ritiene opportuno ragionare non più, come si è fatto finora, in termini di obbligo scolastico e obbligo formativo, bensì di diritto ad esperienze educative organizzate di istruzione e di formazione fino alla maggiore età (…) L’attenzione si sposta, dunque, dai luoghi di istruzione (scuola) e della formazione (centri, agenzie, servizi, imprese) alla certificazione delle competenze finali che si possono e si debbono maturare in un ambiente piuttosto che in un altro (…) certificazione delle competenze che proprio per la sua natura rifugge da ogni esclusività di percorso e, più che consentire, favorisce i passaggi tra un indirizzo e l’altro del sistema educativo di istruzione e formazione
(non ricorda vagamente le “passerelle” di Berlinguer-De Mauro?) (…) Le tradizionali alternative tra scuola (statale) e centri della formazione professionale (regionali o non statali), tra scuola e impresa, tra scuola ed extra scuola perdono, perciò, la loro drammaticità (…) Si aprono, al contrario, le prospettive di una solidarietà cooperativa tra tutte le esperienze e i luoghi formativi nei quali si possono raggiungere livelli di maturazione educativa, culturale e professionale, (…) indipendentemente dal fatto che siano statali, regionali o di enti e privati (accreditati)” (testo del GRL). Parole sconcertanti, certo, ma fin qui, si potrebbe obiettare, solo parole… Vediamo allora le proposte concrete per metterle in pratica

La scuola “fai da te”. Si arriva così a definire una scuola che, in nome dell’ ”
esigenza della personalizzazione dei percorsi di apprendimento ha consigliato di prevedere itinerari didattici a tre velocità: (…) Un itinerario è quello obbligatorio per tutti (…) Un altro è facoltativo, meglio è obbligatoria la sua offerta da parte delle scuole riunite in rete, mentre è facoltativo, ovvero il frutto di una negoziazione cooperativa tra famiglia, studente e scuola, il suo consumo, nei modi e nei tempi adatti a ciascuno. L’ultimo non finge che la scuola sia l’unico ambiente di apprendimento esistente nel sociale”.
A proposito di quest’ultimo si specifica: “Proprio l’esperienza dei Paesi più industrializzati del mondo, inoltre, insegna che questo obiettivo è difficilmente raggiungibile prevedendo percorsi formativi esclusivamente o soprattutto a tempo pieno. Occorre potenziare quelli in alternanza scuola-lavoro (…)”. (GRL)
Sappiamo dove hanno portato queste teorie in paesi come la Francia, dove, dalla primavera scorsa, il lavoro infantile è stato reintrodotto per legge a 13 anni! Vedremo tra breve dove si vogliono portare anche i nostri ragazzi… Riassumendo: per tutti gli ordini di scuola (elementari comprese) esisterà un piano di studi obbligatorio che si svolgerà a scuola e che comprenderà un programma molto ridotto rispetto ad oggi; un piano di studi facoltativo (Laboratori) e una terza parte che si potrà svolgere a scuola, a casa, in centri regionali o locali, nelle imprese, nei supermercati… Il concetto di scuola viene stravolto, gli obblighi dello Stato annullati, i diritti all’uguaglianza dei cittadini colpiti duramente. La privatizzazione della scuola pubblica, il finanziamento di quella privata e delle imprese che daranno “offerte formative” sono serviti.

Approfondiamo i tre percorsi dell'”istruzione”
E’ interessante notare che quando il GRL elenca i tre percorsi formativi del ragazzo mette al primo posto non quello della scuola obbligatoria (cosa che sarebbe stata normale, se non altro perché si tratta di un documento sulla scuola e sulla sua “riforma”), né quello dei laboratori facoltativi, ma quello cosiddetto “informale”: “Il primo percorso è quello di responsabilità della famiglia e delle altre istituzioni sociali. Con appositi incentivi ed interventi, si tratta di creare le condizioni perché genitori, mass-media, attori sociali, imprese, enti locali, centri culturali, imprenditoriali del tempo libero ecc:, possano diventare risorsa culturale ed educativa per gli allievi, e si facciano sempre più carico della loro maturazione”. Tanto per iniziare, dunque, non è la scuola che deve svolgere un compito, ma altri… e questo anche per gli obiettivi specifici della scuola, compresi quelli fondamentali:
“Molte dimensioni esplicitate nei profili terminali e confluite negli obiettivi specifici di apprendimento, perciò, possono benissimo, in molti casi, attraverso progetti educativi integrati, essere acquisite dagli allievi anche in ambienti extra-scolastici. La scuola, in questo senso, certifica il raggiungimento di risultati finali ed esonera, per gli aspetti che lo consentono, dai percorsi scolastici facoltativi, ritenuti necessari per raggiungerli. Sembra ragionevole attribuire sempre maggiore importanza a questi percorso a mano a mano si sale nell’età evolutiva”.

Quindi, questa scuola “informale” non si connota come una cosa vaga e, in un certo senso, scontata (le persone apprendono non solo a scuola, non ci voleva un ex-petroliere per capirlo), ma come un vero e proprio sostituto della scuola ordinaria: si prevede che materie come le lingue straniere, la musica, l’educazione fisica, l’informatica, la storia dell’arte, si possano apprendere anche fuori dalla scuola, ogni ragazzo per conto suo. Anche a casa propria, al limite, o in corsi privati, in stages di ditte commerciali… Queste materie, infatti , rientrano tra quelle “facoltative”, come vedremo tra breve…

Il “secondo” livello: la scuola “normale” “Il secondo percorso è quello obbligatorio per tutti, di responsabilità delle istituzioni del sistema educativo di istruzione (…)”. In questo secondo percorso “il numero delle ore annuali di lezione assicurate a tutti, nell’ipotesi che proponiamo alla discussione, è di
825 annuali (25 ore settimanali)”.
Ma già qui c’è una distinzione: “la distinzione tra quota nazionale e locale di tale monte ore; nella nostra ipotesi, 20 ore settimanali (660 annuali) a quota nazionale e 5 a quota locale”. Come detto e come vedremo tra breve, da queste 20 ore sono escluse informatica, attività motorie e sportive, attività espressive, attività di progettazione…

E finalmente: i Laboratori. Lasciamo parlare il testo del GRL perché è più che sufficiente:
“Il terzo percorso disponibile per realizzare il profilo educativo, culturale e professionale terminale e gli obiettivi specifici di apprendimento di cui ai punti precedenti è quello facoltativo, da 0 a 300 ore annuali. Le scuole comprensive e le reti di scuole sono obbligate ad istituirlo nel territorio, ma gli allievi e le famiglie decidono se , quando, come e in quale scuola lo vogliono usufruire, anche tenendo conto di una negoziazione educativa da loro stipulata con i docenti dei figli. (…) E’ il percorso che, in mancanza di meglio
(!!!) abbiamo chiamato dei Laboratori: Informatica, Attività motorie e sportive, Attività espressive (musica, pittura, disegno, teatro, fotografia, cinema…), Lingue, Attività di progettazione (di artefatti manuali o simbolici, di interventi di azione sociale, di soluzioni produttive e gestionali, di stages aziendali, del proprio progetto di vita, professionale e no, ecc…)”. Alla discussione ogni commento… Proseguiamo:
“Mentre il percorso obbligatorio si regge organizzativamente sulla dimensione dell’istituto e della classe, il percorso facoltativo si sposta sulla dimensione della rete territoriale e dei gruppi (di livello, di compito, di elezione) (…) Inutile predisporre due Laboratori di attività motorie o espressive in istituzioni scolastiche vicine (dell’istruzione primaria o secondaria poco importa), magari senza poter offrire il meglio in termini di risorse, competenza professionale dei docenti e servizi, quando invece è sufficiente che i ragazzi dell’una scuola vadano nell’altra per trovare organizzato un servizio di eccellenza competitiva”.
Certo, “inutile”: specialmente se il Laboratorio è facoltativo e se le “competenze” si possono raggiungere anche altrove, come spiegato nel “percorso uno”. Infine, fatto gravissimo, “oltre le 300 ore annuali le famiglie devono pagare il servizio nella misura stabilita dalle istituzioni scolastiche”.

Se proprio non potete farne a meno, venite a scuola…

Non si può dire che non siano stati chiari… Al primo posto ci sarà tutto quello che non è scuola; tutto ciò che potrà sostituire la scuola sarà benaccetto; poi verranno gli insegnamenti minimi, offerti con orari e programmi ridotti; infine quelli “facoltativi”, non solo a scelta, ma anche sostituibili con esperienze personali esterne. La scuola vera e propria sarà “riservata” a tutti quelli che non potranno permettersi altro, ma in ogni caso il governo parla chiaro: veniteci solo se non potete farne a meno. E’ a partire da questo quadro generale che si può cominciare ad affrontare il problema della divisione degli anni, dell’esistenza della scuola elementare, della media, dei licei, degli istituti, dei diplomi, del Tempo pieno ecc.

Una strana scuola elementare di cinque anni organizzata per … bienni! Ad una prima lettura del documento ministeriale si scopre che la proposta del GRL prevede
“una iniziale distinzione”
tra 5 anni di scuola elementare e 3 di medie. Ma con un po’ di pazienza e proseguendo nella lettura del documento si comprende subito dove si vuole arrivare: “introducendo al contempo elementi di dinamismo e cambiamento finalizzati via via a superarla (riferito alla distinzione tra elementari medie) “. L’obiettivo dichiarato, quindi, è quello di “superare”, cioè abrogare, la distinzione tra elementari e medie. Vediamo come. Tutti hanno letto sui giornali che questa scuola “elementare” sarebbe organizzata per bienni. Come è possibile, visto che si tratta di cinque anni?
“La soluzione è quella di generalizzare l’esperienza degli istituti comprensivi, promuovendo un piano di studi unitario, continuo e progressivo, articolato altresì in cicli biennali (…) nell’auspicio che si venga a determinare, col tempo, una sempre più efficace saldatura tra i due itinerari, che permetta di arrivare alla loro unificazione in un ciclo di scuola di base di 8 anni”.
Facciamo il punto: la prospettiva è quella di unificare le elementari e le medie in un’unica scuola di otto anni, generalizzando su tutto il territorio gli Istituti Comprensivi, fondendo i collegi docenti, mescolando le professionalità e le cattedre e organizzando il tutto per bienni.

Ma, sullo sfondo, un’altra prospettiva si apre: dove l’abbiamo già vista? In un secondo momento, nel paragrafo “Prospettive”, il GRL
“auspica si possa pervenire, in tempi ragionevoli, a due cicli di 6 anni ciascuno, frutto appunto, della saldatura, da una parte, tra l’ultimo anno della scuola primaria e il primo della secondaria di primo grado e, dall’altro, tra l’ultimo biennio di quest’ultima e il ciclo quadriennale della scuola secondaria di secondo grado, L’organizzazione in cicli biennali è fatta apposta per operare questa eventuale transizione da una soluzione immediata, che tenga conto degli eventuali vincoli della realtà di fatto, a una che, via via che il sistema scolastico si assesta, si riorganizza, migliora la propria funzionalità ed efficacia, si riveli più conforme alle nuove esigenze”.
Due cicli di 6 anni ciascuno? E’ paradossale che questa fosse esattamente la prima proposta di “riforma dei cicli” del documento di Berlinguer del gennaio 1997, che parlava testualmente di
“un ciclo primario di sei anni, suddiviso in tre bienni, complessivamente sostitutivo delle attuali elementari e dei primi due anni della scuola media”.
E’ impressionante la similitudine dei due progetti: altro che “scuola elementare salvata”, alla fine si propone di ridurla di nuovo a 4 anni!

“Generalizzare gli Istituti comprensivi”: chi l’aveva già consigliato?

Questa “nuova” riforma riprende una formula identica usata da Berlinguer-De Mauro che parlavano di cominciare ad attuare la “riforma” partendo dagli istituti comprensivi nell’ottica di un unico curricolo. Non solo: già nel 1998 Berlinguer scriveva espressamente che gli Istituti Comprensivi dovevano anticipare la “riforma” e che dovevano essere diffusi proprio per questo: ci sembra logico che la Moratti abbia ringraziato in Parlamento il centro-sinistra per quello che ha fatto e per le prospettive che ha aperto! Dal nostro punto di vista, invece, un problema serio si pone: quale bilancio si può fare, complessivamente e al di là dei casi specifici, di queste fusioni tra elementari e medie? Che cosa significa “generalizzare” questa esperienza, se non che si renderebbe necessario un nuovo dimensionamento scolastico e la frantumazione dei collegi docenti esistenti, con tutti quei disagi già provati negli anni passati che si vedrebbero moltiplicati?

Approfondiamo l’organizzazione di queste scuole “elementari” e medie… Vediamo come sarebbe organizzata la scuola elementare:
“Si conferma l’opportunità di identificare sempre, in ogni gruppo docente di classe, un docente coordinatore. Tale docente sarà anche temporalmente prevalente nel primo biennio (21 ore di insegnamento frontale in una classe e 3 delle sue ore di servizio dedicate al coordinamento dell’equipe pedagogica della classe stessa, composta a volta a volta da qualche docente dei Laboratori oltre che, eventualmente, da qualche docente di Religione cattolica e di Sostegno). L’insegnamento frontale del docente coordinatore di una classe scenderà fino ad un minimo di 15 ore nel secondo biennio, per cui sarà affiancato da un altro docente, oltre che dai membri che insegneranno anche nei Laboratori, dai maestri di Religione cattolica e di Sostegno. In V, infine, (…) il docente coordinatore dividerà le 25 ore settimanali obbligatorie di insegnamento frontale con altri due colleghi (Lingua, Matematica e Scienze, Storia, Geografia e Studi Sociali)”.

Scuola elementare? Tempo Pieno?
Da tutto questo e da quanto detto precedentemente sui Laboratori si evince che: 1) il Tempo Pieno delle elementari è abolito; 2) le 27-30 ore settimanali di insegnamento dei moduli vengono ridotte a 25, con l’esclusione di musica, ed. motoria, ed. all’immagine e lingua straniera (ma in realtà le ore saranno 20 nazionali e 5 regionali: Nelle 20 nazionali vanno poi conteggiate le ore di Religione…). 3) si formerebbero insegnanti di serie “A” ai quali viene data una classe e viene affidato il compito di “coordinare” gli altri di serie “B”, ai quali vengono assegnate meno ore facoltative (Laboratori); 4)
alcune materie si faranno in istituti diversi da quelli di appartenenza (anzi, come si potrà ancora parlare di “istituto di appartenenza”?), con spostamenti, entrate-uscite, disagi… Ma non è tutto: i genitori che vorranno lasciare i bambini a scuola oltre l’orario normale e oltre quello dei Laboratori facoltativi potranno farlo, come abbiamo visto,… pagando (vedere punto sui Laboratori)! Non solo il Tempo Pieno viene distrutto nella sua valenza educativa, nel rapporto insegnanti-classe; non solo i programmi della scuola elementare vengono amputati di quattro materie (musica, ed. motoria, immagine, lingua straniera), ma persino il servizio sociale rappresentato dal Tempo pieno viene distrutto: la scuola, per chi non può permettersi corsi esterni, baby sitter, scuole private ecc., diventa a pagamento. E questa sarebbe la scuola elementare?

Scuola media?
“Anche nella scuola media, come nella primaria, va formalizzata la responsabilità del docente coordinatore di classe, incaricato non solo, se della classe 1^, di partecipare alle attività di programmazione-valutazione della V elementare di riferimento, ma, in particolare, di garantire un adeguato tutorato agli allievi e alle famiglie in ordine alla composizione integrata dei percorsi obbligatori, facoltativi ed extra-scolastici, utilizzabili per concretizzare il profilo educativo, culturale e professionale terminale e gli obiettivi specifici di apprendimento dettati per la 1^ e la 3^ media”.
Anche alle medie esisterebbe quindi un insegnante prevalente e “coordinatore” degli altri , incaricato, tra l’altro, di valutare allievi non suoi, e cioè quelli che frequentano la quinta. Questo insegnante prevalente dovrebbe poi occuparsi di indirizzare gli allievi verso i corsi esterni e/o facoltativi e di “supportare” le famiglie in questa scelta. Anche qui, intere materie come lingua straniera, musica, educazione artistica, educazione fisica diventerebbero facoltative, da svolgersi nei Laboratori o, in alternativa, in qualunque altro luogo.

Tra le righe c’è qualcosa di molto più preoccupante: i bambini al lavoro attraverso la scuola Leggiamo con attenzione:
“(…) L’ultimo biennio della scuola secondaria di I grado è unico per tutti gli allievi, ma deve essere orientativo e consentire a ciascuno, attraverso moduli didattici specifici, incontri con docenti e allievi dell’istruzione e della formazione secondaria di II grado ecc, di poter anche sperimentare forme e contenuti tipici dell’apprendimento e della esperienza formativa dei diversi indirizzi di studio successivi”.
Le “forme e i contenuti tipici” degli anni successivi sono una cosa molto semplice, come vedremo nei capitoli della scuola superiore: l’avvio al lavoro, l’alternanza scuola lavoro, le esperienze di formazione in fabbrica… Attenzione: in questo caso stiamo parlando di ragazzi di 12-13 anni: con questo paragrafo il governo Berlusconi, il ministro Moratti e gli “esperti” del GRL prevedono di inviare al lavoro, attraverso la scuola e con il pretesto della formazione, bambini di 12-13 anni. Già il piano di applicazione della riforma Berlinguer prevedeva
“percorsi individualizzati per quei ragazzi che intendono uscire dal sistema scolastico e accedere alla formazione professionale e all’apprendistato”.
Questi percorsi “individualizzati”, da svolgersi in stretto rapporto con l’istruzione professionale, dovevano avere la durata di 100 ore. La “nuova” versione della Moratti assume lo stesso concetto, lo rende più esplicito e prevede per questo tipo di attività… 300 ore all’anno! Costretto ad usare toni più sfumati, il DDL non riprende testualmente questa prospettiva del GRL. Ma non si inserisce forse nella stessa direzione quando dice che la scuola media “sviluppa progressivamente (…) le capacità di scelta individuali fornendo strumenti adeguati alla prosecuzione delle attività di istruzione e formazione”
? Per avere gli “strumenti” della “scelta individuale” tra istruzione e formazione, non si tratta forse di far provare proprio i percorsi della formazione, cioè il lavoro? A tal proposito ricordiamo che progetti di avvio al lavoro di ragazzi di 12 anni sono già funzionanti in lacune zone del Paese, il tutto in nome dell’Autonomia Scolastica.

Che cosa si insegnerà nella scuola “elementare” e in quella “media”? Uno dei problemi maggiori della “riforma” dei cicli Berlinguer-De Mauro era l’eliminazione di intere materie o parti di programma. Per esempio, la storia, la geografia e le scienze sparivano dai curricoli fino alla classe quinta, mentre un ragazzo sarebbe andato alle superiori senza aver studiato nemmeno una volta l’800 e il ‘900. Vediamo che cosa comporta la “nuova” proposta.
“Poiché si tratta di preparare il terreno ad un’organizzazione del sapere critico fondata sulle discipline, la scuola primaria presenta piani di studio che si aprono esplicitamente a queste ultime solo nell’ultimo anno”.
Ancora una volta, quindi, in perfetta continuità con la “riforma” Berlinguer, la storia, la geografia e le scienze vengono rimandate a 10-11 anni, perdendo così due anni rispetto ad oggi. D’altra parte, il GRL scrive che il compito della scuola elementare è “aiutare gli allievi a rendere esplicite le conoscenze e le pratiche implicite assorbite dalle prassi familiari, ambientali e sociali in cui vivono”.
Semplicemente aberrante: la scuola elementare avrebbe quindi il compito di “consolidare” i limiti e i problemi delle famiglie meno abbienti e degli ambienti sociali più svantaggiati? La scuola non dovrebbe servire proprio per il contrario, e cioè superare le differenze sociali e dare a tutti le stesse opportunità? La scuola non servirebbe più per imparare e “rompere” positivamente con l’ambiente sociale di provenienza, ma solo per “consolidare” conoscenze e pratiche acquisite in altri luoghi e precedentemente? L’apprendimento non fa più parte della scuola? Se a questo aggiungiamo che materie come musica, ed. all’immagine, ed. motoria e la stessa lingua straniera vengono confinate nella materie facoltative dei Laboratori, il quadro dell’impoverimento culturale è completo. Esso si riverserà sugli studi successivi, qualunque nome e indirizzo essi assumano…

Facciamo qualche conto: quante ore di scuola si perdono? Ripassiamo l’ipotesi Bertagna, unica ipotesi che al momento si esprima sulla questione oraria. 25 ore settimanali per le elementari al posto delle attuali 27-30 per i moduli e delle 40 di Tempo pieno. In un anno ci sarebbero circa 64 ore in meno in prima e seconda a modulo; 160 ore in meno per una terza-quarta-quinta a modulo; ben 480 ore in meno per un Tempo Pieno. Per le medie: 25 ore settimanali al posto delle attuali 30, per un totale di 160 ore annuali in meno. Ma non è tutto: a queste ore vanno tolte quelle che saranno “regionali” e che quindi non serviranno per raggiungere gli obiettivi nazionali (se ci saranno ancora). Le conclusioni le lasciamo al lettore: si può parlare di scuola elementare e media? Quale abbassamento culturale comporterà tutto ciò? Come qualificare un sistema che rende facoltative intere materie, sposta in quinta il primo approccio con la storia, la geografia e le scienze, prevede il pagamento di una parte dell’orario attuale? Che cosa dire di una scuola che prevede la possibilità di non essere frequentata, o frequentata in parte, o, ancora, frequentata in alternanza con altre “agenzie”?

La scuola materna (dell’infanzia) e la distruzione dell’obbligo scolastico La proposta Bertagna-Moratti, come la legge dei cicli di Berlinguer, non prevede alcun obbligo di frequenza per la scuola materna. Tuttavia si prevede che la frequenza di tutti e tre gli anni di scuola dell’infanzia possa essere considerata come un credito al fine del soddisfacimento del “diritto-dovere”
di frequentare almeno 12 anni di istruzione-formazione. Si è commentata anche ironicamente questa novità (perché non considerare valido anche il nido? E i corsi pre-parto, ha detto qualcuno, potrebbero valere anche per la madre, almeno per l’età pensionabile?…). Cerchiamo però di comprendere che cosa succederebbe nei fatti. La legge prevede che l’obbligo formativo sia di 12 anni. Ma l'”obbligo formativo” (introdotto da Berlinguer) non ha nulla a che vedere con l’obbligo scolastico, poiché si può adempiere anche lavorando nell’apprendistato. Nei fatti, l'”obbligo formativo” è la copertura, nemmeno troppo mascherata, dello sfruttamento dei giovani con salari ridotti e al di fuori dei contratti nazionali, che vengono messi in concorrenza con gli adulti (i loro padri), con facilitazioni per le imprese. “Abbuonare” un anno di “obbligo formativo” vuol dire semplicemente che i ragazzi potranno cercarsi un contratto regolare un anno prima. Quello che in realtà nasconde la “nuova” legge è ben più grave e riguarda l’obbligo vero e proprio, oggi fissato a 15 anni. Ma questo non dipende dalla norma sul “bonus” della scuola materna… La “nuova” legge non sembra, a prima vista, intaccare questo tetto, ma, introducendo il principio che dalla fine della scuola media (14 anni) l’obbligo formativo si può assolvere anche nell’alternanza scuola-lavoro e nell’apprendistato, il limite dei 15 anni viene abolito nei fatti e dai 14 anni si potrà andare a lavorare. Le formule (“obbligo formativo”, “obbligo scolastico”, quest’ultimo mai nominato) servono solo per confondere le idee… In pratica: mentre oggi i ragazzi devono frequentare una scuola fino a 15 anni, domani potrebbero “aggirare” il problema a 14 con l’apprendistato che rientra nella formazione.

La scuola secondaria di II grado Nella legge dei cicli tutti gli indirizzi delle scuole superiori si chiamavano “licei”, anche se nei fatti quelli attuali venivano distrutti (e questo per due motivi: l’ingresso anticipato degli allievi dovuto al taglio di un anno nella scuola elementare-media e il ridimensionamento dei programmi, conseguenza di questo taglio); la “nuova” proposta del GRL divide la scuola superiore in tre fasce. La prima fascia è quella dei licei, chiamata “istruzione secondaria”. La seconda fascia è quella della “formazione secondaria”. La terza, quella della “formazione in alternanza”. Rimandiamo per il momento il discorso sui “licei” alla sezione sulla legge delega, poiché la struttura generale del GRL, inizialmente di quattro anni, è stata cambiata. Analizziamo invece il discorso della formazione secondaria e della formazione in alternanza, le cui fondamenta rimangono invariate.

La distruzione degli istituti tecnici e professionali Il vero punto centrale della “riforma” è quello che riguarda il sistema dell’istruzione e della formazione professionale, cioè la scuola secondaria al di fuori dei licei. Si tratta del punto più importante perché nei fatti gli attuali istituti tecnici e professionali verrebbero liquidati: i primi sparirebbero (il liceo tecnologico non può essere paragonato all’Istituto Tecnico perché non dà alcun titolo valido nel mondo del lavoro, come geometra, ragioniere, perito); i secondi diventerebbero regionali e nei fatti sarebbero semplicemente uno strumento per sfruttare i giovani nelle ditte e nelle imprese private, con il pretesto della formazione, in modo gratuito. Il sistema dell’istruzione e della formazione professionale, infatti, prevede sia il lavoro dei giovani attraverso stages, periodi di prestito alle imprese ecc (
“esercitazioni pratiche, esperienze formative e stage realizzati anche con periodi di inserimento nelle realtà culturali, sociali, produttive, professionali e dei servizi”
), sia direttamente in sostituzione della scuola con la cosiddetta “alternanza scuola lavoro”.

L’alternanza scuola-lavoro: una forma di sfruttamento che ricade su tutti i lavoratori Per “alternanza scuola-lavoro” si intende che il giovane andrebbe a lavorare presso ditte, fabbriche e imprese con il pretesto della formazione e con un obbligo di seguire dei corsi oltre a lavorare (circa 400 ore di corsi e il resto di lavoro e “apprendimento” in azienda). Il giovane percepirebbe uno stipendio:
“I salari sono ovviamente da rinegoziare, sia per l’aumentato livello della formazione esterna, sia perché è la stessa azienda che li struttura come ambiente formativo (…) Sviluppando i primi segnali peraltro già contenuti nel Libro Bianco, bisogna quindi ipotizzare l’adozione di appositi incentivi per le aziende disponibili a praticare questo genere di esperienza”.
E quale azienda non sarà disponibile a “praticare questo genere di esperienza”?, visto che potrà sostituire manodopera regolarmente stipendiata (i padri dei giovani in questione) con ragazzi liquidabili al termine della formazione, sottopagati, e per i quali i datori di lavoro riceveranno pure degli incentivi (incentivi, detto “en passant”, che toglieranno altri soldi alle casse dello Stato, il quale Stato dovrà poi tagliare sulla Sanità pubblica, sulle pensioni, sulla scuola, sulle ferrovie, sulla sicurezza…) Ma non è tutto:
“I titoli acquisiti attraverso l’alternanza scuola-lavoro sono identici a quelli acquisiti nei percorsi d’aula a tempo pieno”.
In pratica, frequentare una scuola vera (o meglio, quello che resterebbe di una scuola vera), con materie come italiano, storia, geografia, scienze, matematica…, avrebbe lo stesso valore che lavorare e frequentare qualche corso gestito dalle imprese. Piccolo particolare: fornendo un “salario” al giovane questo tipo di “formazione” attirerebbe molta più gente, svuotando così i corsi tradizionali e abbassando paurosamente il livello culturale dei ragazzi. Un’ultima notazione su questo punto: il riferimento al Libro Bianco. Questo documento, presentato dal Ministro del Lavoro Maroni, dice apertamente che bisogna distruggere i contratti nazionali, rendere precari tutti i lavori, regionalizzare la contrattazione…

Da chi verrebbe gestita la “formazione secondaria”? Ovvero: la regionalizzazione e la privatizzazione totale della scuola
Il documento del GRL e la bozza di Legge Delega fanno continuo riferimento, come abbiamo visto, alla recente revisione della Costituzione che dà poteri alle Regioni per tutta una serie di materie, tra le quali si trova l’istruzione e in particolare la formazione. Questa legge, in nome del principio di sussidiarietà, impegna le Regioni a dare ai privati più servizi possibile. D’altra parte, già l’art. 68 c. 1 della legge 144/99 “istituendo l’obbligo di frequenza di attività formative fino al compimento del 18° anno di età”, parla di “sistema della “formazione professionale regionale” come uno dei percorsi all’interno dei quali il giovane può espletare tale obbligo”. Nel quadro di queste due leggi, volute e votate dal centro-sinistra, si colloca ora questa proposta di “nuova” riforma e tutta l’impalcatura qui descritta sulla formazione.

Gli indirizzi dell’istruzione e formazione professionale
Ricordiamo brevemente gli indirizzi e l’organizzazione (alquanto macchinosa) della “formazione secondaria”. Secondo il documento Bertagna gli indirizzi sarebbero 10 (la Legge Delega non parla invece, al momento, di indirizzi): agricolo/ambientale; tessile/sistema moda; grafica/multimediale; chimica/biologia; meccanica; elettrica/elettronica/informatica; edile e del territorio; turistico/alberghiera; aziendale/amministrativo; sociale/sanitario. Semplificando: si potrà ottenere una “Qualifica” o un “Diploma” in ognuno di questi settori; la “Qualifica” si potrà ottenere dopo tre anni (o quattro, se all’interno del sistema di alternanza scuola-lavoro); il “Diploma” dopo quattro anni.

La questione dei diplomi
Il documento del GRL ripete in modo quasi ossessivo la parola “diploma” e la parola “qualifica”, sostenendo che alla fine di questo percorso (così come di quello della “formazione in alternanza” di cui parleremo tra breve) verrebbero rilasciati dei diplomi e delle qualifiche validi nel mondo del lavoro… E’ risaputo che una delle critiche più importanti alla “riforma” Berlinguer era proprio l’abolizione dei titoli di studio con valore legale: forse per questo la commissione insiste tanto nel ricordare che questa “nuova” legge rilascerebbe fior di diplomi, ma…

Quale valore avrebbero i titoli rilasciati? In effetti, il valore di un titolo non è dato dal fatto di chiamarsi “diploma”, “qualifica” o quant’altro… Qualunque scuola privata, corso per barman, intrattenitore, volontario, parrucchiera o prestigiatore rilascia un titolo. Peccato che il suo valore legale sia praticamente pari a zero e che nessuno possa rivendicare alcunché con quel titolo (né un livello salariale, né un contratto nazionale, né un mansionario…). Ben sapendo tutto ciò, il GRL e il ministro hanno scritto 80 pagine cercando di nascondere la verità, citando a iosa le parole “diploma” e “qualifica” e mettendole sempre in rapporto con “mondo del lavoro”. Bisogna però avere pazienza e leggere il documento fino in fondo, o almeno fino al capitolo che riguarda la “formazione superiore”, cioè la formazione successiva alla “formazione secondaria” (sarà scritto tutto per confondere le idee?). In pratica, dopo aver conseguito il suo “diploma” e la sua “qualifica” il ragazzo potrebbe iscriversi a questa “formazione superiore”, a 18-19 anni. Ma perché iscriversi, visto che ha già un “diploma”?
Semplice: “I percorsi di formazione superiore distribuiti da 4 a 6 semestri hanno, per lo più, lo scopo specifico di permettere l’iscrizione agli albi professionali (…) Geometri, periti, figure infermieristiche non dirigenti e altre professioni contabili e ragionieristiche possono essere i più diretti interessati a questo tipo di prospettiva”. Il trucco è servito: oggi, a 19 anni, un perito può fare l’esame di Stato, iscriversi all’albo ed esercitare. Un geometra o un ragioniere devono fare “praticantato” per due anni e poi possono sostenere l’esame e iscriversi all’albo. Con la “riforma”, sia gli uni che gli altri dovrebbero iscriversi a corsi di tipo universitario, pagare tasse universitarie per tre anni prima di poter esercitare.

Le “novità” della proposta di Legge Delega

La prima “novità”: una “legge delega” per “riformare” la scuola Il governo sembra aver deciso: la riforma si farà per legge delega. Questo significa che il governo presenterà una proposta molto “snella” che il Parlamento dovrà discutere e approvare velocemente. Questa proposta “snella” conterrà appunto la delega al governo perché proceda poi, in proprio, a completare la legge con i regolamenti attuativi, i programmi, gli orari, l’organizzazione vera e propria ecc. Il tutto verrebbe varato attraverso la formula del Decreto del Presidente della Repubblica, scritto dal governo e per il quale non è previsto alcun voto o controllo. In pratica il Parlamento viene defraudato delle sue funzioni e gli si toglie ogni controllo reale sulla legge. Se si pensa che la Legge Delega del governo contiene 8 articoli cortissimi, per un totale di 150 righe circa… Se si pensa che la scuola elementare e quella media vengono liquidate con 26 righe!… Se si pensa che tutto il sistema della scuola superiore viene trattato in circa 50 righe, licei, scuole professionali, alternanza scuola-lavoro compresi…, abbiamo l’idea di cosa si vuole davvero sottrarre alla discussione parlamentare.

Perché una “legge delega”? Il motivo è semplice, e ci viene spiegato direttamente da un quotidiano: “La paura è quella che si produca l’effetto Berlinguer, cioè una discussione infinita in Parlamento che porti la riforma ad essere approvata troppo in là e che quindi il governo non faccia in tempo ad attuarla nell’arco di questa legislatura”. (La Stampa, 23/1702). Certo, la discussione in Parlamento potrebbe aprire una discussione nel Paese, e quindi ritardare i tempi o anche affossare un tale progetto… Certo, l'”effetto Berlinguer” potrebbe essere quello della mobilitazione che portò gli insegnanti e i genitori a frenare la legge sui cicli… Il problema di fondo è chiaro: una legge di distruzione della scuola pubblica, specie dopo gli eventi passati (vedi anche “concorsone”) è destinata a scatenare la reazione: meglio non discuterla. “La Stampa” aggiunge:
“La strada resta sempre la stessa. Ascoltare, trattare, raccogliere sollecitazioni, ma poi agire con la massima determinazione”.
E’ lo stesso concetto con cui il sottosegretario Aprea (FI) ha tirato le sue conclusioni degli Stati Generali: “Il confronto è stato ampio e gli Stati Generali composti da rappresentanti delle famiglie, degli studenti, dei docenti, da numerosi esponenti della cultura, delle professioni hanno fornito ulteriori contributi e riflessioni propositive che arricchiscono il dibattito di questi giorni e ci confortano sulla necessità di proseguire celermente”. Hanno ascoltato “tutti” e ora fanno ciò che vogliono: alla faccia della democrazia!

20 scuole per 20 regioni: la dislocazione totale del sistema italiano… Ancora una volta si presenta quindi un progetto di poche pagine, senza alcun riferimento all’organizzazione, alle ore di insegnamento, ai programmi, alle titolarità degli insegnanti. Ma il fatto gravissimo è che, mentre la precedente legge Berlinguer demandava ogni cosa ad un successivo piano di applicazione (sul quale la legge si incagliò), questa volta il tutto viene rimandato alle Regioni, in dichiarata applicazione della “riforma” della Costituzione approvata dal centro-sinistra e varata il 7 ottobre. Se questa legge dovesse passare, si arriverebbe alla divisione della scuola italiana in 20 parti, diverse tra loro per programmi, organizzazione, orari ecc. Deve essere detto chiaramente: quello che si prepara con questa legge è la regionalizzazione completa della scuola e il governo fa questo anche per un motivo preciso: non trovarsi di fronte, nell’applicazione della “riforma”, agli ostacoli della mobilitazione nazionale che hanno frenato quella di Berlinguer.
L’articolo 8 sulle disposizioni attuative mira proprio a questo: dividere il mondo della scuola per far passare, Regione per Regione e costi quel che costi, la legge: “All’attuazione della seguente legge si provvede, sulla base delle norme generali da essa recate, mediante uno o più regolamenti da adottare a norma dell’art. 117 sesto comma della Costituzione (…)”. L’art. 117, comma sesto, dice. “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alla Regioni. La potestà regolamentare spetta alla Regioni per ogni altra materia”. Si tratta quindi di vedere quali sono le materie di “legislazione esclusiva”, ed è ancora l’art. 117 a chiarircelo: sono le “norme generali sull’istruzione”. Guarda caso, la Legge Delega si intitola proprio “Norme generali sull’istruzione”: questo significa che lo Stato si prepara a fare la sua parte esclusivamente
con questa legge di 150 righe: alle Regioni tutto il resto, vedremo tra breve con quali prospettive. A questo va aggiunta la regionalizzazione completa dell’istruzione professionale.

Scuola elementare: quando inizierebbe? La bozza di legge in discussione contiene una novità: “Alla scuola primaria si iscrivono le bambine e i bambini che compiono i sei anni di età entro il 31 agosto. Possono iscriversi anche le bambine e i bambini che li compiono entro il 30 aprile dell’anno scolastico di riferimento”.
L’inizio della scuola viene quindi anticipato di quattro mesi per tutti, e di altri quattro mesi in modo facoltativo. Il fatto contiene alcune conseguenze estremamente gravi. Prima di tutto questo segnerà un abbassamento culturale enorme della scuola elementare, poiché è evidente che la maggioranza dei bambini si presenterà a scuola senza la necessaria maturazione per affrontare immediatamente la lettura e la scrittura. Questo condizionerà il lavoro di tutta la classe che subirà un rallentamento nei programmi che si riverserà a cascata sulle classi successive. Già oggi i bambini nati a dicembre risultano spesso nettamente più piccoli di quelli nati a gennaio dello stesso anno, con conseguenze sull’apprendimento: questa “forchetta” sarebbe destinata a dilatarsi in modo preoccupante… In secondo luogo si apre un terreno di deregolamentazione folle attraverso il principio della scelta delle famiglie: possiamo già immaginare il caos e la confusione che questo produrrà. In terzo luogo, va considerato che le attuali strutture della maggioranza delle scuole elementari sono assolutamente inadeguate ad accogliere bambini più piccoli. Chi vuole prendere in giro questa gente? Il ministro si rende conto che le classi sono composte da 25 e più alunni, anche con portatori di hc, che i banchi sono per la maggior parte inadeguati e pericolanti, che i bagni sono di difficile utilizzo anche per i bambini di sei anni, figuriamoci per quelli di cinque? A che cosa vogliono ridurre la professione dell’insegnante?

Cosa si nasconde dietro questo provvedimento? Perché una simile proposta? Partiamo dai fatti. Alcuni ministri sono insorti dicendo che questo anticipo della scuola elementare comporterebbe l’assunzione di 15.000 insegnanti, conseguenza del fatto che moltissimi bambini andrebbero a scuola prima. In effetti, se la “riforma” dovesse partire, per esempio, nel settembre 2002, le iscrizioni in prima aumenterebbero di molto. Ma, nonostante le osservazioni di questi ministri preoccupati della spesa pubblica, il governo ha deciso di continuare su questa strada. Forse Berlusconi ha deciso di spendere soldi per la scuola pubblica? Francamente ne dubitiamo, ma in questo caso non si tratta di avere “speranze”, bensì di analizzare i fatti, e quelli di questi anni parlano chiaro: invece di assumere gli insegnanti necessari, le scuole hanno visto in questi anni moltiplicarsi i “progetti”, sempre di più gestiti da privati, cooperative, insegnanti senza titoli…: progetti per la lingua straniera (al posto di insegnanti statali assunti regolarmente), progetti per l’integrazione (al posto di insegnanti di sostegno), progetti per l’educazione motoria (gestiti da società private) ecc… Ora, questa “moda” potrebbe essere adottata dal governo come “il metodo” per coprire i posti necessari, delegando privati, associazioni, insegnanti senza abilitazione ecc. ad intervenire nella scuola, magari proprio nelle ore “facoltative” di cui parla il progetto Bertagna. Manca ancora un elemento per completare il quadro: la “nuova” Costituzione prevede che le Regioni assolvano i loro compiti (in questo caso applicare la riforma) secondo il principio di “sussidiarietà”, cioè facendo svolgere ai privati tutto quello che si può.
Vi sembra fantascienza? Leggiamo allora il Patto per il Lavoro siglato dalla Regione Lombardia con gli industriali e i sindacati: “Le parti intendono (…) valorizzare l’autonoma capacità dei cittadini, singolarmente o attraverso istituzioni sociali, di perseguire interessi di carattere generale e svolgere funzioni di interesse pubblico tramite il mercato e il privato sociale”. Il tutto, scritto esplicitamente, “sulla base del principio di sussidiarietà”. In altre parole: quella che oggi è ancora un’eccezione (i progetti gestiti dai privati) diventerebbe una norma: “svolgere funzioni di interesse pubblico tramite il mercato”. Non verrebbero più assunti insegnanti, ma la copertura di queste classi (o di un parte delle ore) in più verrebbe data ai privati: cooperative, associazioni, gruppi che si potrebbero vendere sul mercato e si metterebbero in “concorrenza” con gli insegnanti statali di ruolo e precari.

Ma non è tutto… Lo Stato e le Regioni potrebbero anche dire: visto che non abbiamo le aule, i fondi, la possibilità di assumere ecc, diamo un contributo alle scuole private che assolvono questa funzione pubblica, sempre in nome della sussidiarietà. Tanto più che la maggioranza dei bambini frequenta delle materne private (le scuole materne sono per il 90% private e, nei fatti, i bambini che iniziassero la classe prima in una scuola privata difficilmente la abbandonerebbero in seconda). Anche qui: fantascienza? Assolutamente no: già ora la grande maggioranza delle scuole materne private prende soldi dallo Stato perché assolve una funzione, cioè copre la carenza assoluta di scuole materne statali. In conclusione: il provvedimento, in un primo momento “contestato” da qualche ministro attento al portafoglio, è poi passato perché il governo ha intravisto in esso uno strumento doppio: cominciare a privatizzare la scuola pubblica facendo entrare i privati e potenziare quella privata che, specie nella scuole elementari, non decolla proprio.

A proposito di scuola materna La Legge Delega prevede anche che i bambini possano iscriversi alla materna a partire dai 2 anni e mezzo. E’ evidente che il valore educativo e pedagogico, di prima formazione, di questa scuola si ridurrebbe drasticamente: mettere dei bambini di 2 anni e mezzo in classi di 27-28 vuol dire aprire la strada alla trasformazione degli insegnanti in baby-sitter.

Scuola elementare: quando finirebbe?
Come abbiamo visto in precedenza, la scuola elementare viene solo apparentemente salvata, ma in realtà la divisione in bienni e la prospettiva della sua fusione con le medie prepara il terreno della sua liquidazione. La legge delega conferma totalmente questa direzione, anzi, la rafforza con l’eliminazione dell’esame di quinta, che verrebbe sostituito da due “verifiche”, in seconda e in quarta (dichiarazioni del sottosegretario Aprea a “La Stampa”, 19/1). Che senso ha un esame in quarta elementare, se non quello di mettere le mani avanti sulla reale prospettiva di questa scuola, cioè la sua riduzione a quattro anni?

I “Licei”, ovvero il gioco delle tre carte… La prima proposta del GRL prevedeva una durata di quattro anni per i licei. Nella Legge Delega si prevede invece un quinto anno per poter accedere all’Università. In ogni caso questi licei sarebbero divisi in otto indirizzi:
“Il sistema dei licei comprende i licei: Artistico, Classico, Economico, Linguistico, Scientifico, Tecnologico, Musicale, delle Scienze Umane”.
Ma in realtà il problema non è la durata dei licei, né il nome e il numero, ma la preparazione precedente dei ragazzi e le ore di frequenza di questi licei. Il ridimensionamento dei programmi descritto per la scuola media e elementare ci permette di paragonare questi “licei” a quelli attuali? Il passaggio a 25 ore, di cui 5 regionali, ci permette di pensare ad un livello di preparazione decente?. Non è vero che, alla fine, i ragazzi si presenterebbero all’Università con una preparazione nettamente più bassa rispetto a quella attuale (già duramente colpita dall’abolizione degli esami di riparazione, dai crediti e dai debiti formativi, dal nuovo esame di maturità…). Qualche giornale si è lanciato nel prevedere quali saranno le materie amputate in conseguenza del taglio di ore.. Nulla viene scritto di preciso, né nel testo Bertagna, né nella bozza di legge. Si possono tuttavia aprire scommesse, poiché un dato è certo: o si taglieranno intere materie come qualcuno ha ipotizzato (matematica e scienze al classico, latino allo scientifico…) o si taglieranno i programmi di tutte le materie. In ogni caso e qualunque cosa dicano il governo e il ministro, si può ancora parlare di “liceo”? Quale enorme ricaduta avrà tutto ciò sulla formazione dei ragazzi e sull’Università?

La Legge Delega e il sistema dell’istruzione e formazione professionale Come detto, l’impalcatura generale resta quella della proposta Bertagna. Si tratta di uno dei cardini della “riforma”: usare la scuola per sfruttare i ragazzi con il pretesto della formazione e distruggere ogni pur minima base culturale e ogni aspettativa dei ragazzi (diplomi, contratti nazionali…). Si può e si deve dire di più. Quello che è in gioco non è semplicemente la questione scuola, ma più in generale la questione dell’esistenza di contratti collettivi uguali in tutto il Paese. Per chiarezza, la legge delega precisa: se qualche ragazzo considerasse ancora troppo “culturale” l’alternanza scuola-lavoro, ci sarebbe per lui la possibilità di conseguire il diploma esclusivamente lavorando: “Dal quindicesimo anno di età i diplomi e le qualifiche si possono conseguire anche attraverso l’apprendistato”. (…).

Anno integrativo Per completezza di informazione, riportiamo che la legge delega prevede che al termine del quarto anno delle scuole professionali si possa fare un anno integrativo per avere accesso all’Università. Ci chiediamo: dove è finita tutta la retorica sull’esigenza di finire la scuola a 18 anni per “adeguarsi all’Europa”, se ora si prevede un diploma (e che diploma!) a 18 anni al posto di quelli che attualmente vengono rilasciati a 17 nei professionali, e un altro a 19, senza più l’attuale valore legale, per avere accesso all’Università? La legge delega conferma infine che si potrà passare da un sistema all’altro e dalla formazione secondaria ai licei. Così, tanto per provare…

Il “Manifesto per il ritiro della riforma dei cicli”
viene promosso nell’ottobre 1999 da 500 insegnanti e genitori di Torino, Milano, Lodi, Bari, Avellino, Latina, Frosinone e Asti. Più di 15.000 insegnanti e genitori di 20 province italiane hanno già sottoscritto il “Manifesto”. Nel rispetto delle tradizioni culturali, pedagogiche, didattiche, politiche, religiose di ognuno, il “Manifesto” si batte per unire più largamente possibile gli insegnanti, i genitori, gli studenti, le organizzazioni sindacali e più in generale tutte le persone che intendono difendere la scuola dalla distruzione e dal caos a cui si andrebbe incontro se la “Riforma dei cicli” dovesse essere applicata. Il “Manifesto dei 500” ha organizzato in questi anni assemblee, riunioni pubbliche, conferenze in tutta Italia e ha promosso delegazioni che sono state ricevute alla Camera e al Senato, al Ministero della Pubblica Istruzione e a Palazzo Chigi. Diversi incontri si sono svolti anche con le segreterie nazionali dei sindacati per discutere di una strada comune per difendere la scuola pubblica. In alcuni casi questi incontri hanno prodotto iniziative concrete di mobilitazione. Il 24 marzo 2001, su iniziativa del gruppo di Torino del “Manifesto”, si è svolta una manifestazione pubblica che ha visto sfilare per le strade della città 1.000 insegnanti e genitori che chiedevano il ritiro del piano di applicazione della legge.
Il 23 giugno 2001, a Roma, il “Manifesto dei 500” ha promosso, insieme al “Coordinamento insegnanti-genitori di Roma”, un incontro nazionale per la difesa della scuola pubblica, al quale hanno partecipato insegnanti, genitori, rappresentanti sindacali, di associazioni e di partiti di tutta Italia. Al termine è stato costituito un “Comitato di collegamento per la difesa della scuola pubblica”. Questo comitato si è riunito a Firenze il 6 ottobre e il 24 novembre e ha approvato un “Manifesto per la difesa della scuola pubblica” da diffondere in tutta Italia. Il gruppo organizzativo del “Manifesto dei 500” mette a disposizione il materiale prodotto in questi anni: i dossier sulla legge, i verbali degli incontri in Parlamento, alla Presidenza del Consiglio e al Ministero. Le iniziative del “Manifesto dei 500” sono completamente autofinanziate dai contributi dei firmatari.


Contatti:
Lorenzo Varaldo. Rita Defeudis, viale Paolo VI, 6, Abbiategrasso (MI) tel. 02/94965090. e-mail: [email protected] – sito Internet: http://manifestodei500.altervista.org

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