Ritorno al Medioevo (commento al piano di applicazione della “riforma” Berlinguer)

“Ritorno al medioevo”

commento al documento della commissione dei 228 “saggi” incaricata dal ministero della pubblica istruzione di redigere un piano per l’applicazione della Riforma dei cicli,

a cura del gruppo organizzativo del “Manifesto dei 500”

Il 12 settembre la commissione dei 228 “saggi” incaricata dal ministero di elaborare i piani per l’applicazione del “Riordino dei cicli” ha concluso i suoi lavori.
Il documento prodotto dalla commissione è di una gravità inaudita e di una violenza contro i principi della scuola come non si era mai visto in Italia.
Tutti i timori espressi dal “Manifesto dei 500” trovano non solo conferma, ma un approfondimento che non può non toccare tutte le persone legate alla democrazia, alla cultura, all’istruzione, al futuro dei giovani e delle generazioni a venire.
Nel momento in cui il comitato nazionale del “Manifesto dei 500” lancia la proposta di una “Conferenza Nazionale per l ‘abrogazione della riforma dei cicli e la difesa della scuola pubblica”, il gruppo organizzativo di questa conferenza mette a disposizione di tutti gli insegnanti, i genitori, gli studenti, l’intera popolazione questo commento di denuncia dei lavori della commissione, in modo che tutti possano sapere che cosa si sta preparando e possano unirsi a noi per evitare una vera e propria opera di distruzione.
“Ritorno al medioevo” non è un titolo provocatorio: si può dire, senza alcun timore di esagerare, che il documento prodotto dalla commissione è la pura e semplice teorizzazione della distruzione della scuola italiana e più in generale dei valori della cultura e dell’istruzione che affondano le radici nell’Illuminismo.
A tutti gli insegnanti, i genitori, le organizzazioni sindacali, gli studenti, le associazioni, gli eletti nelle istituzioni rinnoviamo il nostro invito: unitevi a noi nella preparazione della Conferenza Nazionale.
In particolare alle organizzazioni sindacali lanciamo un appello: organizzate la mobilitazione che può ancora impedire l’applicazione della legge.

Introduzione
Il “Manifesto per il ritiro della riforma dei cicli”, promosso nell’ottobre 1999 da 500 insegnanti e genitori delle province di Torino, Milano, Lodi, Latina, Frosinone, Bari, Benevento e Asti, denunciava la legge elencandone i problemi principali: abbassamento culturale, caos organizzativo, distruzione dei programmi nazionali, distruzione dei diplomi nazionali validi nel mondo del lavoro, eliminazione della classe e sua sostituzione con i “gruppi flessibili”.
Nel dicembre 1999 una delegazione di insegnanti e genitori firmatari del “Manifesto” proveniente da diverse province italiane venne ricevuta dalla VII Commissione del Senato. Il 4 luglio 2000 una nuova delegazione è stata ricevuta dalla presidenza del consiglio e dal ministero della pubblica istruzione. In tutte queste occasioni, gli insegnanti e i genitori si sono sentiti rispondere: “Non è vero che verrebbero distrutti i diplomi; non è vero che ci sarebbe un abbassamento culturale; non è vero che la classe sarebbe distrutta; non è vero che i programmi nazionali sarebbero abrogati…”
L’unica argomentazione dei vari responsabili del governo e dei senatori è stata la “non argomentazione” che consiste nel negare i problemi posti, rimandando il tutto ai lavori della commissione dei “saggi” che avrebbe “riempito” la legge e risolto ogni problema.
Per contro, va registrato che nel corso degli incontri che la delegazione aveva avuto con tutti i gruppi parlamentari nel dicembre 1999, diversi senatori (compresi alcuni della maggioranza) avevano espresso dubbi, contrarietà, preoccupazioni su aspetti della legge, affermando tuttavia che avrebbero votato il testo perché era “blindato” (termine usato dagli stessi senatori).
Oggi i “saggi” hanno prodotto il loro lavoro e il ministero ha annunciato che esso fornirà la base per il piano di attuazione che dovrebbe essere presentato in parlamento.
Il prodotto della commissione dei 228 “saggi” conferma, purtroppo, le peggiori previsioni che il nostro comitato ha formulato da diversi anni. Va detto anzi che il documento va oltre ogni aspettativa.
Come tutti i documenti e le leggi prodotte in questi anni, anche questo si presenta con un linguaggio doppio: in lunghi brani appare l’ennesima enunciazione di principi generali di rispetto della persona, “dei bambini e delle bambine”, delle esigenze dei giovani, dell’educazione ai valori della democrazia…, principi più che condivisibili ma che trovano la loro esatta negazione proprio nell’essenza più profonda del documento stesso; in altre (ben più numerose) frasi, i periodi, le parole usate, il linguaggio sono quelli contorti e pseudo scientifici tipici di quella casta che si è in questi anni eretta al di sopra degli insegnanti e dei problemi reali della scuola.
Ma questo linguaggio non ci impedisce di vedere due realtà:
1) esso, con tutta la demagogia che si porta dietro, è necessario al governo per ingannare la popolazione e in particolare gli insegnanti sul reale contenuto della “riforma” e più in generale della politica portata avanti in questi anni;
2) da questo punto di vista lo stesso linguaggio usato è il segno più evidente di una debolezza del governo che non sa e non può spiegare in modo semplice e diretto ciò che si prospetta. Dietro l’apparente sicurezza dei “saggi” e del governo c’è in realtà il reale timore che la popolazione scopra ciò che si sta preparando.
Il dato però più importante che emerge dal documento è che questo linguaggio non è riuscito neppure minimamente nel suo intento di nascondere, coprire, deviare: letto con attenzione il documento appare in tutta la sua violenza devastatrice agli occhi di qualunque cittadino che abbia la minima concezione o anche solo intuizione delle basi della scuola pubblica e dei princìpi di essa.
Parlare di piano di “fattibilità” è semplicemente ridicolo: i documenti della commissione andrebbero intitolati “piano per la non fattibilità” della legge.
Questo commento ai lavori della commissione è organizzato per paragrafi che riprendono le argomentazioni del “Manifesto dei 500” e dimostrano come, a mano a mano che il quadro della “riforma” si delinea più precisamente, la legge appaia in tutta la sua veste distruttiva.

PARTE PRIMA: LA DISGREGAZIONE DELLA SCUOLA ITALIANA

a) Il caos avanza
Cominciamo da alcune frasi particolarmente incredibili: “A partire dall’anno scolastico 2007-2008 non saranno più presenti classi della vecchia scuola media. Nello stesso anno scolastico entreranno nella scuola secondaria alunni provenienti da due classi di età, gli alunni frequentanti la vecchia scuola media e i primi che concludono il nuovo ciclo di base. Tale fenomeno si riverbererà sui quattro anni successivi, progressivamente sui relativi anni di corso (…) L’ipotesi ideale, dal punto di vista organizzativo è rappresentata dalla distribuzione su tutti e cinque gli anni della scuola secondaria dell’incremento di alunni che si determinerà nella fase transitoria. Teoricamente si potrebbe immaginare di far transitare anticipatamente alla scuola secondaria quote crescenti di alunni con una progressione annuale del 20%”.
Incredibile: parlano di “soluzione ideale”, quando un semplice “normodotato” (non è necessario un “saggio”) capirebbe che già solo da questo problema discende un caos generale assolutamente ingovernabile. Ve li immaginate i ragazzi di seconda e terza media che vanno contemporaneamente alle superiori, magari inseriti in anni diversi, con i criteri più incredibili? Vi immaginate la reazione delle famiglie di fronte al fatto che nessuno capirà più nulla? Vi immaginate il caos delle iscrizioni, dei titoli di studio, degli edifici…?
E vi immaginate, soprattutto, la serietà culturale di una scuola che manda indifferentemente ragazzi di età diversa e con percorsi di studio diversi (per alcuni terminati e per altri no) in classi uguali e, viceversa, ragazzi con percorsi identici in classi diverse?
I signori che hanno scritto queste relazioni si rendono conto della follia o vogliono davvero distruggere la scuola?
Nelle tabelle di questi documenti, i nostri “saggi” ci spiegano che a causa di questo fenomeno, dal 2007 al 2012 ci sarebbe un aumento di fabbisogno di insegnanti. Ma chi ha la pazienza di continuare l’analisi scopre che al 2012 ci sarebbe un crollo: nelle superiori si passerebbe da 43.000 posti a 14.000 !
Da dove arrivino poi queste previsioni non è dato sapere….
b) La distruzione della scuola superiore
In ogni caso i nostri “saggi” non considerano, o non vogliono considerare, che in realtà il crollo potrebbe essere ben maggiore (proprio nelle superiori) a causa di un altro fenomeno: l’eliminazione dei diplomi professionali e dei titoli di studio come “ragioniere”, “geometra”, “perito” che, per quanto svalutati, costituiscono tutt’oggi un grande incentivo a frequentare la scuola pubblica fino alla maturità. Questa soppressione porterebbe in pochi anni migliaia e migliaia di ragazzi ad abbandonare la scuola a 15 anni (fine obbligo) per indirizzarsi nei mille corsi privati (pizzaiolo, cameriere, stampatore, programmatore, visionario, astrologo: si cominciano a vedere già oggi le cose più incredibili) che non tarderanno a moltiplicarsi, grazie alla copertura dell’ “obbligo formativo”.
La vera vittima della “Riforma dei cicli” non sarà la scuola elementare, né la scuola media (peraltro duramente colpite), ma la superiore.
I ragazzi arriveranno a questa età con una preparazione talmente inferiore (a meno di sostenere che in un anno di scuola non si faccia niente) da costringere tutto il sistema ad un abbassamento culturale pauroso: non a caso si dice già apertamente che nei primi anni di università si farà il programma che oggi si fa al liceo.
Inoltre, una massa enorme di ragazzi non si iscriverà più: perché fare una scuola che consegna un titolo generico che apre solo la strada all’università, quando per milioni di ragazzi il problema è avere un titolo che apra prospettive di lavoro?
Certo, si potrebbe obiettare che i titoli attuali non sono garanzia di nulla. Ma in ogni caso sono un incentivo a frequentare la scuola pubblica, a svolgere materie formative come storia, letteratura, matematica, geografia….Forse nei vari corsi privati che fioriscono e fioriranno sempre più ci sarà un minimo spazio per tutto ciò?
Apriamo una piccola parentesi fondamentale: l’impoverimento culturale delle superiori (dei “licei”, come demagogicamente li hanno chiamati proprio per coprire la distruzione dei veri licei) che si annuncia e di cui il ministro parla ormai apertamente non avrà una ricaduta solo sugli studenti ma, infine, sulle future generazioni di insegnanti, con danno colossale su tutta la cultura italiana. I professori del futuro potrebbero essere persone con carenze incredibili. Per esempio, un laureato in biologia potrebbe non avere mai fatto un intero corso di storia e, viceversa, un laureato in storia potrebbe non conoscere i fondamenti della biologia. Ora ci chiediamo: qualcuno pensa che si possa insegnare degnamente la storia senza avere i fondamenti delle altre materie? Qualcuno, nel 2000, pensa ancora che si possa insegnare biologia senza avere un inquadramento storico?
Qualcuno si rende conto, tra i membri della commissione, del danno che ciò provocherebbe?
Ritorneremo in seguito, comunque, sugli aspetti principali della distruzione della scuola superiore, compresi quelli che riguardano la soppressione di intere cattedre, corsi, diplomi, indirizzi….
Una cosa è certa: chi, tra i professori e i ragazzi delle superiori, pensava di dormire sonni tranquilli a causa del mantenimento dei 5 anni di superiori, può cominciare ad allarmarsi….
c) Follie, follie, vendonsi follie…
Andiamo comunque avanti: “E’ possibile prevedere esperienze finalizzate a far conseguire agli studenti della terza media sia la licenza che l’ammissione al secondo anno”.
Ah sì? E su quali basi, su quali programmi, in quale momento? Mentre altri fanno ancora i vecchi programmi o mentre qualcuno fa già i nuovi?
Follie !
Follie, follie, vendonsi follie: “L’ipotesi di attuazione indicata determina peraltro una sostanziale differenziazione del percorso scolastico tra studenti che, avendo iniziato contemporaneamente l’iter, lo concludono in tempi diversi: quelli che seguono la sperimentazione in 12 anni, tutti gli altri in 13”.
Bene: avremmo dunque studenti che iniziano la prima ex-elementare nello stesso anno e che finiscono la scuola in anni diversi. Se non altro i commissari sono coerenti con la legge: per tutti un anno di scuola non conta nulla.
Si passa poi al problema degli edifici, che peraltro si intreccia con quello dell’impiego degli insegnanti e della formazione delle classi.
Qui il caos che emergerebbe si può solo intuire, perché nemmeno la commissione è riuscita a fare delle ipotesi comprensibili, ipotesi che, per quanto deliranti, avrebbero almeno avuto il pregio di chiarire le cose.
Si dice che il nuovo ciclo di base potrebbe svolgersi in alcuni casi in un unico edificio e in altri in due, per poi confluire (quando?, in quali casi?, come?) in uno solo. Si arriva a dire che “si rende necessario ipotizzare strutture il più possibile “aperte”, con riguardo più alla “classe” che all'”aula””, con possibilità di classi che vagano da un edificio all’altro a seconda dei giorni, degli orari, dei professori o dei maestri che svolgeranno lezione…:“l’anno scolastico e i curricoli disciplinari potranno svilupparsi secondo scansioni e ritmi non uniformi; i gruppi di studenti durante l’anno scolastico potranno scomporsi e ricomporsi in gruppi diversi e secondo diverse logiche, sia in senso orizzontale (nella stessa fascia di età), che verticale (mescolando cioè livelli di età differenti)”. La distruzione del gruppo classe, fondamentale punto di riferimento non solo organizzativo, ma affettivo, relazionale, di crescita, è servita, come abbiamo sempre sostenuto.
Questo problema si intreccia con quello degli insegnanti: mentre quelli delle medie saranno ancora impegnati su tre anni, dovrebbero contemporaneamente già lavorare sui 7 del ciclo primario: con quale organizzazione e quale programma? Con quali orari e con quale integrazione con gli orari dei maestri? In quali edifici? Su quali cattedre e materie?
d) La distruzione della contrattazione nazionale e dell’indipendenza dei sindacati
A proposito di cattedre: si dice apertamente che “si deve evitare il perverso meccanismo delle cattedre (rigido e portatore di dispersione di risorse) e favorire, piuttosto, forme di progettualità dove tutti i soggetti possano esprimere le proprie competenze con pari dignità”.
Questo punto, ripreso in altri passaggi altrettanto allarmanti, va considerato con attenzione.
Dall’attenta lettura del documento, infatti, risulta un dato molto preoccupante: c’è una volontà di scavalcare le norme dei contratti, gli inquadramenti professionali definiti dalla contrattazione, l’intero impianto normativo che caratterizza la nostra professione e che è il risultato di anni e anni di lotte, di contrattazione, di elaborazione. E’ vero che ciò riguarda tutti gli insegnanti. Tuttavia non si tratta di un attacco “tra gli altri”: non sono in gioco semplicemente le condizioni di lavoro dei singoli, ma più generalmente l’esistenza della categoria nel suo insieme, con la sua capacità di mobilitarsi, di organizzarsi in sindacati indipendenti con il diritto di siglare accordi, contratti. La frase “in cui tutti i soggetti possano esprimere le proprie potenzialità” associata all’eliminazione del perverso meccanismo delle cattedre” apre la strada al fatto che ogni insegnante venga impiegato a seconda delle esigenze del dirigente e dei colleghi, senza più alcuna indipendenza intellettuale e con la negazione completa della libertà d’insegnamento.
In altre parole: un conto è perdere una conquista per valutazioni sindacali inadeguate o perché la categoria non si mobilita o, ancora, perché il governo si dimostra più forte. Un altro conto è compromettere la possibilità di contrattare su base nazionale regole uguali per tutti. Siamo qui nel campo della difesa delle basi della democrazia, non semplicemente della scuola.
Come abbiamo sostenuto più volte, l’esistenza di un sindacato indipendente e riconosciuto, che possa trattare e siglare accordi e contratti validi per tutti, è una delle basi della democrazia stessa, indipendentemente dalle posizioni che assume e che sono esclusivo terreno del dibattito democratico al suo interno e del confronto con la categoria.
Se una commissione di 228 “saggi” si permette di presentare al parlamento un documento che rimette in causa il concetto di cattedra e se il parlamento dovesse avallare una simile proposta il ruolo della contrattazione nazionale e del sindacato sarebbe clamorosamente ridimensionato.
Non si tratta qui di discutere se la scuola elementare sarebbe più colpita delle superiori o se ci sarebbe una perdita di posti: c’è un salto di qualità impressionante che emerge dal documento e che riguarda temi ben più gravi.
e) Organizzazione della scuola di base. Obiettivo: disgregare la scuola italiana.
Torniamo ora ai problemi più pratici e inerenti la riforma in quanto tale.
Sulla base di quanto scrive la commissione è difficile pensare una soluzione non diciamo sensata, ma almeno che regga da un punto di vista logico e matematico, per quanto assurda nella pratica.
Tutti hanno presente cosa ha voluto dire il dimensionamento: qualcuno pensa davvero che sia possibile spostare insegnanti, aule, titolarità, milioni di alunni, ridefinire le zone, fare graduatorie, accorpare le scuole, e il tutto tagliando un anno di scuola? Da parte nostra pensiamo questo: se il problema fosse “solo” quello di fare la fusione elementari-medie in un unico edificio, ma conservando gli attuali otto anni, sarebbe già una operazione praticamente impossibile, a prescindere dai contenuti culturali e dall’opportunità (basti pensare ai problemi che hanno gli istituti comprensivi, dove però non esiste la questione dell’edificio unico). Ma pensare di fare questo tagliando anche un anno è pura follia.
La commissione propone di lasciare la gestione di tutto questo alle scuole “autonome”.
Udite, udite: “Ipotesi di articolazioni del settennio di base: come s’è detto, le articolazioni vanno viste come cerniera e non come punto di divisione (tornerò dopo su questo tipo di linguaggio usato, ndr). Sono state avanzate e argomentate diverse ipotesi di articolazione del settennio: 2+2+2+1, 3+4, 2+5, 1+5+1. Ovviamente se ne potrebbero fare tante altre, una per ogni possibile scomposizione del numero 7 (dev’essere un genio ad aver scritto questo pezzo, sicuramente un matematico di professione) Ciò vuol dire che nessuna può essere ritenuta valida in assoluto (noi diremmo piuttosto: nessuna è valida, né in assoluto né in relativo, ma andiamo oltre). Nel regime di autonomia spetterà alle singole scuole stabilire le articolazioni”.. (!)
Tutti comprenderanno che, al di là della questione del 15% del curricolo nazionale previsto dall’Autonomia, questo significherebbe l’anarchia totale. Ma non basta: “E’ stato sostenuto che l’assetto curricolare non debba essere determinato da una scansione temporale predefinita unica (4+3, 2+2+2+1…) ma debba seguire una differenziazione verticale connessa alle modalità di approccio al conoscere proprie del bambino che possono essere diverse da un’area disciplinare all’altra. Per esempio, la progressione dell’area motoria è diversa da quella che si verifica in altri settori dell’apprendimento. Si propone pertanto una progressione differenziata per discipline detta “a canna d’organo”, in modo che il passaggio dagli ambiti disciplinari alle discipline non avvenga universalmente in uno stesso anno del ciclo”.
“A canna d’organo”: l’unica “canna” che si vede è quella che potrebbe essersi fatto qualche membro della commissione per arrivare a pensare che dopo aver lasciato ad ogni scuola la suddivisione interna di tutti i possibili casi di combinazione del 7, si proceda ad un ulteriore calcolo combinatorio scomponendo il 7 in almeno una decina di materie e ricombinando il tutto a seconda delle cattedre, degli insegnanti a disposizione, delle competenze, per arrivare, per esempio (ma è solo uno dei 1000 casi possibili) ad avere un 4+3 per matematica, un 2+2+2+1 per lingua, un 1+5+1 per ed. motoria e così via….
Il nostro calcolo combinatorio, invece è molto più semplice. I casi sono solo due: o anche i membri della commissione comprendono a quale caos si va incontro, e allora siamo di fronte ad una ferma volontà di distruzione del sistema, oppure non lo comprendono, ma in questo caso poniamo un problema: a quali “menti” viene affidato il progetto per la futura scuola?
In ogni caso: questa è la pura e semplice dislocazione dell’intero sistema. Se dovesse essere applicato un simile progetto si potrebbe dire che la scuola italiana non esiste più, sostituita da migliaia di scuole che viaggiano ognuna per i fatti propri.
A tutto ciò vanno aggiunte le dichiarazioni del ministro sul taglio delle materie, sul fatto che non sarebbe più necessario essere sufficienti in tutte le materie, ma solo avere una media sufficiente, sull’eliminazione dei programmi nazionali.
Infine la commissione si copre di ridicolo nella divisione degli ambiti disciplinari e delle materie: “Diversi interventi avanzano rivendicazioni di spazi: (…) B) per lo sviluppo del pensiero tecnologico (da non confondere con le nuove tecnologie dell’educazione); (…) D) per le forme di conoscenza nuove di tipo sintetico e simultaneo”.
Primo: parla come mangi.
Secondo: faremo lo sforzo di non confondere il “pensiero tecnologico” con le nuove tecnologie, ma non vorremmo fondere del tutto il cervello per capire l’incomprensibile, e cioè cosa sia il “pensiero tecnologico” stesso. Queste persone hanno ormai paragonato il cervello umano ad una macchina (forse perché generalizzano un vissuto personale) e si permettono di assumere come assolute definizioni del tutto opinabili che farebbero ridere qualunque serio ricercatore scientifico.
Terzo. L’assumere in un documento di riforma della scuola definizioni così contestabili e opinabili nasconde una vera e propria opera di indottrinamento: dietro il “pensiero tecnologico” c’è la pedagogia di Stato, c’è il fatto che ipotesi sulla psicologia umana e sulla struttura del cervello (ipotesi del tutto contestabili e a nostro parere reazionarie) vengono assunte come verità per giustificare metodi d’insegnamento, programmi eccc.
f) Un linguaggio che conosciamo bene
Questo linguaggio pseudo scientifico e demagogico che vorrebbe coprire la follia del progetto è presente dalla prima all’ultima parola del documento: si parla infatti di attenzione al bambino, di esigenze formative, di sviluppo unitario, di salvaguardare l’unità della scuola italiana !
Il metodo ormai si conosce: enunciare dei principi condivisibili per coprire una politica che va in direzione esattamente opposta. Esempi? Non c’è che da perdersi: annunciare che bisogna abbassare il numero di alunni nelle classi, per poi fare una legge che abolisce il limite di 20 con hc e di 25; annunciare lo sviluppo del Tempo Pieno, per poi non nominarlo nemmeno e di fatto prevederne l’abolizione (ma in silenzio, perché le famiglie potrebbero allarmarsi); annunciare il primato della scuola elementare nel mondo, per poi distruggerla (cioè qualificarla); annunciare che si fa una riforma per aprire prospettive di lavoro ai giovani e poi distruggere i diplomi nazionali; annunciare che tutte le scuole superiori si chiameranno “licei” per poi distruggere i veri licei e la cultura che essi promuovono.
Infine: annunciare che ci si batte per aumentare gli stipendi degli insegnanti, per poi proporre l’elemosina di una pizza.
Rivisto alla luce di quanto descritto, questo metodo risulta però ormai veramente ridicolo: per i nostri commissari “saggi”, la marmellata che si apprestano a proporre al Paese risponde al principio che “il sistema educativo di istruzione e formazione è finalizzato alla crescita e valorizzazione della persona umana (…)” e bla, bla, bla….
No comment.
Piuttosto, un “comment” si può fare su un altro punto, esempio di come si può tradire un principio in nome di quello stesso principio.
La commissione scrive: “E’ molto diffusa l’idea che la quota (del curriculum) riservata alle scuole non debba essere troppo ampia per non perdere l’omogeneità dell’offerta formativa sul piano nazionale, per salvaguardare comunque l’identità culturale nazionale e per evitare difficoltà o disagi in caso del trasferimento di alunno da un istituto ad un altro”.
Questo enunciato, condivisibile come principio, (ma comunque ridicolo anche solo di fronte ad asserzioni come quella sui possibili casi di combinazione del numero 7) viene contraddetto a 180° esattamente alla riga successiva: “La proposta di una aderenza da parte delle scuole al curricolo nazionale pari al 60% e di un curricolo di scuola pari al 40% (…) non è distante dalle esigenze espresse da questo gruppo”
Alla luce di ciò, è esemplare come i “saggi” si permettano di scrivere che la “riforma” sarebbe dettata dall’ “esigenza di fronteggiare una frammentazione culturale diffusa e di aiutare i giovani nella costruzione di identità personali e collettive non confinate all’interno di dimensioni politiche e sociali riduttive (localismi, etnie, sacche di povertà..)”.
That’s incredible ! Parlano di localismi e poi prospettano programmi differenziati per il 40%. Parlano di localismi e scrivono: “Le strutture edilizie devono essere funzionali rispetto agli standard curricolari di ogni ciclo (frase senza senso visto gli standard che la commissione prospetta): non certo ad ogni ciclo il suo edificio!” (esclamativo della commissione, sottolineatura mia).
Commento nostro: ma se ogni ciclo non avrà un unico edificio e ogni scuola potrà organizzare l’articolazione interna dei sette anni come vuole (secondo la ben nota teoria esposta precedentemente dai nostri geni matematici sulle possibili combinazioni del 7), avremo certamente scuole della stessa città che fanno 4 anni in un edificio e 3 in un altro, altre scuole che fanno 2 anni in un edificio e 5 in un altro, altre ancora che fanno 6 anni in un edificio e 1 in un altro e via di seguito per tutti i casi di “possibili combinazioni”. Alla faccia dei localismi: qui si tratta della frantumazione pura e semplice della scuola italiana.
Ancora due parole sul 40%: ma che cosa significa il 40%?
Ipotesi: prendo un libro di testo, lo divido in dieci parti, poi ne prendo sei e le faccio, mentre le altre quattro le cambio come voglio? Oppure: Leopardi vale più di Galileo, diciamo 3 contro 1, e quindi se faccio Leopardi ho già fatto un tot del programma nazionale, mentre se faccio Galileo ho fatto solo un terzo di tot e quindi posso fare tre “Galilei” al posto di un Leopardi? Ma chi vale come Galileo? Campanella forse un po’ meno, diciamo 3/4 di Gallileo, quindi 1/4 di Leopardi E Manzoni? Diciamo come Leopardi? Ma chi lo decide? E se un collegio decidesse che Leopardi vale come Galilei? E se un collegio….
E di matematica? Si potrebbe decidere, per esempio, di fare solo la retta e la parabola in geometria analitica, ma poi potrei avere dei problemi in analisi…. Oppure potrei fare solo aritmetica nella scuola di base, ma poi i ragazzi andrebbero alle superiori senza aver fatto geometria ecc… E che cosa fare al posto di geometria? Magari “calcolo delle probabilità” o insiemistica? Vi sembra che possa avere lo stesso peso? Si potrebbe aprire una discussione su questo punto e, francamente, ci immaginiamo il “collegio docenti sovrano” che discute il valore della geometria in confronto alla statistica….
E se cambio scuola?
Tutto questo è semplicemente ridicolo.
Il massimo? Difficile dire dove la commissione dia il meglio di sé, ma certo ci va vicino in questo passaggio: “Utilizzo comune degli impianti sportivi della scuola e degli Enti locali evitando duplicazioni di strutture”. “Duplicazioni di strutture”? Ma se è pieno di doppi turni e di scuole senza palestre o con palestre in condizioni pietose: dove vivono i membri della commissione, sulla luna?

PARTE SECONDA: UN ATTACCO SENZA EGUALI AI VALORI DELLA CULTURA E AI PRINCIPI DELLA SCUOLA PUBBLICAa) Obiettivo: diminuire le conoscenze.
Tutto il lavoro conferma problemi di fondo molto più gravi che, seppur nascosti da un linguaggio contorto e apparentemente “progressista”, non lasciano equivoci sull’operazione reazionaria che si nasconde dietro questa legge.
Esempio: “L’insegnamento (qui della matematica, ma più in generale di tutte le materie) non deve proporsi una completezza di informazioni di carattere enciclopedico. Esperienze recenti hanno mostrato che, da un lato, un eccesso di contenuti nei programmi presenta più rischi che vantaggi; dall’altro, la continua evoluzione della ricerca scientifica e tecnologica rende illusoria l’idea di una formazione completa e definitiva”.
Questa frase è un raro esempio di concentrato di stoltezza. In essa si trovano, ben miscelati, i seguenti “ingredienti”: demagogia (che comprende sempre una parte di verità usata per secondi fini), contraddizioni, stupidaggini, elementi reazionari, falsità.
Andiamo con ordine.
1) Demagogia: dire che “un eccesso di contenuti nei programmi presenta più rischi che vantaggi” è, da un lato, una affermazione per cui non era necessario che lo Stato spendesse milionate di lire (euro) per viaggi, pranzi, pernottamenti e altro di 228 “saggi”. Si tratta di una banalità impossibile da commentare, anche perché rivela un’ignoranza paurosa: la frase è tautologica, poiché la parola “eccesso” indica già un risvolto negativo. Qualunque cosa positiva (mangiare, bere, dormire, giocare, leggere…) se viene fatta con “eccesso” diventa negativa. Il problema nasce dal fatto che questa banalità-stupidaggine viene usata per eliminare i programmi nazionali, come abbiamo visto prima, e per ridurre le conoscenze ad un livello preoccupante. Poche righe prima, per esempio e proprio sulla matematica, si indicano gli obiettivi della “nuova” scuola, obiettivi che, appunto, non sarebbero “eccessivi”: “avere il senso del numero e del simbolo; contare ed avere la consapevolezza delle operazioni; leggere e comprendere forme di rappresentazione diverse; usare un linguaggio chiaro e rigoroso;…; risolvere problemi”. A scanso di equivoci: non si tratta degli obiettivi di una terza elementare (che sarebbero comunque vuoti: cosa significa saper contare? Cosa significa “saper risolvere problemi”?): si tratta degli obiettivi che sostituirebbero l’attuale geometria, algebra, geometria analitica, trigonometria, analisi… Ecco allora la demagogia: una asserzione banale e lapalissiana usata per accattivarsi le simpatie e poi distruggere le conoscenze fondamentali e i programmi.
2) Contraddizioni: si sostiene che “la ricerca scientifica e tecnologica rende illusoria l’idea di una formazione completa e definitiva” e poi si dice, nelle prime pagine, che bisogna “ridurre la divaricazione tra formazione, istruzione e lavoro”. Delle due l’una: o la scuola deve preparare al lavoro (affermazione su cui si potrebbe aprire una discussione un po’ più seria di quella fatta in parlamento e poi tra i nostri “saggi”), ma allora essa dovrà prima di tutto sforzarsi di star dietro alla ricerca scientifica e tecnologica; ovvero la scuola deve prima di tutto fare cultura, e allora il problema del continuo adeguamento passa in secondo piano.
3) Stupidaggini: si parla di “formazione completa e definitiva”. Ma il problema non è dare una formazione completa, semplicemente perché una formazione completa non esiste, né tanto meno definitiva. Il problema è dare una formazione generale la più vasta possibile, compatibile con le età, con i carichi di studio ecc.. Quale stupido può pensare ad una formazione “completa e definitiva”? Ma, d’altra parte, quale cretino proporrebbe una formazione “carente e precaria” (cioè l’opposto di completa e definitiva)? Tuttavia per comprendere questo bisognerebbe ragionare un minimo (ma proprio un minimo) in modo dialettico, ma a quanto sembra i membri della commissione non sanno nemmeno cos’è la dialettica. E cosa propone infatti la commissione? Visto che non si possono avere conoscenze definitive, riduciamo le conoscenze! In questo passaggio la commissione si mette direttamente contro la storia della cultura e dell’umanità: l’uomo, di fronte ai suoi limiti e alle sue conoscenze “non definitive” ha sempre cercato di sapere di più, di andare più a fondo, di approfondire, non certo di ridurre le conoscenze. Strana filosofia oscurantista, quella della commissione: visto che non si possono avere certezze, smettiamola di cercarle per dedicarci a poche cose pratiche e meccaniche (vedi uso dei computer “a prova di scimmia”, come suggerito direttamente da Maragliano).
4) Falsità. si oppone la ricerca scientifica e tecnologica all’idea di una formazione ricca di contenuti, quasi che questa ricerca possa nascere dal nulla. E’ su questa base che la scuola americana (di nuovo presa ad esempio, torneremo più avanti su questo aspetto) non “sforna” più intellettuali e scienziati in grado di produrre la stessa tecnologia di cui l’America ha bisogno: scienziati e intellettuali che gli USA devono quindi cercare all’estero (guarda caso spesso in Italia…)
5) Elementi reazionari. Qui siamo all’apoteosi della reazione. “Non deve proporsi una completezza di informazioni di carattere enciclopedico”. Questa è una dichiarazione di guerra all’Illuminismo, è la negazione dell’importanza delle nozioni, della cultura e delle conoscenze (che solo dei dementi possono confondere con il nozionismo). Diderot, D’Alambert, Voltaire si rivolteranno nella tomba. Un invito alla commissione: che vadano a rileggersi “La ginestra” di Leopardi e che si vergognino di tanta ignoranza e sfacciataggine: “Qui mira e qui si specchia,/ secol superbo e sciocco, / che il calle insino allora / dal risorto pensier segnato innanzi / abbandonasti, e, volti addietro i passi, / del ritornar ti vanti, / e proceder il chiami”. Che ne sarà dei milioni di cittadini che nei prossimi decenni non avranno le conoscenze di base (le vere e proprie nozioni) per sostenere un discorso di fronte ad un avvocato, di fronte ad un medico o con un padrone deciso a calpestare ogni diritto? Chi restituirà a queste persone quel minimo di cultura “enciclopedica” che si radica in ogni studente e gli permette di vivere una vita migliore? “Progresso” lo chiamano, e preparano la strada alla disperazione e alla miseria per milioni di persone.
b) Bambini e studenti come animali
Altro esempio di punti molto gravi che costituiscono le fondamenta del lavoro: il concetto di “obiettivi”.
La commissione scrive: “Il gruppo ha concordato di utilizzare le seguenti definizioni, ai fini di una condivisione concettuale e linguistica: 1) (…); 2) (…); 3) “Obiettivi”: espressioni del comportamento degli alunni capaci di rilevare attività cognitive, affettive e di relazione, compiute o in atto, cui si connetta un significato ai fini della delineazione di un profilo culturale”.
Esistono qui tre tipi di problemi.
1) Gli obiettivi della scuola non sono e non possono essere riconducibili a dei “comportamenti degli alunni in grado di rilevare attività cognitive”: anche un gatto ha delle attività cognitive che possono essere “rilevate”. Il problema è un altro: la scuola deve indicare ciò che si deve apprendere, la cultura da trasmettere, le cose che si devono sapere. Solo un totale disprezzo della cultura e della sua importanza (disprezzo che fa comodo a chi vuole sfruttare la gente) può produrre una definizione di “obiettivi” come generici comportamenti “cognitivi” che possono essere rilevati. I ragazzi non sono né animali, né robot dei quali osservare i “comportamenti”. Al contrario la scuola deve trasmettere una cultura e accertarsi che avvenga un apprendimento su obiettivi dettati da programmi nazionali precisi, ma il fine è quello di mettere il ragazzo in condizione di instaurare un rapporto con questa cultura, un rapporto vivo e personale, non certo di avere dei “comportamenti” genericamente rilevabili.
2) Diverso è poi il discorso sulle attività “affettive e di relazione”: si vogliono introdurre degli obiettivi di comportamento della sfera affettiva? Si vuole utilizzare la scuola per proporre-imporre un modello di relazione? Stiamo forse entrando in un regime totalitario? Orwell è così lontano? Dunque per la commissione i comportamenti affettivi e di relazione sono in relazione con il profilo culturale?
3) Ancora una volta il linguaggio usato è scandaloso. Chi non ha nulla da dire o vuole ingannare ha una strada sicura: usare un linguaggio contorto. La realtà è invece molto semplice, ma affermarla vorrebbe dire rinnegare tutti i veri “obiettivi” della commissione, e cioè quelli di distruzione della scuola. In ogni caso può essere utile una piccola rinfrescata: gli obiettivi sono, secondo lo Zingarelli, “gli scopi che si vogliono raggiungere”. Nella scuola si tratta quindi di definire chiaramente quali conoscenze i ragazzi devono avere e quali abilità sviluppare. “Scrivere correttamente in italiano, senza errori di ortografia e di sintassi, un breve tema su argomento scelto esprimendo opinioni personali e valutazioni generali”: ecco un obiettivo concreto che non ha nulla a che vedere con la sfera affettiva, né con quella di relazione e che dovrebbe essere raggiunto da tutti i ragazzi che escono da una quinta elementare. Se lo Stato si occupasse di aiutare gli insegnanti con classi poco affollate, materiale ecc. farebbe il suo dovere. Viceversa, se lo Stato si inventa una definizione di “obiettivi” come quella assunta dalla commissione vuol dire che l’obiettivo è confondere le idee per stravolgere tutto.
c) Il modello? Ma è logico, l’America

Già Berlinguer scriveva, nel 1997, che la riforma aveva come obiettivo quello di …Delegare molta della preparazione degli studi superiori ai primi anni di Università come in Inghilterra e Stati Uniti, dove i primi anni di Università non si distinguono molto dalla formazione liceale italiana o francese….

Pensavamo però che, dopo il vespaio suscitato da una simile affermazione, si avesse il buon senso di non prendere più a riferimento la scuola americana.
Viceversa scopriamo che “il gruppo ha riflettuto sulle principali tendenze internazionali nella definizione degli standard e sulle implicazioni che ne derivano per le attività nelle scuole. Le soluzioni estreme sono le seguenti: a) una definizione fondamentalmente a priori e a gestione centralizzata. Si risolve in attività ispettive e nella riconduzione al centro delle certificazioni (Inghilterra). Il vantaggio è una grande omogeneità (solo un cretino può ancora pensare che il sistema inglese sia veramente omogeneo, con la differenza esistente tra scuola pubbliche e private). Il limite è l’avvio di dinamiche regressive che mortificano la creatività didattica delle scuola. B) Una definizione fondamentalmente empirica per la quale gli standard sono il risultato di aggiustamenti progressivi che tengono conto della distribuzione effettiva dei dati e degli apporti di quanti sono interessati alla sviluppo dell’istruzione. Si risolve in una stretta interazione tra attività di ricerca a livello istituzionale e contributi dialettici da parte del pubblico. Il vantaggio è la flessibilità unita ad un forte accreditamento sociale.. Il limite è l’instabilità e la necessità di una revisione continua (esempi: USA e Olanda)”
Prima di fare il commento di queste frasi, vorremmo chiedere: di fronte a queste due definizioni quale pensate che possa essere stata scelta dalla commissione? Francamente, leggendo, abbiamo pensato: “Adesso la commissione ci dice che nessuno dei due sistemi va bene in assoluto ma che ci sono elementi positivi e negativi da adottare o respingere”.
Ingenui che siamo. La commissione non ha avuto alcun dubbio: “Considerati vantaggi e limiti di entrambi i sistemi, il gruppo considera il modello B) più coerente con la logica dell’autonomia e le esigenze della riforma”.
Il nostro commento, dunque, non deve fare altro che seguire il filo logico del discorso della commissione.
Da esso discende che:
1) la commissione è ben cosciente che entrambi i modelli hanno dei limiti preoccupanti;
2) la commissione non è in grado di pensare un modello di scuola che eviti questi limiti (forse perché la stessa commissione ha dei grossi limiti? Forse perché questo modello di scuola dovrebbe riprendere molti tratti della scuola italiana e non si potrebbe permettere di stravolgerla?);
3) la commissione considera questi limiti funzionali alla riforma. Ergo: gli elementi negativi sono funzionali alla logica della legge.
Come si può definire tutto ciò?…
Come si fa a sostenere che la scuola americana ha “un forte accreditamento sociale”: ma dove vive chi ha scritto questa frase? Non ha letto delle armi nelle scuole pubbliche, delle famiglie che preferiscono tenere i bambini a casa e improvvisare una scuola famigliare, dei metal-detector all’ingresso delle scuole, del pauroso livello di preparazione di una nazione intera in cui la maggioranza della popolazione crede che la storia degli Usa cominci nel 1800?
Gravissimo, poi, è l’attacco alla laicità e all’indipendenza della scuola quando si auspicano apertamente i contributi esterni di aziende, società, e “quanti sono interessati” : dobbiamo ricordare ancora una volta il caso di industrie interessate a prelevare i bambini di 11 anni per portarli a lavorare con il pretesto della formazione e del disagio? Tanto per chiarire: si tratta di progetti reali che possiamo documentare… e che infatti vengono ripresi dalla commissione!
d) Dalla distruzione dei licei, a quella dei diplomi, fino alla…….
A questo punto è necessario approfondire il capitolo “superiori”.
Qualcosa abbiamo già detto in generale, ma vale la pena entrare nello specifico del lavoro della “sottocommissione”.
Innanzitutto viene completamente confermato che la scuola superiore non rilascerà più dei diplomi validi nel mondo del lavoro. Tutta le vuote parole di chi rispondeva alla delegazione del “Manifesto dei 500” dicendo “e chi l’ha detto?”, vengono cancellate in un solo colpo: “La riforma in atto annulla la storica dicotomia tra licei, finalizzati al proseguimento degli studi universitari e istituti finalizzati all’inserimento nel mondo del lavoro. La scelta del termine unico “licei” è stata considerata, a questo proposito, abbastanza significativa”. “Abbastanza significativa” ? E’ un puro e semplice inganno: non esisteranno più né i licei (anticipati di un anno e con programmi distrutti dal fatto che i ragazzi arriveranno con una preparazione molto inferiore), né gli “istituti” che rilasciano un titolo valido nel mondo del lavoro. Di più: i “nuovi” licei, come dice la commissione stessa, dovranno recepire una parte dell’indirizzo professionale degli attuali istituti tecnici, perdendo così completamente la loro natura e il loro valore (c’è ancora qualcuno che crede alla bufala che tutto questo venga fatto perché la scuola di oggi è quella di Gentile e bla, bla, bla… chi non ha argomenti ripete sempre lo stesso vuoto ritornello…)
A scanso di equivoci la commissione precisa ancora: “I più, comunque, sono apparsi concordi nel ritenere che l’attivazione dei corsi IFTS e la riforma dei corsi di studio universitari, l’introduzione dell’obbligo formativo fino a 18 anni rendano più fluida e complessivamente meno vincolante la natura conclusiva e professionalizzante della scuola superiore (al riguardo qualcuno ha parlato piuttosto di pre-professionalità)”.
Toh, guarda: qualcuno ha parlato di “preprofessionalità”: cioè esattamente quello che dicevamo noi quando sostenevamo che i diplomi attuali vengono spostati all’università con corsi pagati con tasse universitarie e titoli a 21-22 anni !
Toh, guarda: il tutto viene messo in relazione con la riforma universitaria, per la quale si parla apertamente di “licealizzazione” dell’università italiana e con l’obbligo formativo, cioè con la possibilità di frequentare corsi privati (magazziniere, giocoliere, cameriere, barman…) e/o anche di fare esperienze di apprendistato.
In altre parole, dalla commissione arriva un messaggio chiaro e allucinante per le famiglie e i ragazzi: se proprio dovete iscrivervi alle superiori sappiate che non avrete un titolo di studio, se non generico e con una preparazione inferiore ad oggi; che dovrete pagare e studiare fino a 22 anni; che in ogni caso a quell’età non avrete un bel niente tra le mani perché la laurea di oggi è spostata ancora più in là. Quindi, se proprio non vi è capitata la sfortuna di amare la cultura (e noi faremo comunque in modo di non darvela in modo “completo e definitivo”, ma possibilmente “scarno e precario”), andate a fare uno dei tanti corsi privati e lasciateci in pace a licenziare un po’ di professori.
Stiamo esagerando?
E allora beccatevi questa: “L’intero gruppo di lavoro concorda sull’opportunità di una riduzione, anche coraggiosa, degli indirizzi, soprattutto dove sono nati nel tempo per rispondere a opzioni professionalizzanti di tipo anche fortemente settoriale, che non competono più alla secondaria. A questo proposito c’è sostanziale accordo sulla progressiva riduzione della valenza professionalizzante della nuova scuola secondaria, anche se alcuni tendono ad escluderla in assoluto”.
“Cari ragazzi”, dice la commissione, “se volete un titolo e un lavoro non cercatelo qui” . E se proprio non volete capirla: “C’è accordo sul fatto che nessuna area di scuola secondaria dovrà essere caratterizzata da un percorso a forte terminalità, che preveda prioritariamente un esplicito e diretto inserimento nel mondo del lavoro” .
In ogni caso, chi proprio volesse restare a scuola e venire alle superiori, sappia che la commissione intende “ridurre il numero delle discipline e comunque evitare la loro proliferazione” e specialmente “stabilire una relazione forte tra ciò che si studia a scuola e ciò che esiste nella realtà e nella società”
Questa frase è agghiacciante: stabilire un contatto tra lo sfruttamento di questa società e la scuola? Stabilire un contatto tra la speculazione e lo sfruttamento e la scuola? Stabilire un contatto tra la flessibilità selvaggia e la scuola? Stabilire un contatto tra la “globalizzazione” e la scuola?
In realtà al capitolo successivo si scopre cosa voglia dire questa frase sibillina.
e) …… legalizzazione del lavoro infantile !
Parlando del rapporto tra istruzione e obbligo formativo, la commissione esce per la prima volta allo scoperto sulla questione del lavoro infantile. Essa scrive infatti che “nei primi due anni del ciclo secondario, anche attraverso uno stretto raccordo con l’istruzione professionale, devono essere poste le basi per i successivi percorsi all’interno della scuola, della formazione professionale oppure dell’apprendistato”.
Chiariamo subito: “apprendistato” vuol dire “lavoro” e “primi due anni di scuola superiore” vuol dire dai 13 anni. Oggi il lavoro è vietato fino a 15 anni (lo era fino a 14, ma visto che l’obbligo scolastico è stato spostato a 15 anche il divieto sarebbe spostato a 15, per via di una norma internazionale dell’OIT). In altre parole: la legge introduce la legalizzazione del lavoro minorile attraverso la scuola e aggira in questo modo delle norme internazionali per la cui applicazione si battono persino i sindacati del Burundi!
Poi, di seguito, si indica che questo dovrà avvenire attraverso percorsi “personalizzati per quei ragazzi che intendono uscire dal sistema scolastico e accedere alla formazione professionale e all’apprendistato”. Poche righe più sopra si dice anche che nella scuola di base bisogna prevedere “l’adozione nel curricolo di una quota orario per la personalizzazione dei percorsi formativi come quella di 100 ore prevista per i primi due anni di scuola secondaria”
Riassunto generale: attraverso dei percorsi individualizzati di 100 ore (pari a un mese di scuola) i ragazzi meno capaci possono essere avviati al lavoro (apprendistato) a partire dai primi due anni delle superiori in modo esplicito e diretto, e a partire dagli ultimi due del ciclo primario in modo indiretto.. In altre parole: il lavoro infantile riappare nel 2000 grazie alla riforma dei cicli e al governo di “sinistra”. A voi i commenti.
E, d’altra parte, nel capitolo sulla “centralità della persona umana” (!) si dice apertamente che “ci sono apprendimenti che vengono più efficacemente sviluppati fuori dalla scuola, in contesti informali (…) L’istituzione scolastica non dovrebbe ignorare nessuna di queste acquisizioni”.
E che cosa c’è di più “informale” di un lavoro non pagato, fatto in orario scolastico al posto di materie, “anche attraverso il lavoro interinale”?
Continuiamo: “Il collegamento tra scuola e mondo del lavoro deve essere realizzato sviluppando abilità cognitive e relazionali in percorsi di formazione che sul piano del metodo e dei contenuti siano idonei a connettere nel modo più attivo e completo i giovani con il mondo del lavoro”. Traduzione: abolizione della libertà di metodo didattico per adattarlo al mondo del lavoro, in modo che i giovani vengano educati alla flessibilità, alla deregolamentazione, ad accettare qualunque tipo di contratto, alla disoccupazione…
Ma non finisce qui: la commissione prevede che all’interno delle stesse classi e degli stessi corsi di studio si integrino alunni che vanno a lavorare e altri che studiano: “Si tratta di verificare in che misura sia possibile, con la riforma dei cicli, per gli istituti secondari (tutti) realizzare in collaborazione con il sistema formativo regionale (quindi il sistema formativo sarà regionale e i suoi titoli non avranno più valore nazionale!) percorsi che consentano di conseguire contemporaneamente il diploma di istruzione e una qualifica professionale” attraverso “percorsi integrati con agenzie di formazione professionali o con altri soggetti idonei, pubblici e privati per potenziare l’offerta formativa e consentire i passaggi tra i sistemi”.
Immaginatevi il caos: ragazzi che fanno alcune ore al “liceo”, per poi uscire di classe e fare un po’ di formazione professionale, un po’ di lavoro e poi ritornare al liceo, mentre altri (si dice esplicitamente che la cosa riguarda tutti) restano in classe a fare il loro normale corso di studi e altri ancora andranno a lavorare in seguito.
Tutto questo viene chiamato “liceo” !
f) il ridicolo supera se stesso
Prima di passare alle conclusioni, sono necessarie due parole sui “programmi” che toccherebbero agli studenti delle superiori.
Non vogliamo strafare, sappiamo di essere stati già prolissi: ma quando il ridicolo chiama, come non rispondere?
Secondo la commissione bisogna in particolare tenere presenti “i problemi della formazione della cittadinanza (…)”. In questo senso i programmi saranno centrati su questi criteri: “Essenzialità, progressività, verticalità, congruenza (con le finalità generali e specifiche dell’indirizzo), coerenza interna, flessibilità (non avevo dubbi), modularità, significatività, orientatività, linearità, realizzabilità, rivedibilità, continuità/discontinuità”
C’est tout.
Per la commissione, ca, suffit: voilà les programmes: saranno “essenziali e orientativi, rivedibili e significativi, flessibili e coerenti…”.
Più o meno come se, di fronte ad un malato che chiede al medico “come pensa di affrontare questa mia malattia?” il medico rispondesse: “Con serietà, con significatività, con congruenza (con le finalità generali e specifiche)”.
(Alcune di queste parole non si trovano nemmeno sul vocabolario: saranno mica inventate dal linguista Dumbo?).

CONCLUSIONI

Ogni lettore potrà farsi la sua opinione: il titolo “ritorno al medioevo è esagerato”?
E’ esagerato parlare di ritorno al medioevo quando si prevede la frantumazione della scuola nazionale uguale per tutti, bandiera della Rivoluzione Francese, e la sua divisione in tante scuole locali, con organizzazioni e programmi differenti e con la disgregazione del tessuto culturale di una intera nazione?
E’ esagerato parlare di ritorno al medioevo quando si scrive apertamente che i ragazzi non devono più aspirare ad un diploma nazionale spendibile nel mondo del lavoro, ma semplicemente a certificazioni individuali che aprono la strada alla individualizzazione del rapporto di lavoro?
E’ esagerato parlare di ritorno al medioevo di fronte ala distruzione dei contratti nazionali che emerge dal documento?
E’ esagerato parlare di ritorno al medioevo di fronte al fatto che ogni scuola potrà essere influenzata e avere aiuti finanziari da qualunque signorotto-industriale locale che voglia prelevare gli studenti per avviarli al lavoro gratuitamente e sfruttarli?
E’ esagerato parlare di ritorno al medioevo di fronte ad una tale teorizzazione del valore delle conoscenze e della cultura per l’emancipazione dell’uomo?
Infine, che dire di fronte alla prospettiva di avere ragazzi di 13 anni (e anche meno) che vanno a lavorare anziché a scuola (con li pretesto della formazione-lavoro), “in barba” alla legislazione nazionale e internazionale?
Possiamo già sentirli i demagoghi dell’istruzione, nella loro vuota condanna del lavoro minorile, delle “sacche” come le chiamano, mentre strombazzano ai quattro venti che è necessaria una riforma della scuola per combattere questa “piaga”, e così facendo si rendono complici o artefici diretti della legalizzazione delle “sacche”.
Noi poniamo semplicemente un problema: si può accettare tutto questo?
E’ un problema che poniamo agli insegnanti, ai genitori, agli studenti. Ma prima di tutto ci rivolgiamo ai deputati, ai senatori che nei prossimi mesi dovranno analizzare questo lavoro e i decreti applicativi che ne discenderanno: nessuno può accettare di discutere in parlamento su questa base.
Infine, ci rivolgiamo alle organizzazioni sindacali, a tutte le sigle: oggi è possibile denunciare e fermare la riforma dei cicli. Il documento della commissione chiarisce ogni dubbio sulla natura di questa legge: unitevi a noi e organizzate la mobilitazione di cui abbiamo bisogno.

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