Apriamo la discussione: Può essere l’Autonomia la via d’uscita?

“Manifesto dei 500”

insegnanti e genitori per il ritiro della riforma dei cicli e la difesa della scuola pubblica

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Può essere l’Autonomia la via d’uscita?

Commento alle “Note di indirizzo” del ministro Fioroni di Lorenzo Varaldo, discusso e approvato nelle riunioni del “Manifesto dei 500” di Abbiategrasso-Milano (6/9) e Torino (7/9).

Premessa

Per quattro anni, e poi in modo più preciso e intenso nei mesi che hanno preceduto le elezioni del 7 aprile, il grande movimento degli insegnanti, dei genitori, dei cittadini che si erano battuti contro la “riforma” Moratti aveva espresso una posizione chiara: se si vuole salvare la scuola pubblica italiana, se si vogliono preservare i diritti dei nostri figli, se si vogliono difendere le conquiste sancite nella nostra Costituzione non è assolutamente sufficiente “rivedere” la legge 53, ma è necessario abrogarla completamente.

Contrapponendosi a questa posizione, il programma dell’Unione si esprimeva invece per una revisione della legge, sostenendo che questa sarebbe stata la strada più adatta per “cambiare radicalmente politica”.

Oggi, a ben cinque mesi dalle elezioni, i bambini e i ragazzi stanno tornando a scuola. E’ un fatto: la “riforma” non è stata abrogata.

Dal nostro punto di vista è giusto quindi porre una questione: la scuola che troveranno i bambini e i ragazzi è “radicalmente cambiata”? O almeno: i danni che la “riforma” Moratti aveva cominciato a produrre hanno cominciato ad essere riparati?

Per rispondere a questa domanda mi sembra giusto partire dalla Nota di Indirizzo che il Ministro ha inviato alle scuole per l’inizio dell’anno.

“Autonomia e innovazione”: quali conseguenze concrete?

La Nota del Ministro ha un titolo che delinea, da solo, tutto l’indirizzo: “Autonomia e innovazione”.

In effetti la parola “Autonomia” viene nominata ben 34 volte in un documento di sole 6 cartelle.

Non si può quindi prescindere da questo ricorso ossessivo all’Autonomia. Ma da quale punto di vista analizzare la questione?

Si tratta, a mio modo di vedere, di rispondere ad un problema: che cosa significa concretamente questa Autonomia di cui parla il ministro?

Da dieci anni ci sentiamo dire (da tutti i governi e da tutti i ministri) che in nome dell’Autonomia la scuola si svilupperà, migliorerà, darà più strumenti a ragazzi e insegnanti.

Ciò che abbiamo invece visto nel concreto è stato l’esatto contrario: un attacco all’unitarietà del sistema scolastico e quindi all’unità del Paese attraverso la distruzione dei Programmi Nazionali; un continuo taglio di posti che ha costretto in molti casi a demolire il Tempo Pieno e non ha lasciato alcuna “scelta” alle scuole; la fine degli esami di quinta che segnavano un passaggio fondamentale sia per la crescita del ragazzo, sia per l’unitarietà del sistema, lo svuotamento del carattere nazionale dell’esame di maturità…

A giugno, nella “Lettera Aperta al ministro”, avevamo chiesto che si aprisse una discussione sul ruolo e sul senso dell’Autonomia scolastica, sollevando il problema di come essa stesse conducendo alla frammentazione e allo smembramento del sistema scolastico italiano.

E’ nel concreto della Nota del ministro che possiamo trovare alcune prime risposte.

Dietro il sollievo…

E’ certamente con sollievo che gli insegnanti e i genitori hanno trovato nella Nota del ministro la conferma della sospensione del tutor e del Portfolio, che però erano già stati rimessi in causa dal contratto nazionale e dal garante della privacy. Va precisato che “sospensione” non è “abrogazione”, ma nessuno può negare che il passo sia positivo.

Tuttavia le prime righe della Nota del Ministro pongono subito alcuni problemi: Il processo di riforma dell’intero sistema di istruzione e formazione, avviatosi verso la metà degli anni ’90, non è ancora completato” e un impegno verrà messo nel prossimo periodo per “completarlo”.

Sorprendentemente e contro tutte le opinioni di coloro che vedevano nella Moratti una rottura con le leggi del governo precedente (riforma dei cicli di Berlinguer, Parità, Autonomia), la “riforma” del governo Berlusconi viene quindi considerata dal ministro parte di un complessivo processo che andrebbe “completato”. La Moratti, per il ministro, non avrebbe fatto altro che proseguire un percorso avviato alla metà degli anni ’90 da un governo di diverso colore politico….

Non sono io a dirlo, è il nuovo ministro della pubblica istruzione dell’Unione.

Da parte mia preferisco, in questa sede, limitarmi ai fatti

In effetti, a causa della non abrogazione, molti aspetti della legge 53 restano in vigore con conseguenze immediate preoccupanti

– Poiché le Indicazioni Nazionali sono ancora in vigore e i libri di testo ufficiali corrispondono ad esse, i bambini e i ragazzi che frequentano scuole dove si applica questa parte della “riforma” seguiranno anche quest’anno programmi drasticamente ridotti e usciranno dalla scuola con una preparazione nettamente inferiore; questi ragazzi, per esempio, usciranno dalla scuola elementare e arriveranno in terza media senza aver mai sentito parlare di Rivoluzione Francese, Unità d’Italia, Guerre Mondiali, Fascismo, Nazismo, Resistenza e, in geografia, senza aver mai affrontato l’Europa e il resto del mondo, e questo all’inizio del XXI secolo!

– Nello stesso tempo l’eliminazione dei Programmi Nazionali ha cominciato ad introdurre grandi differenzetra una scuola e l’altra, tra una zona e l’altra. A ciò ha contribuito anche l’eliminazione dell’esame di quinta.

– Moltissime famiglie si sono viste rifiutare l’iscrizione al Tempo Pieno mentre in centinaia di altri casi l’iscrizione è stata accettata, ma.….. non si sono concessi gli insegnanti necessari! Ciò ha portato, per coprire l’orario, alla creazione di classi miste (alunni della stessa classe che hanno orari differenti) o alla “rotazione” anche di 10-11 insegnanti alla settimana su una classe!

– Migliaia di bambini andranno alla scuola materna ed elementare in anticipo, con gravi danni per il loro percorso scolastico (la realtà è questa anche alla scuola dell’infanzia).

Che cosa ci sarebbe da “completare” in tutto ciò?

Milioni di insegnanti, genitori, cittadini, hanno votato per l’Unione non per vedere la “riforma” completata, ma per cambiare radicalmente politica.

Cerchiamo allora di vedere se ciò, almeno parzialmente, viene prospettato.

La questione dei Programmi Nazionali.

La Nota afferma che ci sarà un forte impegno per giungere in tempi ragionevoli alla revisione delle attuali ‘Indicazioni Nazionali e al completamento di quanto previsto.”

Stiamo attenti alle parole: il ministro parla di “revisione”, ma anche di “completamento”.

Ora, le Indicazioni Nazionali rappresentano un arretramento culturale assoluto e si fondano sulla teoria reazionaria che, negando la ciclicità dell’apprendimento, mira a formare un individuo unidirezionale, mai abituato a ritornare in modo critico e più approfondito sul sapere, mai abituato ad approcci diversi, destinato a disperdere in poco tempo il proprio sapere. Esse preparano, specie in campi come storia e geografia, e specie per i ragazzi più svantaggiati, un’ignoranza allarmante.

Enrico Panini, segretario generale dell’FLC-CGIL, commenta in questo modo la conferma delle Indicazioni Nazionali: “Abbiamo chiesto al Ministro di sospendere da subito le Indicazioni Nazionali attualmente in uso, seppure in forma provvisoria, nella scuola e di evitare che esse continuino a rappresentare il punto di riferimento nella predisposizione dei libri di testo mentre si lavora al loro superamento. Le Indicazioni Nazionali sono uno strumento pesantemente criticato dalla comunità scientifica del nostro Paese (basti ricordare che lo studio della storia dell’età moderna e del Novecento, è previsto solo a partire dai tredici anni di età dei ragazzi). Inoltre, le Indicazioni sono state bocciate dagli insegnanti dal punto di vista professionale. Per questo era necessaria una indicazione molto più netta nella Nota del Ministero”. (comunicato stampa del 31/8)

Condivido questa analisi e quindi mi chiedo. come è possibile pensare che questo processo vada “completato”? Che cosa significa auspicare “un ripensamento in chiave unitaria e progressiva dell’intero percorso dai 3 ai 16 anni”, come scrive il ministro?Forse si vuole “completare” un curricolo unico?

Un fatto è certo: tutto il movimento, tanto coloro che hanno sottoscritto proposte di legge, quanto coloro che chiedevano la semplice abrogazione, si è espresso chiaramente per il ripristino dei “Programmi Nazionali” precedenti.

Si può accettare che invece si proceda ad un “completamento” delle Indicazioni Nazionali rigettate in massa?

Alla Festa dell’Unità di Brescia (7 settembre, cifr. Retescuole) il ministro dice di aver fatto quello che poteva e che ora tutto dipende dalle scuole, aggiungendo che i Programmi Nazionali precedenti non sono stati mai abrogati.

Può essere un punto di appoggio per coloro che hanno continuato ad applicare i Programmi precedenti.

Però i libri di testo sono “riformati”…e in questo modo avremo classi e scuole che fanno i programmi più diversi in tutto il Paese.

Un conto era accettare questa situazione sotto il governo Berlusconi, perché rappresentava un cuneo per resistere nelle scuole; un altro conto è confermarla adesso. Ciò di cui abbiamo bisogno è una frase precisa per dare a tutti (anche alle case editrici, a partire da quelle legate ai partiti di governo, e si spera non arrivino a decidere loro!) un segnale chiaro del tipo: “I libri di testo verranno cambiati per tornare dal prossimo anno ai Programmi Nazionali precedenti”

Come si procederà alla “revisione” annunciata delle Indicazioni Nazionali?

Il ministro precisa: Con il riconoscimento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche vengono meno i ‘Programmi Nazionali, sostituiti, da un lato, da ‘Indirizzi’ o ‘Indicazioni’ nazionali e orientamenti per la scuola dell’infanzia, che devono essere molto essenziali nella loro parte prescrittiva e, dall’altro, dal curricolo didattico elaborato dalle scuole all’interno del Piano dell’Offerta Formativa”.

Questo passaggio pone diversi problemi.

Per fare un esempio concreto: la frase del Ministro significa che una scuola potrebbe fare la storia fino ai Romani alle elementari, un’altra fino al Medioevo, un’altra ancora fino ai giorni nostri? Significa che una scuola media potrebbe decidere di ripetere l’intera cronologia e un’altra no?

Se la direzione fosse questa ci troveremmo a continuare e approfondire il percorso disastroso avviato dalla Moratti di smembramento dell’unitarietà della scuola italiana.

Poche righe oltre il Ministro spiega che per “curricolo di scuola” si deve intendere la “sintesi progettuale ed operativa delle condizioni pedagogiche, organizzative e didattiche che consentono di realizzare un insegnamento efficace ed adeguato agli alunni, nel rispetto degli indirizzi curriculari di carattere nazionale”.

Anche questo passaggio, che forse vorrebbe risolvere le questioni poste in precedenza, in realtà accentua i problemi.

Le condizioni pedagogiche e didattiche, infatti, non potranno mai essere definite “per scuola”, poiché in realtà esse discendono dalla libertà di insegnamento degli insegnanti, che è appunto libertà pedagogica e didattica, libertà che non solo è sancita nella nostra Costituzione, ma è la base di ogni scuola libera, democratica, egualitaria, che permetta una vera ricerca, quindi il suo sviluppo.

Questa confusione tra programmi, programmazione, pedagogia, didattica, libertà d’insegnamento è stata alimentata per anni, specie nella scuola elementare. Ma come tutti i nodi irrisolti, anche questo ora arriva al pettine.

I “vecchi” Programmi Nazionali risolvevano alla radice questo problema: essi definivano un territorio culturale comune a tutto il Paese e affidavano poi agli insegnanti il compito di raggiungere, con i metodi e gli strumenti che ritenevano idonei, tali obiettivi.

I genitori e le famiglie avevano la garanzia che gli obiettivi erano uguali per tutti, in ottemperanza tra l’altro dell’.art. 3 della Costituzione; gli insegnanti, da parte loro, avevano la più ampia libertà di adottare, cambiare, discutere, ricercare i metodi e i contenuti migliori per raggiungere quegli obiettivi.

Perché dunque rimettere in causa i Programmi Nazionali, creando così le condizioni per l’esplosione dell’intero sistema e/o per pedagogie e didattiche “di scuola”?

Nella Lettera Aperta al Presidente della Repubblica scrivevamo: “La nostra Repubblica è “una e indivisibile” e Lei “rappresenta l’unità nazionale” e tutte le conquiste sociali e democratiche sancite nel Testo costituzionale. L’unità del nostro Paese non è un fatto astratto, ma è unità culturale, politica, sociale e gli articoli 9, 33 e 34 della Costituzione, collegati all’art. 3, che sancisce che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, definiscono il quadro generale all’interno del quale la scuola contribuisce ad essa.”

La migliore garanzia di tutto ciò non sta proprio nei Programmi Nazionali? Per quale motivo sarebbero di colpo obsoleti?

La questione dell’orario.

Come tutti sanno la “riforma” introduceva le ore facoltative trasformando la scuola in un servizio a domanda individuale e rompendo così, ancora una volta, il principio di unitarietà del sistema e di uguaglianza dei diritti dei ragazzi.

Che cosa fa la Nota del Ministro?

Essa, citando come si è visto l’Autonomia Scolastica che viene presa come modello assoluto, recita: Il richiamo al Dpr 275/99 (ed all’art 4 della sequenza contrattuale stipulata il 17-7-2006) consente di meglio distinguere il concetto di attività curricolari comuni ed opzionali (da inserire comunque nell’orario obbligatorio onnicomprensivo e di pertinenza della scuola) e di attività facoltative, chiaramente aggiuntive e da negoziare con i genitori degli allievi.”

Come giustamente è stato chiesto pubblicamente in un intervento su Retescuole (Patrizia, da Cento, 4/9/06), che cosa significa? Che la scuola può istituire ore aggiuntive? Aggiuntive rispetto a cosa, visto che intanto la legge Moratti e il decreto applicativo sono in vigore?

Abbiamo già visto che cosa vuol dire “negoziare” le ore con le famiglie….

Due cose sono certe e corrispondono ai fatti di questi giorni:

1) se non viene ripristinato l’organico di 2 insegnanti titolari ogni Tempo pieno e 3 ogni Modulo e i doppi organici per il Tempo prolungato, tutti i discorsi su orari, “ripristino” del Tempo Pieno etc. saranno solo la continuazione del bla bla che la Moratti ripeteva andando in TV a dire che il Tempo Pieno era salvo, anzi, avevamo capito male, veniva esteso! La prova di questo sono le centinaia di classi “a Tempo pieno” istituite….senza gli insegnanti, con le scuole che si trovano quindi a organizzare turni, smembramenti di classi, riduzioni di orario, classi ghetto etc..

Qualche esempio? In una scuola sono stati “concessi” 7 TP con…12 insegnanti. Risultato: il caos.

In un’altra si sono “convinti” i genitori ad accettare un falso “TP” con soli quattro pomeriggi. Risultato. Il Dirigente ha “convinto” i più deboli culturalmente, cioè gli stranieri e i portatori di handicap, formando così una classe ghetto. Diciamolo chiaramente: di tutto ciò non è più responsabile (solo) la Moratti….

2) Sulla base della direttiva citata dal ministro (direttiva dell’Autonomia) restano in piedi gli orari più diversi: 27 ore, 30 ore, 33 ore, 37, 40…..

Individualizzazione, personalizzazione…

Abbiamo visto che il Portfolio viene sospeso, e questo è senza dubbio un fatto positivo.

Va però precisato che ciò che viene sospeso è il suo carattere ufficiale, di certificazione, di attestazione etc… Ma ciò lascia aperta la porta al fatto che molte scuole che lo avevano adottato continuino ad usarlo.

Il problema di fondo è ancora una vola capire che cos’era il Portfolio.

Esso non era affatto uno strumento avulso da ogni contesto, privo di un suo “perché”, ma il punto finale di un percorso teso a “individualizzare” o “personalizzare” i programmi e gli apprendimenti, negando i principi costituzionali.

Cosa scrive il Ministro Fioroni nella Nota?

“Non è, pertanto,vincolante l’adozione di una particolare forma progettuale rispetto ad altre possibili e diverse, ma è vincolante che le progettazioni dei percorsi didattici siano orientate a sviluppare le competenze fondamentali, a garantire il raggiungimento degli standard stabiliti, siano attente a promuovere il protagonismo dell’alunno, chiamato ad “apprendere ad apprendere”, siano sufficientemente flessibili per consentire un insegnamento individualizzato negli obiettivi da raggiungere ed un apprendimento personalizzato nei modi e nei tempi per conseguirli”.

Attenzione: si parla di “standard” generali, ma poi si precisa che ci deve essere un “insegnamento individualizzato negli obiettivi”: ciò apre di nuovo la strada ad obiettivi diversi da bambino a bambino, da ragazzo a ragazzo.

E’ il rovesciamento del ruolo dello Stato nella scuola della Repubblica: non più lo Stato e il governo che fanno di tutto (programmi nazionali, insegnanti sufficienti, classi poco affollate, sussidi, corsi, insegnanti di sostegno….) per far raggiungere a tutti gli stessi obiettivi, ma lo Stato che si dissolve e incarica gli insegnanti e le scuole di definire obiettivi più bassi per chi non ce la fa…

Questa filosofia non ha nulla di astratto, ma corrisponde ad un fatto preciso: nel momento in cui vengono pubblicate le Note il governo ha formulato la proposta di eliminare 100.000 posti di insegnanti, di aumentare gli alunni nelle classi, di ridurre i fondi della Pubblica Istruzione.

E’ chiaro che uno Stato che tagli classi e posti non può più garantire un certo livello, e quindi abbassa i suoi obiettivi colpendo prima di tutto i più svantaggiati.

Ma per fare questo ci vuole una “pedagogia” ad hoc, quella appunto dei programmi individualizzati, delle Indicazioni Nazionali (“indicazioni”, in italiano, ha un senso preciso…), che introduce la tendenza a fare tutti di meno.

Ma dove può condurre questa filosofia?

In un passaggio della Nota il ministro cita ancora una volta il DPR 275 sull’Autonomia: “Il principio educativo della scuola è dato dalla centralità del soggetto che apprende, con la sua individualità e con la rete di relazioni che lo legano alla famiglia e ai diversi ambiti sociali, regionali ed etnici.”

Questa frase pone, ancora una volta, problemi enormi. Dire che il soggetto che apprende debba essere al centro della scuola può essere positivo se si intende che l’attenzione degli insegnanti deve essere centrata sul fatto che tutti abbiano gli strumenti e le possibilità di apprendere. Ma questo non è altro che l’etica degli insegnanti che va associata al dovere dello Stato……

Ma è questo il senso della frase?

In realtà il pezzo citato mette al centro l’individuo “con la sua rete di relazioni che lo legano alla famiglia e ai diversi ambiti sociali, regionali ed etnici”. Questo passaggio non può sfuggire perché nasconde un ribaltamento del ruolo della scuola.

La scuola della Repubblica, la scuola dell’art. 3 della Costituzione, dovrebbe infatti permettere e favorire l’esatto contrario: un distacco dagli ambiti sociali e famigliari (ricchi o poveri, di classi abbienti o meno, con strumenti culturali o no…), regionali (!) e persino “etnici”, per favorire la piena emancipazione e liberazione della persona.

La scuola dovrebbe rappresentare una “rottura” con ciò che il bambino vive a casa, e tanto più per le classi meno abbienti.

Era la Moratti che sosteneva la continuità…..

Mi rendo conto che dopo trent’anni di pedagogia della “continuità” questa posizione può sorprendere. Ma io penso che sia ora di una seria riflessione.

Il prof. Bailone, docente di Filosofia politica all’Università Popolare di Torino, diceva nel suo intervento alla Conferenza-Nazionale dei firmatari della “Lettera Aperta al Presidente della Repubblica” (aprile 2005): Permettetemi una citazione di Kant, una deformazione professionale; Kant scriveva: “I fanciulli non devono venire educati conformemente allo stato presente della specie umana, ma per uno stato migliore possibile… secondo l’idea dell’umanità e della sua destinazione. I genitori in generale allevano i loro figli solo in modo che si trovino bene nel loro tempo…, si curano solo che i figli facciano carriera…; i principi considerano i loro sudditi come strumenti per i loro intenti. I genitori pensano alla casa, i principi allo Stato; gli uni e gli altri non hanno per fine ultimo il bene universale e la perfezione a cui l’umanità è destinata, e per cui ha disposizione”.

Dalla scuola di oggi esce l’umanità di domani. La questione della scuola non è solo una questione di livello costituzionale, ma molto di più, perché quelli che domani potranno mettere mani alla nostra Costituzione usciranno dalla scuola di oggi. Se il mondo domani sarà migliore o peggiore dipenderà anche da com’è la scuola oggi. Ecco perché Kant diceva “bisogna sottrarre l’azione educativa agli interessi particolari dei genitori e dei principi”.

Oggi naturalmente queste particolarità sono diverse, perché i genitori di oggi sono diversi dai genitori di oltre due secoli fa, i moderni principi sono abbastanza diversi dai principi del settecento. Però un elemento resta fermo: la parzialità, la particolarità dei loro interessi. Ebbene, la scuola ha bisogno di essere vista al di sopra di questa parzialità, è necessario assumere un punto di vista universale; Kant dice che il piano…deve diventare cosmopolita”.

“Cosmopolita”. E il ministro propone i curricoli di scuola, nel 2006, con il 20-25-30% di alunni stranieri, arabi, cinesi, rumeni…!

Le scuole come tante “comunità”?

Questo problema è associato in continuazione, nella Nota del ministro, alla concezione della scuola e in particolare dell’Autonomia Scolastica come una “comunità”. Si tratta di una delle tante parole che mirano ad affascinare e suggestionare, ma dove ci porta questa strada?. Lasciamo parlare il ministro Fioroni.

In un’intervista apparsa su “Specchio” (supplemento de “La Stampa”, 9 settembre) il ministro dice “La scuola è una comunità in cammino. Camminiamo tutti i insieme, genitori, allievi, insegnanti. Io vengo dall’esperienza degli scout e mi è rimasta questa idea, che la strada è fondante per arricchirsi nel percorso (…) Non esiste la pedagogia di Stato, ma l’autonomia scolastica”.

Queste frasi sono molto preoccupanti.

A parte il linguaggio utilizzato, il ministro dice: ogni scuola è una comunità e, come con gli scout, si fa un cammino insieme per definire il progetto della scuola stessa.

La confusione genera confusione, ma è arrivato il momento di chiarire.

Attenzione: con tutto il rispetto per gli scout e per qualunque altra associazione, religiosa, politica o altro, la scuola della Costituzione non ha nulla a che vedere con tutto ciò. Si tratta di contesti radicalmente diversi. Gli scout sono un’associazione libera, scelta dalle persone che ne fanno parte, che possono entrarci e uscirne quando vogliono, con un progetto educativo ben preciso, ma anche ben delimitato.

La scuola pubblica non è nulla di tutto ciò: è una scuola obbligatoria; a cui ci si iscrive e che non può essere lasciata quando si vuole, ma quando decide la legge (ci si diploma o si raggiungono i limiti di età); che non si fonda su una scelta iniziale; che non ha identità culturali precise (figuriamoci se può averle un singolo istituto come pretende l’art. 8 del DPR 275!) proprio perché è il terreno del confronto tra più identità; nella quale gli insegnanti possono avere le idee più diverse, non si scelgono tra di loro né vengono scelti da altri se non sulla base di concorsi nazionali che nulla hanno (o dovrebbero avere) a che vedere con le loro idee, possono stimarsi, non stimarsi, polemizzare, collaborare, ma sempre liberamente e con un unico vincolo: il rispetto reciproco e degli allievi, nel quadro dei Programmi Nazionali.

Invece la concezione del ministro, che, lo dice lui, mette al centro l’Autonomia con il “progetto di scuola” potrebbe essere il manifesto programmatico della…..scuola privata!

La confusione, dicevo, va da anni di pari passo con la suggestione. Qui l’ammiccamento-suggestione si condensa nella frase “Non esiste pedagogia di Stato, ma l’Autonomia scolastica”.

E’ tipico della suggestione partire da affermazione sacrosante per associarle a elementi che non c’entrano nulla.

E’ vero: non esiste e non deve esistere pedagogia di Stato. Ma allora a cosa andiamo incontro con la “comunità” di tipo scoutistico? Alla pedagogia di scuola? O, peggio, alla “comunità” di scuola? E se un insegnante non condivide? E se un genitore o un allievo non condividono?

Da quando le libertà sono “collegiali” o di “comunità”?

Provo a pormi sul terreno del ministro per spiegare la contraddizione.

E’ evidente che fin dal linguaggio il ministro concepisce la “comunità” secondo un modello cattolico. Pongo allora una questione: e se domani una scuola si affermasse come “comunità” musulmana?

Vi sembra esagerato? E allora giriamola diversamente: e se una scuola decidesse di essere “comunità” “padana” (ben più possibile in certe zone)?

Ecco perché frasi apparentemente innocue e persino scontate sono invece in contraddizione con i principi della scuola pubblica. Ecco perché l’unica strada è il ripristino dei programmi nazionali, delle schede di valutazione nazionali, degli esami nazionali….

Portfolio? O schede nazionali?

Come detto, il Portfolio della Moratti non era per nulla scollegato da questo contesto di individualizzazione-personalizzazione dell’insegnamento.

Tale processo trova una delle sue massime espressioni nella sostituzione delle “conoscenze” con le “competenze”. Non esiste praticamente documento degli ultimi dieci anni (di tutti i governi che si sono succeduti) che non metta l’accento su questo spostamento che non è solo semantico.

Le “conoscenze”, che fanno appunto riferimento alla cultura, al rapporto individuale del soggetto che apprende con ciò che apprende, alla libertà dell’individuo, vengono sostituite con le “competenze”, molto misurabili, “spendibili” dall’individuo nel mercato del lavoro per “vendersi” individualmente in perenne concorrenza con gli altri.

Ogni svolta reazionaria ha bisogno della sua “pedagogia” e oggi abbiamo quella delle “competenze”.

Come abbiamo visto il Portfolio è sospeso, probabilmente morirà nella forma proposta dalla Moratti.

Ma che cosa scrive il Ministro nella Nota? La certificazione delle competenze sarà proposta in un’ottica sperimentale solo per l’ultimo anno del ciclo di base, come descrizione degli esiti raggiunti da ciascun allievo rispetto a criteri [standard] preventivamente definiti, sulla base di un modello nazionale definito da questo Ministero.”

“Certificazione delle competenze”? Su criteri standard definiti dal ministero?

Che cosa significa, forse che alla fine della terza Media ci sarà una sorta di mega-portfolio (che naturalmente verrà chiamato in altro modo, il nome è “bruciato”) definito centralmente?

Nell’intervista citata in precedenza il ministro dice: “. Il portfolio per essere attuato ha bisogno di indicazioni nazionali definitive, e noi le abbiamo solo provvisorie. E’ sicuramente uno strumento importante, ma ci sono difficoltà oggettive ad applicarlo. (…) Di norma si tornerà all’uso delle schede di valutazione”.

Il Portfolio uno strumento importante?

“Di norma” si torna intanto alle schede di valutazione e nella Nota il ministro dice che dovranno essere “sobrie”. Ma chi farà queste schede di valutazione? Saranno uguali per tutti o continueremo ad avere una valutazione diversa da scuola a scuola, da città a città?

Le famiglie non hanno diritto ad una valutazione uguale per tutti, confrontabile sul territorio nazionale?

Va sottolineato inoltre come la Nota del Ministro faccia riferimento, ancora una volta, alle direttive dell’Unione Europea e in particolare alla “formazione per tutto l’arco della vita” che viene citata come riferimento fondamentale.

Ma come abbiamo già più volte dimostrato citando direttamente i documenti, le direttive UE impongono proprio queste certificazioni personali delle “competenze” nell’ottica di distruggere diplomi, contratti nazionali, lavori stabili, avendo come riferimento il fatto che ogni lavoratore dovrebbe essere sempre disponibile a cambiare lavoro, passando da periodi di impiego a periodi di disoccupazione, a periodi, appunto di “formazione” (da qui la “formazione per tutto l’arco della vita”), in posti e città diverse, nei settori più differenti, pena la perdita di un salario minimo. Ed è sempre l’UE che oggi impone in nome di Maastricht le restrizioni budgettarie che sono alla base dei tagli e della mancanza di posti…..

La questione dell’esame di quinta

L’esame di quinta era un passaggio importante sia pedagogicamente, sia dal punto di vista della scuola nazionale della Repubblica.

Se la scuola elementare esiste ancora essa deve, per segnare proprio la conclusione di un primo ciclo, periodo, fase, avere un esame, il quale, certo, deve essere adeguato all’età e al contesto.

Innanzitutto l’esame ha un valore pedagogico ed educativo. Protetto dai suoi insegnanti e dalle difficoltà limitate, il bambino si trova però ad affrontare una prima prova, una prova che lo mette in ansia, ma si tratta di un’ansia limitata e sulla quale gli insegnanti possono giocare un ruolo importante per il suo superamento. Per questo esame il bambino si è preparato, ha fatto le sue ricerche, ha delimitato un campo del sapere, ha posto le basi per qualcosa dal significato particolare che supera il vecchio modo di lavorare e instaurare rapporti dei cinque anni passati, ma non è ancora quello delle medie.

Questa prova diventa allora davvero una prima crescita, un primo saper superare le difficoltà. E’ un passo importante nella presa di coscienza del saper fare qualcosa in più, dell’essere preparato al salto.

Le difficoltà ci saranno comunque, nella vita e nella scuola. Se eliminiamo l’esame di quinta di fronte a noi abbiamo solo due possibilità: o riduciamo anche le difficoltà degli esami successivi, con tutti i danni culturali e di formazione di cui ormai psicologi, psicanalisti e psichiatri di ogni indirizzo cominciano a rendersi conto; oppure manteniamo ad un livello elevato le prove successive, ma senza aver preparato il ragazzo attraverso il passaggio dell’esame di quinta, più facile, in parte protetto, ma comunque adatto alla sua età.

In tutte due i casi si fa un danno al bambino-ragazzo.

Accanto a questi problemi educativi c’è poi l’aspetto culturale e istituzionale.

L’esame di quinta, con i due insegnanti non titolari che entravano in classe (insieme agli insegnanti di classe che tutelavano il bambino) rappresentava una sorta di primo autocontrollo complessivo dell’unitarietà della scuola italiana. E infine era anche una grande occasione di confronto tra metodi, approcci, stili di insegnamento, confronto che portava con sé a volte anche la critica, persino la polemica, ma tutto all’interno di un sistema regolato dai Programmi e dalla libertà d’insegnamento.

In altre parole: come è anticostituzionale costringere qualcuno ad applicare un certo metodo o una certa didattica, così è assolutamente negativo che gli insegnanti si chiudano in classe, decidano dove arrivare e che cosa fare e non si mettano mai in gioco sottoponendosi e sottoponendo i propri alunni al punto di vista altrui, per diverso che possa essere dal nostro.

Il ministro non nomina il ripristino dell’esame di quinta e parla invece, come abbiamo visto, di “ripensamento in chiave unitaria e progressiva dell’intero percorso educativo che va dai 3 ai 16 anni”. “Unitario” è una bella parola, ma le teorie dell’apprendimento che pensano di ridurre tutto al “progressivo” e lineare (dai 3 ai 16 anni, poi, fa ridere!), senza prevedere e tener conto dei salti, delle rotture, dei passaggi e della ciclicità sono teorie che preparano la formazione di robot piuttosto che persone libere.

Secondo la Nota la scuola di base deve fornire “competenze” per il possesso di “conoscenze, abilità, atteggiamenti e comportamenti, ma anche l’uso di strategie adeguate alla loro utilizzazione nei diversi contesti”.

“Atteggiamenti”, “comportamenti”? E chi li decide: la Chiesa, il partito, il preside, l’insegnante? Anche la Moratti si esprimeva così…..

Le prove INVALSI vanno proprio in questa direzione: sostituire un esame che vede persone (adulti e bambini) interagire, con prove asettiche che non possono dare alcuna idea del cammino reale che il ragazzo ha fatto.

Due parole sulla scuola superiore

La Nota del Ministro parla del fatto che la sperimentazione della “riforma” alle superiori è stata sospesa, che si vogliono salvare gli istituti tecnici e professionali e persino i titoli di studio con valore legale.

Bene. Però un problema si pone: i titoli di studio con valore legale, che da sempre difendiamo, sono perlomeno sviliti se non ci senza Programmi Nazionali. Che senso ha infatti un titolo se non riflette un’unitarietà del sistema?

Il rischio dei titoli all’americana è evidente: hai un titolo, ma se è preso in certe scuole e in certe parti del Paese non vale nulla.

In questo senso il ministro ha anche presentato un progetto di legge per il cambiamento dell’esame di maturità. Certamente si è innestata la retromarcia, anche se lentamente, rispetto alla direzione degli ultimi anni. Ma fino a quando le commissioni non saranno nazionali non si potrà dire davvero che l’esame di Stato è nuovamente nazionale.

Apriamo la discussione

Come si può vedere la Nota del Ministro pone problemi urgenti che hanno ripercussioni decisive per la difesa dei principi della scuola pubblica così come le conquiste della Costituzione ce l’hanno consegnata.

Proviamo a ritornare alla domanda da cui ero partito: i danni che la “riforma” Moratti aveva cominciato a produrre hanno cominciato ad essere riparati? Possono essere riparati senza l’abrogazione definitiva? Possono essere riparati nell’ambito di un’Autonomia Scolastica come quella che ci viene proposta dal Ministro?

A giugno scrivevamo: “L’Autonomia Scolastica si fonda sull’art. 8 del DPR 275/99 che dice: “Il POF è il documento fondamentale che determina l’identità culturale della scuola”. Quale “scuola” può avere un’ “identità culturale” se non una scuola di diritto privato? Come possono esserci migliaia di “identità culturali” diverse nella scuola della Repubblica?”

Oggi si può aggiungere: la Nota del Ministro non apre la porta a scenari preoccupanti proprio da questo punto di vista?

Se letta con attenzione questa Nota pone molti più problemi di quanti non ne voglia risolvere. Il ricorso ossessivo all’Autonomia prova, ma non riesce, a coprire questi problemi.

Questa discussione non è più urgente che mai? E’ possibile farla serenamente se prima non si abroga subito e completamene la “riforma” Moratti e non si ripristinano i Programmi Nazionali precedenti, il Tempo Pieno, gli esami di quinta e le maturità nazionali con commissioni nazionali e non provinciali come proposto dal Ministro?

Consideriamo un fatto: nello stesso momento in cui il Ministro pubblica la Nota, si sta preparando una Legge Finanziaria che si dice dovrebbe tagliare persino 100.000 posti di insegnanti (si dice 100.000 per poi arrivare ad un taglio inferiore, ma intanto…). E intanto il ministro annuncia di voler triplicare i finanziamenti alle scuole private “perché Berlusconi li aveva tagliati”!

Ancora e giustamente Enrico Panini dichiara che se il governo non cambierà indirizzo “lo scontro sarà inevitabile” (comunicato del 2 settembre).

E’ evidente che non si può accettare una simile linea di tagli e di regali alle scuole private. Ma un problema si pone: tutto ciò non è in stretta relazione con la politica dell’Autonomia Scolastica, dei programmi scuola per scuola, del non ripristino del Tempo Pieno e dell’esame di quinta?

Queste note sono state discusse, integrate e approvate nelle riunioni del “Manifesto dei 500” di Abbiategrasso-Milano (6 settembre) e Torino (7 settembre).

Noi le giriamo all’insieme degli insegnanti, dei genitori, delle associazioni, dei sindacati, dei partiti come contributo alla discussione e alla mobilitazione per arrivare davvero all’abrogazione definitiva della “riforma” Moratti.

Il ministro ha detto di voler ascoltare gli insegnanti e i genitori: ma il primo atto per “ascoltarli” non dovrebbe proprio essere quello di abrogare la legge Moratti e ripristinare le condizioni precedenti? Non siamo stati ancora abbastanza chiari e numerosi nel dire questo?

E’ sulla base di queste Note che il “Manifesto dei 500” ha deciso di rivolgersi nuovamente nelle prossime settimane al Ministro e ai capigruppo della maggioranza per chiedere di essere ricevuti e rendere conto a tutto il Paese delle risposte che riceveremo.

Lorenzo Varaldo, 6 settembre 2006

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