Verbale integrale del dibattito

“Manifesto dei 500 genitori e insegnanti per il ritiro della riforma dei cicli”

VERBALE INTEGRALE DEL DIBATTITO DELL’INCONTRO NAZIONALE APERTO PER LA DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA E IL RITIRO DELLA RIFORMA DEI CICLI, TENUTOSI A ROMA IL 23 GIUGNO 2001 SU INIZIATIVA DEL “MANIFESTO DEI 500” e DEL COORDINAMENTO INSEGNANTI-GENITORI DI ROMA (“IL BAMBINO E L’ACQUA SPORCA”)

Interventi di:

Guido Montanari (introduzione)
Lorenzo Varaldo
Mario Sanguinetti
Antonio Mercuri
Marcello Vigli
Loredana Fraleone
Cosimo Scarinzi
Noemi Ranieri
Roberto Malanca
Piero Castello
Roberto Verdi
Vittorio Ciocca
Antonia Baraldisani
Guido Montanari
Lina Carnevale


Guido Montanari (genitore, presidente consiglio di circolo di Torino, docente universitario):

Noi siamo un gruppo di insegnanti e genitori che ha iniziato a riunirsi in modo assolutamente spontaneo, al di fuori di partiti e sindacati, quattro anni fa nel 1997, quando furono discusse pubblicamente, per la prima volta, le linee di governo rispetto alla riforma, in particolare quella Berlinguer. Il punto di partenza delle nostre riunioni era questo: le riforme tendono a distruggere ciò che c’è di buono nella scuola pubblica e aprono la strada a un suo processo di messa in discussione in quanto tale, pensiamo anche solo all’abolizione delle supplenze, all’aumento degli alunni per classe, alla crescita del rapporto tra insegnanti di sostegno e bambini hc. Abbiamo pensato perciò che fosse necessario rispondere con una pratica di lavoro che potesse inaugurare una resistenza di fronte a questo processo. I fatti credo ci abbiano dato ragione: il nostro gruppo ha potuto prendere contatti con altri gruppi e divenire un punto di riferimento importante contro la riforma dei cicli. Noi pensiamo che questa sia un attacco fondamentale alla scuola pubblica, e che non sia attualmente bloccata, ma pensiamo che, in ogni caso, anche Berlusconi continuerà con una politica di smantellamento. Ecco perché abbiamo ritenuto necessario aprire un tavolo sui temi della scuola pubblica con tutte le organizzazioni, i gruppi, i rappresentanti dei sindacati o i semplici militanti. Noi pensiamo che aver lottato contro la riforma dei cicli abbia voluto dire difendere la scuola pubblica e crediamo che questa azione possa essere ulteriormente allargata. Ecco la ragione per cui siamo venuti a Roma con una piccola delegazione e abbiamo invitato tutti i presenti, per discutere in maniera molto aperta su questo tema. Noi vorremmo introdurre con una relazione abbastanza densa le varie questioni e poi aprire la discussione nella speranza di poter individuare anche un terreno comune di operatività. Passo adesso la parola a Lorenzo Varaldo, coordinatore del “Manifesto dei 500”.


Lorenzo Varaldo

(insegnante elementare, coordinatore del comitato nazionale del “Manifesto dei 500”) : Prima di tutto vorrei ringraziare i presenti perché c’è una rappresentatività molto significativa. In particolare vorrei ringraziare il “Bambino e l’acqua sporca” e il Coordinamento insegnanti – genitori di Roma, perché questa riunione è stata combinata insieme: loro hanno cercato la sala, ci siamo tenuti sistematicamente in contatto e ciò dà un’idea. Io e Rita Defeudis, che è un’insegnante di Milano che coordina con me il “Manifesto dei 500”, siamo venuti il 6 marzo a Roma per incontrare Daniela Colturani, segretario nazionale della Cisl Scuola e Fedele Ricciato, segretario nazionale dello Snals, che avevano risposto al nostro invito e che in sostanza si dicevano d’accordo nel fare qualcosa per bloccare la riforma dei cicli. Nell’incontro era emersa una certa disponibilità a organizzare delle cose, a mobilitarsi, e nella stessa occasione abbiamo incontrato anche il Coordinamento del “Bambino e l’acqua sporca” e Mario e Piero ponevano questo problema: va molto bene se loro dicono di volersi mobilitare, se lo fanno noi saremmo anche d’accordo ad una manifestazione unitaria per fermare i cicli, però se loro non lo fanno noi cosa facciamo? E questo è un problema che è tornato più volte, ad esempio nell’assemblea di Torino di 300 insegnanti e genitori dell’inizio di marzo. Noi, come Manifesto, ci battiamo per l’unità più larga possibile e in particolare ci indirizziamo a coloro che hanno la responsabilità più grande, ad esempio i dirigenti dei sindacati più importanti, ma se loro non si mobilitano non possiamo stare a guardare e da lì era partita la possibilità vera di fare comunque qualcosa che spingesse verso l’unità degli insegnanti, dei genitori, dei sindacati, ma che in ogni caso prendesse delle iniziative. Per esempio, a Torino, abbiamo fatto una manifestazione con mille persone e il 24 marzo siamo scesi in piazza, cosa ripresa persino dai Tg nazionali. Abbiamo dato la dimostrazione che siamo in grado di farlo. La settimana dopo c’è stato poi lo sciopero nazionale promosso dai Cobas, ma anche dalla Cub, a cui hanno aderito molte persone e anche sindacalisti di altri sindacati, della CGIL, della CISL, della UIL: queste sono state delle tappe significative. Noi, come “Manifesto dei 500”, abbiamo dato un contributo, così come lo hanno dato molti altri e ciò ha fatto sì che nel Paese iniziasse a svilupparsi un dibattito sulla questione dei cicli, e a un certo punto questo dibattito ha intaccato le forze legate al governo stesso, cito un nome, Mario Pirani, che su “Repubblica” ha iniziato a sollevare il problema. Credo dunque che l’incontro di oggi parta da qualche cosa che c’è e che voglia porre un problema in prospettiva; noi abbiamo lanciato una lettera aperta in cui si diceva che chiunque avesse vinto le elezioni ci saremmo trovati di fronte a grandi problemi e oggi effettivamente l’incontro stesso si svolge mentre sappiamo che i programmi elettorali della destra sono preoccupanti, ed è quindi un incontro per ragionare sul cosa fare. Questa occasione ricorda un po’ quella di Torino nel 1997, quando nacque il nostro gruppo. Come nasce il nostro gruppo? All’inizio eravamo “Appello in difesa della scuola elementare”. La cosa era nata davanti alla macchinetta del caffè della mia scuola, la “Sibilla Aleramo” di Torino: a un certo punto, di fronte alle sparate di Berlinguer, alcuni insegnanti avevano iniziato a dire che occorreva prendere l’iniziativa, ma al tempo stesso c’era l’esigenza di andare oltre la solita assemblea sindacale dove si votava la solita mozione e poi finiva lì. Così mandammo una lettera ad alcuni colleghi che conoscevamo in altre scuole per invitarli a discutere di ciò che stava accadendo. Vennero 14-15 insegnanti per un totale di 4-5 scuole e approvammo un documento in cui si proponeva di allargare la discussione: giungemmo così ad una sessantina di persone di 22 scuole: da lì iniziò tutto: raccolta di migliaia di firme, assemblee, conferenze nazionali, delegazioni, manifestazioni con e senza i sindacati… Quello che oggi vorremmo fare è la stessa cosa, cioè aprire un dibattito, solo che siamo a Roma e sono presenti rappresentanti di gruppi, associazioni e sindacati ad un livello più alto, e quindi il dibattito che possiamo aprire parte da un livello e da una possibilità di successo più alti. Io credo che prima di pensare a cosa fare sia necessario valutare alcune cose: 1) un giudizio sul passato; 2) una valutazione sul futuro, passando attraverso la situazione attuale. Per quanto riguarda il passato, io credo si debba fare un bilancio sull’Autonomia scolastica.
A un anno dall’inizio dell’Autonomia reale, gli insegnanti dicono che la prima cosa di cui si rendono conto è che essa ha significato tagli di posti, differenziazioni di programmi nelle scuole, l’avvio del processo di aziendalizzazione; il bilancio non è positivo e in genere i docenti, anche solo epidermicamente, dicono che è una fregatura, perché molti ci hanno creduto. Poi ci sono quei provvedimenti che sono in qualche modo legati all’Autonomia, anche se non ne fanno parte organicamente. Ad esempio il provvedimento dell’aumento degli alunni per classe è passato attraverso una Finanziaria (quella del 1998) che iniziava dicendo che in nome dell’Autonomia, della flessibilità e per diminuire il numero degli alunni per classe… che cosa si faceva? Si abrogavano le norme che mettono il tetto, cioè 20 e 25! Io stesso ne ho 26 con il portatore di handicap. […] Da questo punto di vista io credo che ci voglia un bilancio, in particolare su due aspetti, in conclusione di legislatura. E non mi riferisco ai 20 miliardi tolti all’Autonomia scolastica per pagare la missione in Kosovo, cosa avvenuta quando Berlusconi aveva già vinto, ma come ultimo atto del ministro De Mauro… Sto parlando invece del via libera dato al Veneto per i buoni scuola, via libero dato dal governo di centro-sinistra, e dell’approvazione della legge sul federalismo. Credo sia necessario leggere alcuni passaggi che si riferiscono alla scuola quando si parla di riforma federale dello Stato, perché all’articolo 3, che sostituisce e integra la Costituzione italiana si legge: “Lo Stato ha la potestà esclusiva nelle seguenti materie.”, segue un elenco che alla lettera “n” contiene: “Norme generali per l’istruzione”. Ad una prima lettura viene quindi da pensare che le norme per l’istruzione restino allo Stato, e tutto sembra predisposto per tranquillizzarci… Ma se uno ha la pazienza, o meglio la volontà, di continuare a leggere, arriva alla fine di questo elenco e trova la seguente frase: “Sono materie di legislazione concorrente, quelle relative a: […], istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, e con l’esclusione dell’istruzione e della formazione professionale”. Poi si saltano alcune righe e si legge: “Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle regioni la potestà legislativa salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione di Stato”. Dunque il governo di centrosinistra nell’ultimo suo atto vota che la legislazione scolastica passa alle regioni! E vorrei sottolineare due cose: la prima è che a questo processo si sottrae la formazione professionale, ma peccato che sia già regionalizzata in gran parte; la seconda è che i “principi fondamentali” che restano allo stato sono una cosa assolutamente generica: per esempio si potrebbe dire che la scuola inizia nell’anno tot e finisce nell’anno tot, e delegare il resto alle regioni! Peggio: si potrebbe dire, come di fatto fanno tutte le leggi approvate in questi anni, che i “principi fondamentali” sono quelli di formare i bambini e le bambine, di dare gli stessi strumenti a tutti e bla, bla, bla.per poi lasciare che le regioni neghino nei fatti questi principi”.
Ma non è tutto: infatti all’articolo 4 si legge: “Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli o associati per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà”. Questo è il principio – cardine dell’Unione europea, attraverso cui tutte le cose vengono esercitate al livello più basso possibile, e altre attraverso le privatizzazioni, poiché si dice espressamente “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini singoli o associati”, cioè favoriscono le privatizzazioni. Strumentalmente, ieri, Berlinguer si è scagliato contro il principio di sussidiarietà, proprio lui che ha votato e prodotto questa legge! Non solo. Questa cosa è stata votata in Parlamento con – credo – soli quattro voti di maggioranza e ciò ha prodotto la reazione della destra che ha detto che ciò li autorizzava a fare un domani la stessa cosa. E oggi loro hanno ben più di quattro voti di maggioranza… Dico tutto questo perché è necessario fare un bilancio di tutte queste politiche per interrogarsi e chiedersi se quello che sta succedendo adesso sia in rottura o in continuità con quello che ci propone ora il governo Berlusconi. Per fare questo, e cioè analizzare quello che ci aspetta, vorrei passare dal presente, mettendo alcuni elementi di chiarezza. Siamo andati in Parlamento più volte e abbiamo acquisito tutti gli atti parlamentari. Bene, nel momento in cui la VII Commissione doveva andare in aula, nel dicembre 1999, prima della caduta di D’Alema, c’era stata la possibilità di votare un emendamento del senatore Masullo, indipendente nelle liste dei Ds, che avrebbe riportato il testo in Senato e poi alla Camera, e dunque avrebbe fatto slittare l’approvazione della legge (e nel frattempo sarebbe caduto il governo, ci sarebbe stato lo sciopero del concorsone…). A quel punto, il vicepresidente della VII Commissione Istruzione di Forza Italia, Asciutti, si è opposto e ha votato contro l’emendamento del senatore Masullo, pur di dare la maggioranza e mandare il testo in aula. Ma non solo. Nel momento della votazione del piano di applicazione della legge, nel dicembre scorso, Forza Italia ha fatto approvare una risoluzione che diceva che bisognava approvare al più presto il tutto e andare in aula! E’ necessario partire da qui per capire che cosa succede dopo e che cosa succede ora. Che cosa succede dopo? Succede che si scatena l’Onda anomala, ci sono le manifestazioni, il problema viene portato all’attenzione del Paese, anche grazie a noi, grazie ad altri, grazie ad alcuni giornali; succede che un intellettuale come Pirani prende posizione; succede che tutti capiscono che questo è un terreno incandescente da un lato e buono per una speculazione elettorale dall’altro. E così la destra prende posizione per sospendere la legge, e iniziano le promesse…
E’ da qui che dobbiamo dunque partire per valutare cosa si può fare per difendere la scuola in modo indipendente, proprio partendo da quello che già è stato fatto, sapendo che Berlusconi sospende la legge perché la mobilitazione e la reazione è stata talmente forte che lui è stato portato su un terreno diverso da quello che aveva in precedenza. Certo, è stato portato su questo terreno anche per fare una speculazione elettorale, perché ha visto un terreno propizio, ma alla base c’è la mobilitazione che gli ha fatto cambiare idea. E dico questo sia perché deve essere chiara la forza del movimento, o perlomeno dell’opinione pubblica, ma anche perché dobbiamo stare attenti: Berlusconi non parla di abrogazione della riforma dei cicli.
I suoi cardini sono: 1) la scuola a 18 anni; 2) l’abolizione del valore legale del titolo di studio; 3) un ridimensionamento culturale; 4) l’utilizzo dei ragazzi nella scuola per il lavoro. Dal punto di vista dell’impalcatura dei cicli questa impostazione è identica a quella di Berlinguer. Nonostante questo è vero che oggi non siamo solo davanti al problema dei cicli, e allora diamo uno sguardo al futuro.
Il programma della Casa delle Libertà prevede: aumenti di merito commisurati alle prestazioni; valutazione dell’insegnamento; potenziamento dell’autonomia finanziaria e gestionale; consiglio di amministrazione; e poi il buono scuola, che non è semplicemente dare i soldi alle private, che è un fatto grave, ma qui siamo oltre: la scuole hanno i soldi in base agli iscritti e quindi questa è la privatizzazione della scuola pubblica, perché si scatena la concorrenza per accaparrarsi un bambino e avere 300 mila lire; infine, in prospettiva – loro dicono – assunzione degli insegnanti secondo una scelta nominale. Siamo al capovolgimento dei fondamenti della scuola pubblica! Ieri ho letto sull’Unità un intervento di Rutelli alla Camera sulla fiducia a Berlusconi che diceva: “Il governo avrà il sostegno dell’Ulivo quando agirà per la democrazia europea, per l’integrazione e per l’allargamento dell’Unione europea […]”. Bene, questo mi permette di introdurre un discorso sull’UE. Ho avuto tra le mani proprio in questi giorni, tramite un comitato internazionale che promuove una conferenza contro la deregolamentazione che si terrà a Berlino l’anno prossimo e che io insieme ad altri proponiamo in Italia, ho avuto tra le mani, dicevo, alcune direttive dell’UE in campo scolastico. Si dice per esempio che esistono tre tipi di educazione. “Primo tipo: l’educazione formale che si svolge nelle scuole e porta al conseguimento di diplomi e titoli riconosciuti. Secondo tipo: l’educazione non formale, fuori dalle scuole e che non porta a una certificazione. Terzo tipo: l’educazione informale che è il corollario della vita quotidiana.” Si dice esplicitamente che “l’educazione informale rappresenta una risorsa considerevole di sapere […]. Nel circondario urbano le possibilità sono diverse, attraverso la vita della strada. Per l’offerta di formazione a livello locale bisognerà così organizzarsi e cercare le risorse al fine di creare dei centri appropriati di acquisizione di conoscenze nei luoghi della vita quotidiana in cui si riuniscono i cittadini, non solo nelle scuole quindi, ma anche nei circoli municipali, nei centri commerciali, nei luoghi di culto, nei parchi, nelle piazze pubbliche, nelle stazioni ferroviarie, nei luoghi di divertimento, nelle mense e nei luoghi di lavoro”. Secondo l’UE, dunque, la scuola deve lasciare lo spazio al fatto che i ragazzi vadano nei centri commerciali e Rutelli dice al centrodestra che se fa questo, se applica le direttive europee, se fa quel tipo di sussidiarietà che Berlinguer si permette di criticare, il centrosinistra sarà con lui. E Rutelli aggiunge, sempre nel suo intervento alla Camera: “Le annunciamo che voteremo sì al referendum sul federalismo che si terrà il prossimo autunno” – cioè sì al referendum della regionalizzazione della scuola – “e siamo disponibili a lavorare con voi per scrivere insieme un’altra pagina della riforma federalista”. Ecco, il problema che pongo è semplice: c’è continuità o rottura tra centro-destra e centro-sinistra? C’è continuità o rottura tra chi si scandalizza di Bossi e poi ha votato il federalismo che dà i poteri alle regioni, e la sussidiarietà che apre la strada alle privatizzazioni, e poi dice di essere disponibile “a lavorare con voi per scrivere insieme un’altra pagina della riforma federalista”? Vorrei concludere questa introduzione, che vuole essere un primo contributo per iniziare il dibattito, spostando il campo dagli elementi negativi di questi ultimi anni e di ciò che si prepara agli elementi positivi. Di fronte a tutto questo c’è la resistenza di molti insegnanti, genitori, sindacalisti. Noi sappiamo che una resistenza esiste. L’abbiamo vista con il concorsone, con gli scioperi di ottobre e dicembre, con le manifestazioni di marzo, con le assemblee, con le mozioni. L’abbiamo qui presente oggi, perché la riunione di oggi è molto rappresentativa ed esprime proprio la volontà di fare qualcosa. La nostra proposta è dunque questa: confrontiamoci in vista del rafforzamento di questa resistenza, per provare a fare un passo avanti nella crescita dell’opposizione che è possibile nel Paese. Per fare questo è necessario il dibattito, e spero che sia il più franco possibile, e aperto. Ma poi penso anche si debba discutere di una proposta pratica, di un’iniziativa che ci permetta di fare insieme qualcosa di concreto. Formulo questa proposta perché possa essere discussa, ma preciso subito che vuole essere solo la base della discussione. La nostra proposta è dunque quella di dar vita a un coordinamento permanente in difesa della scuola pubblica, nel quale ognuno, naturalmente, manterrebbe la propria individualità.


Mario Sanguinetti (genitore e insegnante, responsabile del Coordinamento genitori-insegnanti di Roma, membro della redazione del giornale “Il bambino e l’acqua sporca):
Vorrei fare un brevissimo excursus sul nostro percorso. Noi siamo nati come associazione soprattutto intorno alla riforma della scuola elementare, quando nel primo testo varato dalle Commissioni parlamentari il tempo pieno veniva abrogato completamente. Di fronte a questa situazione ci fu una sollevazione in molte città italiane. La mia scuola venne occupata dai genitori e dagli insegnanti per protestare contro quello che era un attentato contro il diritto ad un tempo scuola importante anche dal punto di vista sociale nel soddisfare le esigenze delle famiglie. Noi prefigurammo con alcuni interventi che questo era un disegno di disintegrazione della scuola pubblica e costituiva un primo passo per un abbattimento drastico delle conoscenze e delle competenze degli alunni. Previsioni, ahimè, veritiere, visto quello che è accaduto. Il forte movimento di resistenza costrinse il Parlamento a rivedere le decisioni sul tempo pieno, ricordate che è congelato e non si può aumentare. Negli anni successivi, non contenti di questo, dicemmo che esso andava scongelato, concedendolo sulla base delle richieste di docenti e genitori. Con la sinistra al governo pensavamo che le cose sarebbero andate meglio; in passato quando ci incontravamo con i parlamentari ci dicevano che purtroppo non erano la maggioranza, adesso, conquistato addirittura il ministero della Pubblica Istruzione, che era sempre stato democristiano, ciò non poteva che essere salutato con grande entusiasmo e apprezzamento anche da parte nostra. Questo è un po’ il percorso che ci ha fatto nascere e crescere. Poi c’è stata la delusione del governo Berlinguer, che per la verità si era presentato “liberalizzando” il tempo pieno, e quindi aveva creato in noi delle ulteriori aspettative. Ma poi è arrivato il riordino dei cicli, l’Autonomia, la Legge di Parità e tutto il resto. Ed è a questo punto che si è cominciato a capire. Il nostro percorso è molto simile a quello del “Manifesto dei 500”, siamo nati infatti basandoci sul confronto sui contenuti indipendentemente dalle sigle di appartenenza, il che non significa che noi non le abbiamo, ma quello che volevamo era evitare le contrapposizioni, quindi quando ci è arrivato il documento sulla scuola elementare l’abbiamo pubblicato sulla nostra rivista e ci siamo trovati d’accordo. Quale contributo vogliamo dare oggi? Alcuni temi saranno nodi da sciogliere, come ad esempio il tempo pieno; non crediate che chi vuole privatizzare la scuola pubblica non lo metterà in discussione, visto che lo ha già fatto la riforma dei cicli. Il nostro timore è che ciò avvenga attraverso il ridimensionamento dei finanziamenti e dell’organico di diritto che costringerebbe a non far partire il tempo pieno, ciò è quanto sta accadendo a Roma quest’anno, si parte infatti da un discorso economico. Ci dicono che il tempo pieno non si può fare, dicono di trovarci i soldi perché con l’autonomia nessuno lo impedisce. Questo è un attacco; un altro problema è quello della frammentazione, non sarà facile infatti ricomporre un fronte unico della scuola pubblica, perché ognuno ha i propri problemi. Già oggi è evidente. La seconda frammentazione è quella che ha provocato il governo di centrosinistra in questi anni, attraverso il rilancio del problema del precariato e la destrutturazione dentro le scuole. Moltissimi colleghi e genitori sono rimasti spiazzati, c’è stato uno smarrimento che per alcuni ancora perdura. Un’altra difficoltà è riuscire a ricomporre un quadro di opposizione unitario sul piano culturale poiché questa cosa l’abbiamo pagata con tanti colleghi, visto che fino a poco prima dicevano che queste riforme sono tutte fandonie e poi cominciavano a dire che comunque qualcosa di buono in questa riforma dei cicli comunque c’era. Un altro grosso punto è quello del consiglio di amministrazione, poiché si pensa di aumentare a dismisura i poteri del dirigente scolastico e portare un attacco fortissimo agli organi collegiali. Su questi temi che verranno toccati con mano, forse è possibile andare a ricostruire una resistenza, un fronte unitario su cui noi siamo d’accordo, pensiamo sia fondamentale costruire un coordinamento di tutti quelli che si oppongono allo smantellamento della scuola pubblica.


Antonio Mercuri, (Comitato Insegnanti Precari)
: Parlo a nome del CIP nazionale e contestualmente dell’Assemblea permanente precari in lotta di Milano. {…} Ci apprestiamo a dare un nostro contributo alla discussione e alla individuazione della piattaforma di lotta capace di portare i lavoratori in piazza e alla mobilitazione all’avvio del nuovo anno scolastico. Riteniamo indispensabile l’approvazione di una mozione che sintetizzi efficacemente i vari punti di vista che saranno espressi in questa assemblea. Il passato governo di centrosinistra […] risponde più alle vicende delle ristrutturazioni del mondo imprenditoriale che ai giovani e ai lavoratori che operano nella scuola. […] Noi diciamo no alla scuola-azienda compressa tra bilancio e impresa, noi diciamo no alla riforma dei cicli perché fra l’altro svilisce la professionalità […] dell’insegnante, noi diciamo no al finanziamento della scuola privata qualunque forma esso assuma e rivendichiamo il diritto delle famiglie di avere un’istruzione pubblica. Non può sfuggire a nessuno quanto sta avvenendo in questi giorni sulla pelle dei precari. Come tutti sapete la legge 124/99 parla di diritto alle graduatorie permanenti per l’immissione in ruolo. Il precedente governo ha un sistema a parte per garantire ai lavoratori interessati ovvero che l’immissione in ruolo diritti acquisiti Alcuni insegnanti di scuola privata però hanno creduto di essere danneggiati dall’istituzione della graduatoria permanente […] e hanno fanno ricorso al Tar del Lazio. Qui inizia la grottesca farsa della scuola privata d’altra parte, infatti, risponde ad una vergognosa in cui umilia gli insegnanti di scuola pubblica definiti lavoratori […] favoriti da leggi e leggine e assegna alla scuole private mezzi informatici sotto l’attenzione dei lavoratori precari che da mesi stanno lottando. Noi diciamo al movimento della scuola per potersi efficacemente opporre ai provvedimenti di legge che il governo di centrodestra sta approntando debba ripartire da tutto ciò che già è stato approvato nella scorsa legislatura: opposizione a tutte le leggi che favoriscono la scuola privata […] che comprimono la libertà d’insegnamento, che smantellano la scuola pubblica e non garantiscono né la stabilità del rapporto di lavoro né la copertura di tutti i posti di lavoro […] opposizione e cancellazione di tali leggi, opposizione ai buoni scuola regionali, opposizione al blocco delle assunzioni, opposizione a qualunque legge che smantelli la scuola pubblica nazionale, laica e pluralista […] Io credo che la scuola pubblica debba affrontare di petto il nodo fondamentale del problema che è quel diabolico atto firmato l’11 febbraio 1929, atto poi recepito da Togliatti. Quell’atto è fondamentale poiché anche nella legge sulla parità scolastica c’è il nesso con il Concordato. Uno stato moderno non può essere vincolato ad uno stato teocratico.

Marcello Vigli, (Associazione Scuola della Repubblica):
Vi ringrazio per aver promosso quest’iniziativa. La nostra Associazione nasce quando il famoso “Manifesto dei 31”, firmato trasversalmente da intellettuali cattolici ed esponenti dei democratici di sinistra (Luigi Berlinguer era tra loro), lanciò nel 1994 una proposta d’integrazione tra scuola pubblica e scuola privata in un sistema nazionale di formazione. Esso costituì la matrice del programma elettorale di Prodi sulla scuola passando poi ad ispirare la politica scolastica del primo governo di centrosinistra con la presenza degli eredi del Pci.
Paradossalmente prefigurava quella trasversalità, prima denunciata, sulla quale si fonda l’ipotesi che il governo Berlusconi non farà tanti cambiamenti, ma porterà alle sue logiche conseguenze il disegno berlingueriano. Naturalmente è comprensibile la reazione di Berlinguer contro chi denuncia tale complementarietà tra le sue innovazioni (preferisco non chiamarle riforme, perché le riforme sono cose serie) e la politica della destra. Quest’esito forse non era nelle sue intenzioni. E’ indubbio, però, che le sue innovazioni tendevano oggettivamente a fare della scuola pubblica un sistema molto simile al modello delle private e soprattutto funzionale alla formazione di operatori economici, piuttosto che alla formazione delle nuove generazioni all’esercizio della cittadinanza. Sentirlo affermare così brutalmente spaventa tutti quelli che le hanno sinora appoggiate. E’ importante sottolinearlo, perché nel momento in cui andremo a cercare alleati dobbiamo sapere che possiamo trovarli anche fra chi fino a ieri ha appoggiato le innovazioni, perché credeva che fossero la riforma e non solamente una forma di modernizzazione. Oggi ci troviamo tutti a fare i conti con una realtà diversa e possiamo pensare che con un governo diverso, paradossalmente, il fronte della lotta in difesa della scuola pubblica può allargarsi. Uno dei contributi che vorrei portare concerne le condizioni per creare queste alleanze. E’ evidente che oggi ci troviamo principalmente su un terreno difensivo, e quindi è necessario unire le forze senza disperderle. Concordo che oggi la cosa principale da fare è resistere, lanciare una nuova resistenza, com’è stato detto nell’introduzione. Tuttavia, io penso che anche per fare questo sia necessario avere qualcosa in comune E questo qualcosa per cui si decide di resistere non può essere solo l’accordo su ciò che si rifiuta. Credo che si deve avere un’idea di scuola in testa, sapere quale scuola si vuole. Sono ben consapevole che oggi non ci sono gli spazi politici e culturali per proporre un progetto definito e i pericoli da affrontare sono troppi. Credo, però, che all’interno della scuola, ci voglia anche sempre lo sforzo della progettazione, non per fare chissà quale proposta alternativa di riforma complessiva. Serve l’impegno ad usare tutti gli spazi della democrazia e della partecipazione per elaborare e promuovere concretamente la scuola come processo formativo anche in questo periodo, in cui il primo obiettivo resta la resistenza contro le manovre del governo. Faccio un esempio tratto dalla memoria della Resistenza, che può forse sembrare paradossale ma efficace per evidenziare che non mi nascondo la gravità del momento che stiamo vivendo. Anche nell’Ossola, durante la guerra partigiana contro i nazifascisti, si faceva il minimo indispensabile, si sopravviveva, ci si difendeva. Eppure anche allora non si rinunciava a fare progetti e ad attuarli, a sviluppare l’idea di una società diversa e a sforzarsi di realizzarla. Nel breve tempo, in cui durò la gestione autonoma della “Repubblica dell’Ossola”, non si trascurò il problema dell’istruzione e si sperimentò una diversa gestione della scuola. Ecco, io credo che nella scuola attuale, nonostante tutto, ci siano ancora degli spazi per progettare, per realizzare fin da subito anche una scuola diversa, fermo restando che dobbiamo unirci in un momento così difficile per resistere, per evitare che passino i progetti peggiori, mettendo da parte ciò che ci può dividere. Un altro tema che vorrei toccare è legato a questo. Per unirsi è necessario evitare in tutti i modi che questi comitati di coordinamento, che si propone di costituire, diventino un terreno per manovre di parte. E’ normale ed è giusto che ognuno abbia la sua appartenenza politica e che intenda affermarla anche all’interno di questi comitati, portando avanti la propria linea. Quello che va evitato in tutti i modi è che il comitato diventi solo un’occasione per imporla agli altri. Se si costituisce un comitato, un coordinamento, dobbiamo impegnarci tutti a rispettare l’ambito specifico d’intervento del comitato e a lavorare per gli obiettivi che ci siamo dati senza perseguire altri fini pur senza mettere da parte le nostre appartenenze. Mi sembra che ci sia la possibilità di perseguire questo obiettivo e che la riunione di oggi testimoni la volontà di realizzarla.



Loredana Fraleone, (direzione nazionale di Rifondazione Comunista, responsabile del settore scuola)
: La relazione introduttiva mi è sembrato abbia toccato le questioni salienti. Nella scuola dell’obbligo si è prodotta una resistenza molto qualificata, perché da subito c’è stata un’opposizione alla riforma dei cicli che non si limitava ad alcuni aspetti pure gravi e pure meritevoli di resistenza, ad esempio quanto richiamava il rappresentante del CIP, cioè il taglio di moltissimi posti di lavoro, aspetto drammatico e degno della massima attenzione, ma c’è stata una preoccupazione forte rispetto a uno svuotamento che questa riforma produceva rispetto a quelle che sono state delle conquiste frutto dell’impegno di associazioni e organizzazioni dei lavoratori. Credo che questo non potremo mai dimenticarlo, perché rimuovere tale questione significa non comprendere perché nella scuola superiore non c’è altrettanta disponibilità e capacità ad organizzare una resistenza sulla riforma che per quanto riguarda quel segmento è altrettanto drammatica. […] Vorrei fare due aggiunte, approfondimenti a due questioni che venivano toccate nella relazione introduttiva che mi sembrano molto importanti. Una, anzi, non è stata toccata e l’altra invece riguarda la sussidiarietà. Per quanto riguarda quest’ultima c’è da dire che è stato fatto un salto di qualità rispetto all’idea di sussidiarietà cioè oltre a quella verticale si è introdotta anche quella orizzontale, cioè il fatto che non soltanto l’istituzione pubblica superiore interviene quando quella inferiore non è in grado di ottemperare a determinati suoi compiti, ma anche settori privati in modo orizzontale possono sopperire… per farla breve è la questione della scuola materna, questione storica. L’istituzione pubblica non è stata in grado di offrire quel tipo di servizio a livello generale […] quindi, grazie alla legge di parità che dice che il sistema scolastico nazionale è formato da scuole pubbliche e private si può intervenire a livello orizzontale. Questo è un aspetto da tener presente perché quell’imbroglio costituito dalla sussidiarietà, attualmente ha assunto una funzione che è quella che innesca l’integrazione tra scuola pubblica e scuola privata. La seconda questione è quella del dimensionamento scolastico. Perché su questo che è uno dei capisaldi dell’autonomia c’è stato un punto di resistenza significativo che ha coinvolto anche soggetti esterni alla scuola. Questa resistenza è stata purtroppo destinata a non incidere perché il principio del tetto tra i 500 e i 900 alunni impediva di fatto un accomodamento che salvaguardasse le scuole più piccole, ma anche perché interveniva un altro soggetto, cioè l’ente locale che tradizionalmente quando mette le mani crea guai. Ciò deve farci pensare circa l’affidamento della scuola sempre di più agli enti locali e la dice lunga sul destino della scuola dell’obbligo italiana. Vorrei a questo punto cercare di dare un contributo rispetto al che fare. Io condivido l’idea di costituire un coordinamento tra tutti coloro che ci stanno rispetto a una piattaforma che poggi su elementi fondamentali. Nessuno pensa che si possa presentare un progetto di scuola alternativa complessivamente a quello che ci troviamo davanti per una ragione molto semplice e cioè che ciò presuppone un progetto di società rispetto al quale […] pongo un problema di riflessione di possibilità di ingenerare in più soggetti una riflessione circa la scuola nella società, perché noi ci troviamo all’interno di una fase […] di contraddizione molto più ampia di quelle che conosciute in questi anni. Una spia di ciò è stato il movimento degli insegnanti, quello che per primo ha preso a contrastare la politica liberista nel suo aspetto più insidioso, cioè sul terreno culturale, cioè sul terreno della collocazione delle persone all’interno della società. Dobbiamo essere orgogliosi di essere stati i battistrada rispetto a dei movimenti che cominciano ad affacciarsi in modo significativo, penso anche a quello antiglobalizzazione […]. Credo che ci sia bisogno di una direzione sul terreno culturale che possa raccogliere delle posizioni come quella di Pirani, che veniva citato prima, e di altri intellettuali che cominciano a interrogarsi su cosa stia accadendo nella scuola, per poter dimostrare come queste riforme si discostino proprio dalla possibilità di misurarsi con una società complessa qual è quella di oggi. In America – e concludo – dov’è in crisi il modello che a noi vogliono propinare, la scuola è diventato un problema nazionale e si sta delineando un movimento interessante in cui si afferma che l’istruzione organizzata è l’unica che possa rispondere a un progetto di civiltà è l’unica modalità per recuperare una società devastata per l’assenza di valori. Io credo che questo ci dia coraggio perché sono esattamente le cose che diciamo e non vogliamo per la nostra società.



Cosimo Scarinzi, (responsabile Confederazione Unitaria di Base – CUB)
: Mi sembra dagli interventi che siamo tutti d’accordo sul fatto che i nemici dei nostri nemici non siano necessariamente nostri amici, mi riferisco nella fattispecie al governo Berlusconi la cui scelta di bloccare la riforma dei cicli nulla ci garantisce, anzi non fa che preparare meglio la trasformazione della scuola in senso privatistico. Se però questo è vero per il centrodestra, credo che valga anche al contrario. Con il cambiamento di quadro politico, alcuni sindacati istituzionali che hanno accettato determinati processi mostrano ora una certa vivacità, anche se la Cgil continua con la riforma dei cicli. A questa vivacità dei sindacati fatta anche di mobilitazioni cui non eravamo più abituati e che vanno bene, vi sono anche mobilitazioni in cui ci troviamo lo Snals che sulla questione del precariato ha sostenuto il ricorso al Tar dei docenti delle scuole private di cui parlava prima un collega. Bisogna dunque ragionare sul merito e trovare delle alleanze, stando attenti a vedere con chi si cammina, questa è la prima considerazione. Si è posto l’accento sul concetto di resistenza che in questi ultimi due anni credo si sia giocata su due punti, uno è la difesa della funzione docente; se noi riflettiamo sul concorsone, ci rendiamo conto che non era nella logica della scuola azienda, era un’idiozia totale. È evidente che la gerarchia nella scuola andava fatta istituto per istituto, era insomma una versione schizofrenica che coniugava centralismo e statalismo con l’azienda. Questo errore ha permesso una ricomposizione su base nazionale di fronte ad una contraddizione dell’avversario. Questo ha però permesso all’avversario di prendere le misure. Il secondo punto di crisi è il riordino dei cicli su cui debbo dire che la Cgil e il centrosinistra si sono mossi nella logica del facciamoci del male, dal punto di vista del puro opportunismo politico. Preoccupazione assolutamente ragionevole che ha provocato sia le mobilitazioni di cui parlava Lorenzo Varaldo, sia spostamenti di voti verso il centrodestra. È interessante vedere come un ceto politico – sindacale separato dai corpi sociali di riferimento, incapace di misurarsi con le donne e con gli uomini concreti, vada avanti ciecamente e si faccia del male. Come ricomporre il fronte dinanzi alle contraddizioni effettive che si vanno ad aprire? […] Noi abbiamo alle spalle sei mesi di caduta di tensione, infatti dopo il contratto la categoria, rassicurata sul versante concorsone, si è calmata. Però i punti di crisi di cui parlavo prima verranno a scadenza e perciò se noi lavoriamo bene e costruiamo un orientamento su alcune questioni generali avremo la possibilità di essere maggioranza in termini politici nella categoria. Per quanto ci riguarda, come Cub – Scuola, siamo assolutamente disponibili a partecipare al coordinamento su questi contenuti. Riterremmo opportuno uscire con una breve mozione che individui i punti centrali e caratterizzanti e segnalerei, vista l’urgenza, la questione del precariato.



Noemi Ranieri, (membro segreteria nazionale UIL – Scuola)
: Ero presente anch’io a Milano due anni fa, quando si cercava di allargare l’esperienza di questo gruppo [cioè quello che sarebbe poi diventato il “Manifesto dei 500”, ndr] portando i valori e i principi dalle città del Nord alle città del Sud. Il primo passaggio è stato quello della difesa della scuola elementare, quando quella che è l’attuale maggioranza di governo l’attaccava e chiedeva il ritorno al docente unico. […] Nel 1996 la Uil – Scuola presentò una propria proposta di riordino dei cicli diversa da quella che si è poi concretizzata con la legge 30/2000, molto diversa. […] Abbiamo proposto il mantenimento dei cinque anni di scuola elementare perché questo segmento era, ed è tuttora, ai vertici delle graduatorie, si dovevano avere poi quattro anni di medie e quattro anni di scuola secondaria di secondo grado. A ciò sarebbe stato opportuno aggiungere un percorso di scuola e formazione da tenere nella scuola. […] Questa esigenza di riordino dei cicli risponde a un bisogno della popolazione italiana che è sotto gli occhi di tutti. Sappiamo che la percentuale dei diplomati corrisponde al 50% […] molto alto è il livello di dispersione. C’è dunque un’esigenza di adeguare la scuola attraverso l’innalzamento dello stipendio agli operatori scolastici attraverso una crescita qualitativa. Mentre a 18 anni i ragazzi diventano cittadini a pieno titolo, se il percorso scolastico è stato corretto, essi escono a 19 anni. Questi ragazzi devono essere in grado di entrare nel mondo del lavoro quando diventano cittadini a tutti gli effetti. Nel 1996 ben nove disegni di legge sono stati realizzati e questo e ciò che ne è uscito dopo quattro anni, cosa che noi non abbiamo condiviso. Negli ultimi anni cos’è successo? Abbiamo provato a parlare e abbiamo cercato di tutelare gli operatori scolastici e trovare soluzioni adeguate per la riqualificazione del personale, purtroppo tutto ciò non è stato possibile perché il precedente governo ha perso un’occasione. Per esempio l’apprendimento della lingua straniera fin dalla prima elementare, cosa che c’è in molte scuole del Piemonte ma non nel Lazio.[…] Dobbiamo dire onestamente che le condizioni di avvio di quel riordino dei cicli non c’erano già, la riforma era già stata affondata prima delle elezioni da quelli che l’avevano voluta. Ma allora quali alternative ci propone il nuovo governo? Di certo ci dice che questa riforma non va bene, speriamo solo che i rimedi non siano peggiori del male. Nei prossimi giorni ci sarà il DPEF e allora vedremo gli impegni che il governo vorrà prendere verso la scuola pubblica e nazionale, frequentata dal 94% degli studenti italiani. A questa scuola bisogna assicurare risorse non solo per il funzionamento ma per modernizzarla e garantire condizioni di vivibilità nell’unità del servizio sul territorio nazionale e l’unitarietà del comparto. […]

Mario Sanguinetti interrompe un attimo: Visto che abbiamo la fortuna di avere un dirigente nazionale della UIL e visto che nei giorni scorsi ci sono state delle dichiarazioni sconcertanti di Cofferati sulla riforma dei cicli, potresti precisarci qual è la posizione della UIL sulla questione della sospensione della legge?

Noemi Ranieri : Rispondo volentieri con le parole del nostro segretario nazionale generale, non della scuola, ma di tutta la UIL. Luigi Angeletti, leader della Uil, a proposito delle dichiarazioni di Cofferati sulla difesa a oltranza della riforma dei cicli, in data 9 giugno ha affermato: “Questa riforma non ci piace, noi avevamo proposto una riforma della scuola diversa già nel 1996, ma non fu accolta. Ci piaceva quella riforma, non questa che è destinata a bloccarsi da sola, perché non ci sono né le risorse né le strutture per attuarla e quindi è del tutto ininfluente che il governo dica di volerla bloccare. Sono convinto che l’attuale riforma vada modificata in fretta, già in primavera se non vogliamo iniziare l’anno scolastico 2002 nel caos. La possibile riforma il governo dovrà presentarla in tempo breve […] in modo da dare il tempo al personale scolastico di poter presentare modifiche e integrazioni se necessario”.



Roberto Malanca (genitore, presidente consiglio di circolo di Torino, cura il sito Internet del “Manifesto dei 500”)
: Ogni volta che affronto un documento su scuola, riforme, paragoni con l’estero ecc, ne esco sempre molto perplesso o disorientato. In questo caso ho colto l’invito di Lorenzo a cercare dei dati sulla situazione nella scuola italiana e in rapporto agli altri Paesi e alla fine ne è venuta fuori una domanda del tipo “perché?”. Cioè, sostanzialmente, perché c’è bisogno di una riforma, quali sono le motivazioni che rendono per forza necessaria una riforma della scuola? Per esempio alla base ci deve essere per forza qualcosa che non funziona e la motivazione della riforma deve essere che si tratta di correggere, di migliorare. Beh, il documento su cui mi sono imbattuto in questa ricerca su Internet è un documento dell’OCSE sulle politiche dell’Istruzione e riguarda particolarmente l’Italia. Il documento è di 3 anni fa, cioè proprio nel pieno delle proposte Berlinguer. Voglio citare solo alcuni passaggi, che hanno però un grande significato, perché emerge come il governo e i ministri si siano ispirati direttamente a questi documenti. Per esempio l’OCSE diceva che “nonostante l’alto livello dello sviluppo economico e di competitività globale dell’Italia si nutriva anche qualche preoccupazione per il fatto che l’Italia non teneva il passo con gli altri Paesi per quel che concerne il rendimento scolastico”. Infatti mi fa molto piacere che nell’intervento di prima si sia fatto riferimento alle statistiche, perché io ho potuto vedere queste statistiche e meritano di essere commentate. Prendiamo le tabelle dell’OCSE. E’ vero: se prendiamo le persone tra i 25 e 34 anni le persone che hanno frequentato almeno la scuola secondaria superiore in Italia sono il 55%. E’ vero che in Germania sono all’88%, ma se prendiamo la popolazione tra i 55 e i 64 anni, ebbene la Germania partiva dal 76%, l’Italia dal 19%. Facile arrivare a 88% quando si parte dal 76%! E’ vero dunque che siamo più indietro, ma forse dire che la scuola italiana e la società italiana sono più indietro per questo, forse non è così vero, perché arrivare da 19% a 55% è un grande risultato. Richiede uno sforzo, una crescita, una capacità di educazione della società molto superiore. E’ poi vero che siamo tra gli ultimi, ma non siamo proprio gli ultimi: la Germania è all’88%, gli USA all’88% (se vogliamo proprio fare un confronto con un Paese che riteniamo al top come educazione e come cultura), l’Inghilterra è al 73%, partendo dal 53%. Tra l’altro l’OCSE dice che “pochi altri Paesi hanno tentato di produrre cambiamenti di così vasta portata e tali da non lasciarne esente alcun livello di istruzione”. Questo viene dato come un punto forte, ma si dice che c’è anche un punto debole, “in quanto che la gestione del cambiamento su così vasta scala potrebbe rivelarsi tanto impegnativo da rendere impossibile l’attuazione di tutti i cambiamenti attesi. Una cosa, infatti, è l’emanazione di una legge, e un’altra, del tutto diversa, assicurare che la legge venga effettivamente applicata in un Paese così grande, diversificato e individualistico qual è l’Italia”. Ci sono due principi fondamentali che vengono indicati: il decentramento e l’Autonomia scolastica. Da questo punto di vista, la riforma è passata. In particolare sull’Autonomia si dice: “l’Autonomia diverrà la pietra angolare del miglioramento della scuola”. Vediamo che cosa intendono per “miglioramento”: “essa sposterà l’attenzione degli insegnanti, dei capi d’istituto e di quant’altri sono impegnati nella scuola dalle leggi che definiscono le situazioni di partenza, come la dimensione della classe, l’organizzazione della scuola, le ore di insegnamento, ai parametri in rapporto ai quali decidere quali debbano essere nelle scuole i risultati adeguati dell’apprendimento degli studenti”. Per loro è ovvio che la dimensione delle classi ecc. non ha nulla a che fare con questo secondo aspetto. Poi si parla della questione dell’obbligo scolastico: “L’Italia ha elevato l’obbligo scolastico per essere più in armonia con gli altri Paesi europei”. Non è vero. O meglio: è vero che l’Italia ha elevato l’obbligo scolastico, ma c’è qualcosa da dire sul fatto che sia più in armonia con gli altri paesi europei: ci sono paesi con l’obbligo scolastico più alto e altri con l’obbligo più basso. Non c’è alcuna media europea (se non come espressione matematica). Un altro punto riguarda l’aspettativa di frequenza della scuola. Si dice che bisogna adeguarsi agli altri Paesi OCSE (che non sono solo quelli dell’UE, ma anche Usa, Australia, Giappone, Corea, ecc.). Ebbene, la media di questi Paesi è di 15,4 anni di scuola. L’Italia oggi è a 15,5. Gli Usa sono a 14,9! Ci sono poi altri dati e ce ne sono a bizzeffe… Ma sostanzialmente dov’è la differenza tra il nostro sistema e alcuni altri? La differenza è nella “primary” e “lower secondary”, cioè scuola elementare e scuola media. La media dei Paesi OCSE è di 9,3 anni. L’Italia è a 8,2. Conclusione “illogica” della “riforma dei cicli”: eliminare un anno! Parliamo di “raccomandazioni”. Perché queste ricerche hanno prodotto delle “raccomandazioni” al governo italiano. Per esempio si dice: “Ci sono parecchi modi diversi per organizzare una scuola e nello spirito delle autonomie riteniamo che la cosa migliore sia che siano le scuole stesse a definirlo”. Una delle preoccupazioni più grandi che hanno è che ci sia una vasta gamma di percorsi disponibili per il passaggio dalla scuola al lavoro. Ora questo si può fare soltanto con una flessibilità di percorsi: “Annettiamo molta importanza alla qualità della formazione in servizio mirata ad assistere insegnanti e capi d’istituto nel promuovere il processo di riforma perché una accumulazione di moduli e di crediti non costituisce una istruzione né una qualifica professionale, però bisogna comunque adottare una maggiore flessibilità dell’offerta curricolare utilizzando moduli professionalizzanti adeguati ad una vasta gamma di percorsi disponibili per il passaggio dalla scuola al lavoro”. “Raccomandazione 3.4”: “Creazione di centri responsabili dei miglioramenti che assistano gli istituti scolastici di una data zona a prepararsi efficacemente all’attuazione delle riforme”. Si dice inoltre che per definire questo processo deve essere ridefinito il ruolo degli IRRSAE. Altra raccomandazione: “Riteniamo che il processo di cambiamento debba essere programmato e realizzato per fasi successive”, cioè non fate la riforma tutta insieme, ma un po’ a macchia di leopardo, “e siamo lieti di prendere atto dello stanziamento, per la realizzazione del processo, di 845 miliardi di lire per un periodo di tre anni. Siamo altresì convinti della necessità di una mobilitazione generale a sostegno delle riforme”. Parliamo dunque di soldi. Nel ’90 l’Italia spendeva grosso modo il 6% del prodotto interno lordo per la scuola. Siamo passati nel ’97 al 4,8%, però in compenso abbiamo stanziato 845 miliardi per la riforma, non per la scuola! La media OCSE è passata dal 4,8% nel ’90, al 5,8% nel ’97. Parliamo dell’apprendistato. Si dice che “L’Italia ha un sistema di apprendistato solo rudimentale”. Per cui tirano fuori la raccomandazione 4.1: “Raccomandiamo che le autorità italiane predispongano una varietà di forme flessibili di formazione nell’ambito della scuola, in cui si alternino scuola e lavoro”. E questo effettivamente è stato fatto. “Tale sistema deve costituire una combinazione adeguata di apprendimenti e di abilità lavorative sia sul posto di lavoro che nell’ambito istituzionale. Raccomandiamo inoltre la creazione di strutture adeguate per rafforzare i legami tra le scuole, gli imprenditori e le loro associazioni”. Raccomandazione 4.2: “Raccomandiamo altresì che nello sviluppare dispositivi organizzativi istituzionali sia dedicata particolare attenzione alla flessibilità dell’offerta, al partenariato con le imprese locali e ai bisogni locali”. Tutte raccomandazioni OCSE che si trovano pari pari nella riforma: hanno copiato bene. Raccomandazione 4.3: “Per la qualità della formazione tecnico-professionale raccomandiamo la formazione di un sistema nazionale per valutare la qualità della formazione tecnica e professionale. In questo sistema devono essere rappresentate le parti sociali a livello locale, regionale e nazionale.”. Quindi sono le parti sociali che valutano l’efficacia della formazione. Un’altra funzione di questo sistema sarebbe quella di “accreditare e approvare i programmi di formazione creati dalle iniziative locali, dalle associazioni, dalle imprese, dall’industria, in collegamento per esempio con lo sviluppo dei sistemi di apprendistato”. Ci sono poi dei passaggi sulla proporzione tra spese per la scuola pubblica e spese per la scuola privata. Per esempio l’Italia ha il 4% per la scuola privata e il 96% per la pubblica. Gli Usa, il 25% per la privata. La Corea, il 40% per la privata. Probabilmente se seguiremo la strada indicata dall’OCSE ci avvicineremo a questi Paesi. Un dato interessante è quello relativo alle tasse universitarie: per esempio ci sono paesi dove non si pagano le tasse, come la Svezia o la Finlandia, o altri come gli USA e l’Italia, dove le tasse universitarie sono sempre richieste. Diritto allo studio fino a 18 anni: “Raccomandiamo che le autorità italiane esaminino in modo più approfondito l’impegno ad offrire una garanzia per lo studio e per la formazione fino all’età di 18 anni per tutti coloro che lo desiderano e che potrebbero usufruirne. Pensiamo che la realizzazione di tale garanzia richiederà misure speciali nella scuola e sul posto di lavoro perché tutti i giovani possano ottenere una qualifica professionale riconosciuta”. Raccomandazione 5.5: incita alla “creazione di un sistema di testing per valutare gli alunni in determinati momenti del corso di studi o in determinate classi, specialmente al termine della scuola dell’obbligo. Spetta al governo decidere quale tipo di estensione debba avere la valutazione, […] in modo che ogni allievo e la sua famiglia possano conoscere il livello medio di rendimento della scuola frequentata. Raccomandiamo inoltre che i risultati di questa valutazione vengano messi a disposizione dei genitori e della comunità, in genere sotto forma di media delle scuole, in modo che si possa decidere come le singole scuole possano migliorare, come le pratiche che hanno successo possano essere disseminate a favore di un maggior numero di insegnanti”. Quindi la graduatoria delle scuole: questa è la scuola di serie “A”, questa di serie “B”, di serie “C”. Veniamo all’ultima raccomandazione che fanno: “In questo rapporto abbiamo anche richiamato più volte l’attenzione sulla necessità di mobilitare e sostenere l’impegno di tutte le parti in causa, insegnanti, genitori, studenti, imprenditori, sindacati, l’opinione pubblica, le autorità locali e regionali ecc., per il processo di riforma. Ciò richiederà da parte del ministero la messa in moto di una strategia appropriata per comunicare e divulgare gli scopi e gli obiettivi della riforma. Se si vuole che questa abbia successo è indispensabile assicurare un flusso regolare di informazioni. Questo richiederà probabilmente una certa ristrutturazione del ministero della pubblica istruzione, con la creazione, per esempio, di un ufficio informazioni di elevata competenza, per assicurare un flusso di informazioni regolare a tutti gli interessati”. Un ufficio marketing, che probabilmente è mancato un po’, o non è stato sufficiente. Chiudo. Uno dei dati più divertenti l’ho trovato in un documento dell’UNESCO. Si parla del coefficiente di efficienza di un pubblico sistema di istruzione. Beh, questa formula, che poi viene spiegata in quattro pagine, dice che un sistema è più efficiente più ragazzi promuove. Dà alcune raccomandazione e spiega: occhio, se questo risultato viene ottenuto per decreto ci sarà comunque una certa inefficienza. [vedi quest’articolo e questo, ndr]
Siccome si era detto che in questo incontro si voleva far partire anche un po’ il dibattito dal punto di vista pedagogico, io ho preso uno scrittore del ‘600, che si chiama Benedetto Marcello, ho trovato un suo scritto che si chiama “Il teatro alla moda” e che secondo me è un ottimo spunto da un punto di vista pedagogico. Dice: “In primo luogo non dovrà, il poeta moderno, aver letto né leggere mai gli autori antichi latini e greci, in quanto che, nemmeno gli autori latini e greci hanno mai letto i moderni”!



Piero Castello (insegnante elementare, “Il Bambino e l’acqua sporca”, Roma)
: Intanto vorrei fare i miei complimenti al genitore che mi ha preceduto. Bisogna partire da un’avvertenza sull’OCSE e su tutti gli organismi internazionali. Per esempio, quanti sapevano che l’attuale ministro degli esteri, Ruggiero, è stato il capo del WTO? Rispetto all’OCSE, io so per certo che molti dei componenti del gabinetto del ministro Berlinguer erano poi persone che lavoravano all’interno dell’OCSE. C’è quindi, è evidente, un’osmosi tra governi e questi organismi internazionali. Anche questa quindi è una chiave di lettura da tenere presente. Io penso che il centro di ciò su cui dobbiamo ragionare per i nostri obiettivi, di confronto, di studio, di lotta, debba essere ciò che sta succedendo intorno al valore legale del titolo di studio. Il valore legale del titolo di studio è stato definito secondo me in maniera egregia dallo stesso Zecchino, pochi giorni fa, sul “Sole 24 Ore” e ve lo leggo perché non saprei riassumerlo in modo così chiaro: “Un titolo ha valore legale quando una legge connette alcune conseguenze. Le conseguenze del contenuto effettivo del valore legale possono essere di vario tipo. Un titolo può avere effetti legittimati ai fini: 1) dell’accesso a percorsi formativi; 2) dell’ammissione a sostenere esami o corsi; 3) dell’esercizio di una professione”. Quattro, non lo dice, lo dico io, ai fini della trama contrattuale che esiste nel pubblico come nel privato. Allora, questa definizione lui la dà per rassicurare i lettori del “Sole 24 Ore” che all’università si è fatto di tutto per smantellare il valore legale del titolo di studio, e che nella scuola ci si sta orientando verso lo stesso obiettivo. “Figuratevi”, dice, “che nella scuola abbiamo raggiunto l’obiettivo che i titoli di studio non sono più nemmeno sufficienti per l’accesso universitario, figuriamoci alle professioni”. Intorno a questo penso che quello che ha detto Lorenzo sarebbe sufficiente, ma forse vale la pena di approfondire. La riforma Berlinguer non smantella solo il valore legale del titolo di studio, no, cancella i titoli di studio, li cancella totalmente. I 4 licei che sarebbero nati avrebbero cancellato tutti i titoli di studio che il nostro sistema si era costruito in 50 anni di storia. Titoli di studio che erano perseguibili non da una minoranza dei giovani del nostro paese, ma dal 60%, perché il 60% degli studenti frequenta gli istituti tecnici e professionali statali i quali rilasciano alla fine del loro corso titoli che conoscete bene, ragioniere, tecnico, geometra, perito. E tra i ragazzi che si iscrivono a questi corsi non ce n’è uno che provenga dai liberi professionisti, dagli imprenditori, vengono tutti da quelle condizioni economiche e sociali che partendo da un livello basso cercano un innalzamento. Bene, questo, la riforma dei cicli lo cancellava e la riforma che si annuncia vuole cancellarlo lo stesso. E’ significativo leggere la vostra cartellina, perché sono le stesse cose che anche noi avremmo sottolineato. Voi segnalate per esempio che cosa dice l’Aprea, che probabilmente sarà la persona delegata a governare la scuola in senso stretto, perché forse il ministro si occuperà di più di università: ebbene l’Aprea dice che proprio nella scuola media bisognerà effettuare quel taglio che non è stato fatto nella scuola di base. Quindi io credo che una delle priorità che noi dobbiamo darci è quella di difendere strenuamente l’istruzione tecnica e professionale nel nostro Paese, che era maturata come gamma di possibilità ricca e articolata di scelta di giovani per percorsi scolastici. Ora di questo genere di scuola si può dire tutto il male che si vuole, e io posso anche contribuire a criticarla… Ma la cosa sconcertante è quello che si dice in un articolo apparso nello stesso giorno, guarda caso, sullo stesso giornale, con un intervento del presidente dell’ISFOR, che dice che bisogna distruggere il processo di licealizzazione del sistema di istruzione professionale. E dice che bisogna ampliare ancora l’istruzione professionale regionale, che non è sufficiente che al 90% sia gestita dai privati, e che anche il decreto 112 che prevedeva il passaggio degli istituti professionali alle regioni è insufficiente., perché non si può lasciare nulla allo stato, deve passare tutto alle regioni. Ecco, io credo che una priorità che ci dobbiamo dare, una priorità di analisi oltre che di lotta, è quella di capire e analizzare come queste scuole si sono evolute, come hanno conquistato la fiducia del paese o almeno di alcuni strati del Paese, per lo meno dal 1968 ad oggi. Tenendo conto che è ben diverso quello che veniva proposto con la riforma dei cicli, e cioè il sistema di apprendistato professionale, da quello che per esempio esiste in Francia, dove il liceo professionale non ha risolto tutti i problemi di questa fascia di studenti, ma li affronta da punti di vista diversi, non da apprendisti, ma da cittadini in formazione, che è quello di cui la scuola dovrebbe farsi carico. Credo che dovremmo fare uno sforzo perché i cittadini, gli studenti, gli insegnanti riprendano la parola su questi temi. Un altro tema che vorrei trattare è quello di una fotografia di un pezzetto di società che denuncia la malattia in cui versa la nostra democrazia. Mi è capitato di presenziare recentemente ad una riunione di presentazione di una tesi di alcune associazioni (AIMC, Lega Ambiente e […]) che hanno pubblicato una ricerca, “prove generali di autonomia”, molto lussuosa, e penso che come il solito l’avranno pagata i soliti “ignoti” (indica i presenti in sala ironicamente, ndr). Questa ricerca riguarda un campione non piccolo, circa 1400 scuole, e penso che come spesso accade sarà un campione selezionato, favorevole a queste associazioni. Ho preso una pagina a caso e c’è la descrizione del POF della scuola. Bene, queste scuole hanno una 1037 studenti, l’altra 2435 alunni, un’altra 1420 alunni: sono i fanatici dell’Autonomia, fanatici che hanno anche appoggiato il dimensionamento! Non si spende una parola per commentare questi dati. Me li sono andati a guardare tutti e il 50% delle scuole documentate qui supera i limiti del dimensionamento. Ora se c’è una cosa che abbiamo imparato è che il piccolo è bello, ce l’ha insegnato anche il femminismo, perché aumenta la capacità di progettazione, di confronto, di successo del lavoro… Ditemi voi come si fa a far funzionare gli organi collegiali in una simile situazione. Poi queste stesse associazioni hanno dato un questionario a queste 1400 scuole che hanno risposto alla domanda “Chi ha predisposto il POF?”. Ebbene, queste sono le risposte: nel 28% dei casi si risponde “il collegio dei docenti”; nel 66% dei casi si risponde “la commissione”; nel 28% dei casi si risponde “il capo di’istituto”. Il commento c’è, questa volta, e dice che stiamo andando bene, che stiamo andando verso la collegialità! Queste sono infamie, nemmeno l’autonomia prevedeva queste cose. Ecco che cosa ci stanno propinando questi: quale rappresentanza si attribuiscono! Vorrei esporre un altro aspetto della democrazia malata. Sapete che in questi giorni le scuole superiori stanno predisponendo il trasferimento dei dati su Internet degli studenti con obbligo formativo che escono dalle scuole. Allora, la conferenza stato-regioni ha convenuto, il ministero ha predisposto che si faccia una grande anagrafe di coloro che lasciano la scuola, ma che rimangono legati all’obbligo formativo, per farne una grande anagrafe, nazionale e regionale. Bene, chi è il destinatario di questa anagrafe? I destinatari sono i centri professionali regionali (per il 90% privati, ndr) e le industrie per la formazione degli apprendisti. Io dico che non c’è stata mai un’amministrazione pubblica così solerte nel sostenere gli interessi privati. Siamo in uno stato di malattia grave per la democrazia. Concludo dicendo che mi sembra che ci siano delle realtà belle che secondo me vanno coinvolte in questa discussione. Per esempio il “Movimento per l’Autoriforma gentile”, e la rivista “Ecole”, e anche la rivista “Koinè”: non possiamo non coinvolgerli per il futuro per il contributo che possono dare. Io penso che sotto tutte queste esperienze, come dal confronto di oggi, emerga un’idea, un progetto di scuola che se forse non è proprio univoco, certamente può aiutarci nel mettere alcuni paletti di punti fermi su cui siamo d’accordo.



Roberto Verdi (Associazione genitori 0/11 di Padova)
: Sono un genitore di Padova e sono anche presidente di un consiglio di circolo. Faccio parte di un gruppo di studio che si è formato in questi anni tra genitori, insegnanti di scuola elementare e media, professori universitari, e sono venuto qui per allargare il dibattito. Vorrei dire tre cose. La prima cosa parte da una considerazione, un domanda, che anch’io come genitore mi sono posto, e cioè il “perché?”. Perché fare tutta una serie enorme di interventi, dalla legge 59 alla riforma dei cicli, passando per tutti quei provvedimenti che di fatto hanno cambiato profondamente la scuola, se poi il problema di fondo è la dispersione scolastica. Mi sembra che ci fossero ben altri modi per affrontare questo problema, e che forse potevano essere ben più efficaci. Tra l’altro vorrei ricordare che un vero dibattito su queste cose non c’è assolutamente stato, e anche noi abbiamo toccato con mano che ogni volta che si cercava di allargare la discussione, anche con sindacati, partiti ecc., era molto difficile. Un altro punto su cui vorrei intervenire è quello toccato più volte stamattina, sulla prospettiva o sul progetto di scuola che vorremmo. E’ stato detto che non è possibile avere un progetto, ma io penso invece che se anche non si tratta di un vero progetto compiuto, è necessario però ragionare almeno sulla prospettiva della scuola che vorremmo, anche perchè si tratta di un dibattito che non riguarda solo la scuola, ma più in generale il sociale, il rapporto della scuola con la società, con il lavoro. E’ in questa prospettiva che si può inserire il dibattito sulla scuola pubblica, che rimane una cosa che non si compra, che non si vende. Ed è solo all’interno di questa riflessione più generale sulla scuola che si può comprendere perché essere contrari a termini come “crediti”, “debiti”, “offerte”, che oggi la fanno da padroni al posto della parola “istruzione”. L’ultimo punto su cui vorrei portare un contributo riguarda il mio timore nel trasformismo dei partiti, e dico questo perché studiando la riforma mi sono fatto l’idea che alla fine convenga a tutti realizzarla. Conviene da un punto di vista economico, conviene per il finanziamento delle scuole private, conviene da molti punti di vista. Bisogna quindi vigilare, e noi lo faremo con il nostro osservatorio cittadino a Padova, perché si arrivi davvero alla sospensione e poi si apra un dibattito vero nel Paese sulla scuola.



Vittorio Ciocca (insegnante elementare Milano, “Manifesto dei 500”)
: Sono della zona di Milano, cioè della provincia, e vorrei subito sgombrare il campo dicendo che sono un eletto RSU della CGIL e sono stato fin dall’inizio uno dei fondatori del “Manifesto dei 500”. Avrei principalmente una riflessione da fare. Mi sembra di aver colto anche in un intervento, forse quello di Vigli, l’accenno al fatto che forse da questo momento anche all’interno della CGIL ci possono essere degli alleati che fino a ieri non hanno condiviso le nostre posizioni, per esempio sulla riforma dei cicli. Io mi auguro che sia così. C’è una minoranza interna alla CGIL che ha già da tempo aperto una riflessione in questo senso e io mi auguro che questo intervento possa essere più incisivo e allargarsi. Questa è una riflessione interna alla CGIL, se vogliamo… Ma in realtà è un tema che ci tocca tutti. Prendiamo per esempio le posizioni di Cofferati di questi giorni: penso che quando invita la gente in piazza dovrebbe avere il senso della misura, perché, visto che la gente è ancora costituita da persone fisiche, io vorrei proprio vedere chi andrebbe in piazza a manifestare a favore della riforma dei cicli…. E’ una cosa che non esiste proprio, e noi lo abbiamo toccato con mano anche durante la campagna elettorale, quando c’è stata un serie di incontri pubblici di personalità a favore della riforma nella nostra zona. Ebbene, noi che eravamo gli unici nell’abbiatense ad aver preso una posizione chiaramente contraria alla legge, pur raccogliendo migliaia di adesioni, ci siamo accorti che in realtà non c’erano veramente dei sostenitori della riforma, abbiamo rilevato che chi la sostiene si vergogna pure, non regge il confronto, si nasconde dietro a questioni totalmente pretestuose o secondarie. Al di là di questo io penso che oggi inizi una fase diversa, perché nel momento in cui si prospetta l’idea di un coordinamento nazionale questo vuol dire alzare il tiro, a tutti i livelli, anche organizzativo. Per fare questo bisogna partire da una riflessione: il lavoro che abbiamo svolto fino ad oggi, come “Manifesto dei 500” ma anche per quello che riguarda le altre organizzazioni, ha aperto un credito enorme presso la categoria e presso l’opinione pubblica e questo credito è un patrimonio di partenza che va considerato. Il variegato mondo che ha fatto riferimento a noi, e la maggioranza di questo mondo è caratterizzato principalmente a sinistra, ha avuto certamente dei problemi in termini politici, però abbiamo tenuto, siamo stati capaci di tenere perché c’era una coerenza di fondo, c’erano dei contenuti. Adesso chiediamo la stessa coerenza a tutti: quello che ci tiene insieme deve essere dunque il contenuto delle nostre rivendicazioni, dei punti comuni che troviamo oggi per iniziare. E’ quindi fondamentale creare questo coordinamento su una base, su una piattaforma che sia il frutto di questo dibattito e poi di un approfondimento, in modo che si crei un’aggregazione su alcuni punti fondamentali sui quali condurre una lotta concreta. L’ultima cosa che vorrei dire è conseguente, e riguarda le adesioni a questo coordinamento. Mi sembra che noi dobbiamo continuare ad essere aperti a tutti, anche ai gruppi che possono sembrare più lontani, a condizione che si condividano i punti fondamentali. Questa deve essere la sola discriminante: condividere i punti che elaboreremo oggi. Dico questo anche rispetto all’intervento della sindacalista della UIL: penso che il dibattito debba essere il più aperto possibile e che debba partecipare più gente possibile, quindi ben vanga il contributo di oggi. Poi, però, si deve trovare una piattaforma comune e su quella ci si deve impegnare.



Antonia Baraldisani (insegnante, Roma, Comitato Scuola e Costituzione)
: Volevo andare alla realtà che notiamo nelle nostre scuole. Si parlava prima della riforma dei cicli, ed è giusto, ma va considerato che essa è solo una delle riforme, ma tutta una serie di altre leggi sono passate in questi anni, in questo ultimo decennio. Va considerato quindi quanti cambiamenti ci sono stati, quanto sia cambiato il modo di lavorare degli insegnanti, la loro condizione. Questi cambiamenti sono arrivati per diverse vie, per esempio attraverso il contratto, come nel caso delle funzioni obiettivo, che hanno introdotto un elemento nuovo che ha cambiato molte cose. Poi, oltre al contratto abbiamo avuto le riforme degli esami di maturità, l’abolizione degli esami di riparazione, al tempo di D’Onofrio, con l’adozione dei debiti e dei crediti..Tutto questo non ha a che vedere con i cicli, eppure ha cambiato molte cose, così come la questione dell’obbligo formativo, spendibile anche con l’apprendistato di cui ha già parlato Piero Castello stamattina. Tutto questo secondo me dovrebbe essere oggetto di un’analisi che noi potremmo avviare nelle scuole: chi è d’accordo con queste cose? Chi le ha discusse veramente? Chi le ritiene positive e chi negative? Perché dobbiamo metterci bene in mente che qualunque cosa vogliamo fare abbiamo bisogno di un forte blocco di insegnanti, e l’ideale sarebbe anche di studenti. Ma questo blocco non lo si costituisce se non si hanno presente davvero le valutazioni che vengono date a maggioranza all’interno delle scuole su queste riforme. Io ho l’impressione che non ci sia più tanto il disagio, quanto l’assuefazione. Il disagio è per esempio nei confronti dei cicli, perché deve ancora avvenire. Ma per esempio l’Autonomia scolastica, o il contratto con fondi di incentivazione, hanno assunto un po’ la funzione di equilibrare quella miseria che sono i nostri stipendi. E va detto apertamente che non se ne può proprio più. Parlavo ora con dei colleghi che hanno dei figli che sono ancora precari a 40 anni, che vanno aiutati perché non ce la fanno economicamente, quando sono ormai persone adulte da tempo. Io ho colleghe che tra mutui per la casa, figli, spese, farebbero qualunque cosa, qualunque progetto, e lo metterebbero nel POF per avere qualche ora pagata. Allora questo meccanismo è un meccanismo reale nella scuola, è quello che viviamo tutti i giorni. Altro problema: il ruolo delle RSU, che deve rimanere distinto da quello del collegio docenti, che deve rimanere centrale nella scuola. Quindi la condivisione dei punti di cui si parlava prima, il trovare dei punti comuni, deve partire dalla conoscenza, dalla consapevolezza di quello che pensano gli insegnanti, dalla situazione reale. Colgo l’occasione per segnalare che il 10 luglio alla Corte Costituzionale si discuterà il ricorso presentato da “Scuola e Costituzione” di Bologna sui buoni scuola dell’Emilia Romagna: è una sentenza molto importante perché da questa sentenza si capirà quanto la legge di parità (altra legge che nel frattempo ha inciso nella scuola) sta già producendo dei danni nella scuola. Voi sapete che questa legge è molto ambigua, perché non dice direttamente che si devono finanziare i buoni scuola, ma che le spese scolastiche debitamente (o opportunamente, non ricordo bene) documentate possono essere rimborsate. Ora, le spese scolastiche possono essere anche le rette, almeno così dicono molte regioni. Un’ultima cosa vorrei dirla a proposito del documento dell’OCSE citato questa mattina. Io conosco un testo, che forse anche voi conoscete, ed è un libro di Gaebler, “Dirigere e governare”, di Garzanti (“ style=’font-weight:normal’>Dirigere e governare. Una proposta per reinventare la pubblica amministrazione”, Osborne David; Gaebler Ted; Garzanti Libri, ndr), libro nato in America e tradotto nel 1972 in Italia. In questo libro in cui ci sono molte pagine dedicate alla scuola e in cui si descrivono i processi di cambiamento e come governarli viene descritta proprio la realtà verso la quale stiamo andando, viene descritta pari pari la situazione a cui ci stanno conducendo queste riforme. Per esempio emerge chiaramente che la scuola pubblica, negli USA, è pubblica per quello che riguarda le strutture, ma i genitori pagano molto di più di quello che sono i contributi dello stato, e quindi possono avere voce in capitolo su tutto, sulle scelte dei docenti e sui ragazzi. Ebbene, in questo libretto che vi consiglio davvero di leggere se lo trovate ancora, si descrive tutto quello che è già successo nella scuola italiana dal ’92 ad oggi, per la via dell’Autonomia, del dimensionamento, per le vie di tutti quei decreti, circolari che continuano ad affluire a scuola, e tutti voi sapete come siamo sommersi da queste circolari… Faccio solo un esempio: le circolari sull’obbligo scolastico. Chi insegna in una scuola superiore, soprattutto professionale o tecnica, sa che cosa voglio dire: l’obbligo formativo nella nostra scuola ha preso il tempo a tutto, persino alle funzioni obiettivo degli studenti che non si sono occupate di altro: passerelle, contatti, accordi con le imprese.., non ci si occupa più di altro.. Ecco, tutto questo va valutato: tutto questo è positivo o negativo? Per il ragazzo è positivo o negativo? E’ positivo o negativo un libretto dello studente come quello che c’è oggi, che lo segue per tutta la vita, quando persino all’università non c’è più un libretto con tutti gli esami, almeno alla Sapienza di Roma? Vorrei dire un’ultima cosa sul riordino dei cicli. Io personalmente ho una gran paura per il clima che si può riuscire a suscitare. Berlusconi è molto abile, in un certo senso se l’avversario fosse Buttiglione sarebbe meglio, perché le cose sarebbero più chiare. Invece che cosa ha detto Berlusconi? Ha detto che non vuole contrasti, che vuole discutere, che non si tratta di contrapposizione tra pubblico e privato… per vedere quello che è meglio per il bene di tutti… In questo modo tutto diventa un discorso di buon senso e si spoglia la questione di ogni visione della società, di ogni prospettiva di trasformazione della società. E chi non accetta questo piano neutro, questo piano spoliticizzato, questo mettere tutto sul buon senso, chi non accetta è un comunista, e come tale cerca la violenza e cerca lo scontro. Questo è il messaggio. E allora noi che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo tirare fuori la nostra memoria storica. Noi abbiamo la prerogativa di voler portare tutti al livello più elevato di formazione possibile, e la riforma della scuola media si inserisce in questo proposito. Questa è una nostra caratteristica rispetto ad altri sistemi che selezionano prima. E allora anche la questione del legame tra scuola media e scuola elementare, che pure sono nate in contesti diversi, assume un valore diverso se la guardiamo nella logica di scuole che hanno obiettivi comuni. Il problema dunque non è se unirle di più o no, ma il problema nasce se si vuole togliere un anno, se si impone una scelta precoce. Queste cose vanno discusse: finire a 18 anni è un bene o un male? Siamo d’accordo a finire a 19 anni? Va bene? Tutto questo va discusso, ma va discusso davvero. Al di là delle parole d’ordine sulla riforma dei cicli o su altro, quale scuola vogliamo difendere?



Guido Montanari
: Vorrei fare una piccola considerazione generale e poi toccare alcuni punti più particolari. La considerazione generale parte dalla nostra riunione di oggi. Io penso che non vada sottovalutata. Noi siamo in 40 oggi, ma in realtà queste delegazioni di oggi rappresentano molto di più. Ognuno di noi rappresenta un lavoro enorme, fatto nei comitati, nelle scuole, nelle assemblee, nelle manifestazioni, nelle riunioni, con dei documenti, ed è un lavoro di grande rilievo e di grande peso per il Paese. Bisogna poi valutare che è una riunione fatta al di fuori di tutti i canali ufficiali, al di fuori della stampa, della televisione, al di fuori dei partiti. Questa riunione rappresenta un primo tentativo molto importante per trovare un terreno comune per cominciare a porre alcune questioni al Paese, a noi, ai genitori, agli insegnanti, agli studenti, intorno ad un tema che io ritengo fondamentale che è appunto quello della scuola pubblica. Fatta questa considerazione vorrei affrontare tre domande. Prima di tutto: che cos’è la scuola pubblica? E poi: perché ci sono queste riforme che attaccano la scuola pubblica e, infine, che cosa possiamo fare noi per difenderla. Parto da questi tre punti, ma non ho la pretesa di fare nessuna sintesi di quello che è stato detto oggi, e voglio ribadire che ogni contributo ha per noi lo stesso valore degli altri. Queste sono mie riflessioni, in parte come genitore del “manifesto dei 500″, ma in parte anche come riflessioni personali, e io credo che trovando un minimo denominatore comune tra di noi si possa fare davvero qualcosa di concreto. Che cos’è la scuola pubblica? Non è una domanda retorica, e dico questo perché intorno a noi c”è una tale pressione, della stampa, di chi ha il potere, delle trasmissioni televisive che ci dicono “la scuola è una cosa che ci serve a trovare un lavoro, la scuola va fatta in fretta, ci deve mettere nella condizione di guadagnare molto, di affermarci”. Io non credo che la scuola pubblica sia questo. La scuola pubblica ha una sua storia, ha una sua tradizione, nasce sulla base di lotte del movimento operaio, che hanno portato all’inizio del ‘900 alle prime richieste di una scuola forte, che costituisca una base di partenza per tutti gli operai, che possa dare a tutti una base per trovare una affermazione della propria personalità. La scuola pubblica fonda i suoi principi nella Rivoluzione francese e nelle idee dell’Illuminismo, ma poi si nutre di tutte le lotte e le idee del movimento operaio degli anni successivi. Quindi la scuola pubblica non è la scuola di tutti nel senso della scuola del ricco, dell’imprenditore e del povero… La scuola pubblica è la scuola di tutti i lavoratori, di chi lavora e vive del proprio lavoro e vuole avere gli strumenti minimi per poter essere messo nella società anche al riparo dalle pressioni che chi è più potente di noi può esercitare. Quindi la scuola pubblica non è un fattore neutro, un fattore qualsiasi. La scuola pubblica è allo stesso livello delle libertà di pensiero, di stampa, di opinione.che derivano dagli ideali della Rivoluzione francese. La scuola pubblica è la base dell’ordinamento democratico della società. Scuola pubblica vuol dire libertà di ricerca scientifica, vuol dire libertà d’insegnamento, vuol dire libertà di pensiero. Queste cose penso che dovrebbero essere alla base delle nostre riflessioni. E se noi non le facciamo, facilmente possiamo scivolare sul terreno dei Berlusconi, di chi dice che vuole vendere una scuola solo come lavoro, come credito, come offerta, clienti, con tutto questo frasario che non c’entra nulla. La scuola pubblica è la base perché una società possa permettere ai propri figli di trovarsi nella vita in condizioni di possibile parità, è la base per poter essere messi in grado di comprendere un programma politico, un contratto di lavoro, un diritto… E se è vero che la scuola pubblica è queste cose che ho detto, penso che nel momento in cui ci troviamo qui oggi per difendere la scuola pubblica, stiamo facendo una scelta che non è né corporativa, né esclusivamente sindacale, anche se quest’ultima componente esiste. Io penso che nel momento in cui dei cittadini, dei genitori, degli insegnanti si trovano per difendere la scuola pubblica, essi fanno una cosa che riguarda tutta la società. E da questo punto di vista devo dire che un punto che ritengo molto importante è quello che la scuola pubblica si è formata, come ho detto, attraverso delle lotte, sulla base degli stati nazionali, cioè sulla base di programmi nazionali, di una cultura nazionale, di un’organizzazione nazionale, di esami nazionali che sono stati anche il terreno delle manifestazioni dei lavoratori. Perché dunque ci sono queste riforme? Da dove vengono? Molte cose si sono già dette e non vorrei ripetermi. Vorrei però riprendere una frase che diceva Roberto Verdi prima, mentre mangiavamo un boccone nella pausa. Diceva: ma in fin dei conti, qual era il problema reale della nostra scuola? Era che non avevamo i soldi per comprare la fotocopiatrice e che molti alunni uscivano da scuola con una preparazione insufficiente. Questi erano i due problemi: un problema di fondi e un problema di recupero dei bambini. Ma per risolvere questi problemi, c’era forse bisogno dell’Autonomia? O non c’era invece bisogno di aumentare il personale, aumentare gli stanziamenti, mettere più personale in segreteria… E per recuperare i bambini, era forse necessario aumentare i bambini nelle classi, eliminare gli insegnanti di sostegno, non nominare i supplenti, pagare così poco i docenti? Possiamo dire che le riforme attuate in questi anni siano andate nel senso di risolvere davvero questi problemi? Bene, io credo che un bilancio ci voglia e che si possa dire tranquillamente che le riforme, prima tra tutte l’Autonomia, non siano andate per nulla nella direzione di risolvere questi problemi. Questa è stata una presa in giro. E molti sono stati presi in giro su questo terreno. Perché io ricordo che, qualche anno fa, se qualcuno osava sollevare dei problemi sull’Autonomia veniva attaccato, gli si diceva “ma insomma, la scuola dell’Autonomia vuol dire la possibilità di avere le scuole con più fondi, di lavorare meglio, di avere meno burocrazia, di non avere un preside che ti opprime…”. Ebbene, oggi si può fare un bilancio. Vi porto l’esempio della mia scuola: da due scuole con relativo personale di segreteria, siamo passati a tre scuole accorpate con una sola segreteria, con un’unica segretaria dove ce n’erano tre, con un unico preside dove ce n’era due… E anche i consigli di istituto si sono dimezzati… Oggi la situazione è cambiata: tutti hanno sotto gli occhi quello che ha significato l’Autonomia, e tutti hanno compreso… e nessuno si sognerebbe più di difendere l’Autonomia. La domanda è: perché tutto questo? Perché far di tutto per non migliorare le cose, per peggiorarle, per farle funzionare male? Ora qui ognuno ha le sue risposte, ma mi sembra significativo tornare sulle questioni internazionali. Abbiamo letto i documenti OCSE, i documenti UE, e guarda caso si trovano le stesse cose anche negli altri paesi, guarda caso ci sono provvedimenti simili in Germania, in Francia. Guarda caso ci sono dei documenti UE che dicono, anche se non lo dicono mai apertamente, che bisogna abbassare i livelli culturali… E perché bisogna abbassare i livelli culturali? Ma è ovvio. Per avere gente sempre più sfruttabile, sempre più disposta ad accettare lavori precari, flessibili, ad accettare la distruzione delle conquiste… Sapete che in Francia è passata una legge che reintroduce il lavoro minorile a 13 anni? In Francia, dico, e proprio mentre tutta la stampa internazionale parla del lavoro minorile in Asia e in Africa… e qui da noi, in Europa, l’età per il lavoro minorile viene abbassata dai 16 ai 13 anni! E in Italia, con la riforma dei cicli, si parla continuamente di passaggio scuola-lavoro e lavoro-scuola come se fosse una grande novità, un grande progresso. Ebbene, io penso che la scuola possa costituire in questa società un piccolo baluardo alle dinamiche di sfruttamento dell’uomo, come lo sono altre libertà, altre conquiste… Perché? Perché nella scuola è possibile, o meglio dovrebbe essere possibile, fare una ricerca libera, è possibile trasmettere conoscenze in modo libero, è possibile alimentare una cultura del confronto attraverso i programmi nazionali. Ma oggi queste cose rischiano di essere “superate”, ci dicono che sono “superate”. L’Autonomia didattica permette che differenziare i programmi che vengono scelti spesso nemmeno dal collegio docenti, ma dal preside, da forze esterne, con i loro condizionamenti, e questo attacca la libertà d’insegnamento. Perché la liberta d’insegnamento non viene attaccata quando c’è un programma nazionale da rispettare, perché io so che all’interno di quel territorio culturale posso svolgere e applicare liberamente le tematiche indicate, mentre viene attaccata quando sono obbligato a decidere insieme ai colleghi, tutti coordinati dal preside, tutti condizionati da qualcuno, che cosa fare e come farlo, come coordinarlo. Qui non c’è più libertà d’insegnamento, e penso che queste siano cose sulle quali bisogna riflettere e approfondire. Vorrei qui riprendere un altro tema che è stato toccato questa mattina, quando Piero Castello parlava dei titoli di studio. Ebbene, all’università i titoli stanno sparendo, noi stiamo andando verso queste lauree di 3 anni e poi altri 2. Ebbene, questo vuol dire che non ci sarà più l’architetto come oggi, ma dopo i primi 3 anni avremo l’architetto-junior, e che cosa farà l’architetto-junior? Farà esattamente quello che adesso fa il geometra, perché le conoscenze che ci prepariamo a passare in questi 3 anni sono più o meno quelle che oggi si passano ai geometri. E poi ci si lamenta del patrimonio culturale, del patrimonio ambientale… Ed è ancora una volta vero che questo abbassamento culturale vale per tutta l’Europa: se voi prendete i programmi scolastici e universitari degli ultimi anni, vi accorgete che c’è una diminuzione di contenuti enorme. Se voi prendete i programmi francesi del 1948 vi accorgete che bisognava studiare un gran numero di autori classici che oggi sono quasi spariti, o comunque molto ridotti, si è passati a nominarli genericamente, nei programmi di qualche anno fa, fino ad oggi che si parla di approccio generale alla letteratura. Io stesso posso portare la mia esperienza diretta dell’Università. Fino all’anno scorso facevo un corso di Storia dell’Architettura di 120 ore; adesso lo stesso corso, nella laurea breve, lo faccio di 60 ore: è evidente che non posso trasferire gli stessi contenuti di 120 ore in un corso di 60. E non è nemmeno vero che le cose che non verranno fatte nei primi 3 anni verranno fatte dopo: non si faranno più, perché tutto è orientato a conseguire il titolo che sia in qualche modo riconoscibile in Europa. E, d’altra parte, che cosa richiede l’Europa? Forse un architetto che conosce la storia, che studia l’impatto ambientale, che si preoccupa del rispetto culturale. Certamente no, perché questo ha un costo, molto meglio un architetto che sappia tirare quattro righe, non si ponga tanti problemi e sia disponibile a lavorare in uno studio a un milione e mezzo al mese. E allora torniamo alla domanda: perché passano queste riforme? Ebbene, non c’è nulla di casuale, nessuno è impazzito, non c’è nulla di strano. C’è un disegno preciso, che è mondiale e nella fattispecie europeo, di distruzione delle conquiste, e quindi di distruzione di una scuola pubblica seria, che insegni, che dia strumenti agli studenti, ai giovani, per la propria vita. Ancora una battuta: io trovo demenziale questa scuola dei “progetti” che sostituiscono i programmi nazionali. Nella scuola di mia figlia c’è il cortile intasato di macerie, di porcherie che non vengono ripulite da quattro anni, e i bambini non possono nemmeno fare l’intervallo. Ma nel frattempo sono stati stanziati milioni e milioni per commissioni che hanno discusso curricoli, progetti, riforme distruttive come quelle di cui parliamo. La scuola dei progetti è una scuola demenziale, ed è vero quello che diceva la collega prima: pur di guadagnare due lire si fanno tutti i progetti, e non voglio dare dei giudizi morali su chi si adopera, su chi fa le funzioni obiettivo, su chi fa le commissioni, ma dobbiamo porci una domanda: è questa la scuola che vogliamo? Vengo dunque alla conclusione: che cosa fare? Non voglio prendere tempo a Lorenzo Varaldo che adesso leggerà la proposta di mozione su cui ha lavorato e che spero rifletta la discussione di oggi. Una cosa però la voglio ribadire: penso che sia necessario isolare pochi punti sui quali unire le forze, pochi punti che ci uniscano sui quali condurre la battaglia con delle azioni concrete. Su questi punti sono d’accordo a dar vita ad un coordinamento, ad un collegamento, nella forma più aperta possibile, in modo che ogni opinione e ogni appartenenza sia rispettata, ma nello stesso tempo si trovi il modo per dare subito un segnale al governo per interrompere questa linea di distruzione di un diritto democratico fondamentale come è la scuola pubblica.



Lina Carnevale (insegnante elementare, Fondi (Latina))
: penso che l’intervento di Guido sia stato perfetto e quindi non voglio aggiungere molto. Vorrei però portare un piccolo contributo perché è un contributo a nome di coloro che mi hanno mandato a questa riunione, cioè gli insegnanti di Fondi che hanno firmato un documento preciso. Ora questo mandato che ho ricevuto è stato molto chiaro, ed è che noi ci battiamo per il ritiro della riforma dei cicli, non per la revisione, o per una giusta applicazione, perché, come si è detto prima, non si può aggiustare una cosa che è nata per distruggere. Su questo, i miei colleghi che hanno firmato le varie mozioni, lettere aperte ecc. sono stati molto chiari. Mi sembra quindi che sia necessario che questa posizione, almeno sui cicli, sia molto chiara nella mozione conclusiva. Un’altra cosa che vorrei dire riguarda più da vicino la nostra regione: penso che ci siano molti contatti, molte persone interessate che in qualche modo si sono fatte vive, e che con queste persone si possa pensare di dar vita ad un coordinamento più stretto della nostra zona, in modo da allargare al massimo il discorso anche qui nel Lazio.

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