Manifesto per la difesa della Scuola Pubblica

“Comitato Nazionale di collegamento per la difesa della scuola pubblica”

MANIFESTO

PER LA DIFESA DELLA SCUOLA PUBBLICA

“Noi sottoscritti, cittadini, insegnanti, genitori, responsabili sindacali e di associazioni, siamo seriamente preoccupati per la situazione della scuola pubblica, per i provvedimenti attuati in questi anni e per quelli che si annunciano. Abbiamo deciso di promuovere questo manifesto per aprire la più grande discussione possibile nel paese e prendere delle iniziative concrete in difesa della scuola pubblica”.

Il “Comitato Nazionale di collegamento per la difesa della scuola pubblica” si è costituito a Roma il 23 giugno scorso al termine di un incontro nazionale promosso dal “Manifesto dei 500” e dal Coordinamento insegnanti-genitori di Roma che aveva visto la partecipazione di insegnanti e genitori di tutta Italia, di responsabili sindacali e di associazioni, di rappresentanti di movimenti e partiti. Riunitosi a Firenze per la terza volta, il 24 novembre scorso, ha approvato il testo riportato all’interno. I promotori del “Manifesto per la difesa della scuola pubblica” si sono impegnati a raccogliere adesioni in tutta Italia nei prossimi mesi e a trovarsi il 9 marzo per un bilancio della raccolta firme e per decidere quali iniziative prendere.
Contatti: Lorenzo Varaldo, via Gassino, 14, 10132, Torino tel. e fax 011/8192074. Mario Sanguinetti, tel/fax 06/99805457; Sonia Bortolotti, 055/8309037; Guido Montanari, tel/fax 011/6690142;Rita Defeudis, viale Paolo VI, 6, Abbiategrasso (MI) tel. 02/94965090. e-mail: [email protected] – sito Internet: http://manifestodei500.altervista.org.

Perché difendere la scuola pubblica?

La scuola non è sempre stata pubblica. Essa è nata privata e riservata ai ricchi. E’ diventata pubblica e statale al termine di un lungo cammino di emancipazione da interessi di ogni tipo: la cultura ha dovuto fare molta strada per sottrarsi a questi interessi e assicurarsi condizioni d’esistenza libera, essenziali per il suo sviluppo.

Ci siamo interrogati: quale deve essere il ruolo dello Stato in rapporto alla scuola?

Noi pensiamo che lo Stato debba avere due compiti precisi: da un lato, cercare di dare ad ogni cittadino le stesse opportunità di crescita, cultura, istruzione e diritti sociali, per affrontare la vita, difendere i propri diritti e ottenerne di nuovi; dall’altro, garantire che la cultura si sviluppi liberamente senza condizionamenti.

Molte differenze esistono tra i cittadini: differenze economiche, di ceto sociale, di cultura, di religione, di idee politiche. Lo Stato dovrebbe assumersi il compito di rimuovere gli ostacoli alla crescita umana e culturale che possono derivare da queste differenze. Per questo la scuola statale deve essere una scuola aperta a tutti, che non si fonda su idee particolari o su programmi differenziati, che non pone condizioni per nessun iscritto, che rispetta le idee di ognuno e non ha obiettivi diversi tra un istituto e un altro. La scuola statale non può avere altri obiettivi che i programmi nazionali: non può quindi avere l’obiettivo di far profitti sull’istruzione, né quello di far passare particolari idee, convinzioni pedagogiche, politiche, religiose.

Alla base della scuola pubblica c’è un principio molto semplice: ogni cittadino ha gli stessi diritti degli altri. Questo significa che lo Stato fa pagare le tasse in proporzione al reddito di ognuno e utilizza questi soldi per dare a tutti le stesse opportunità. Chi ha un reddito maggiore paga più tasse per permettere a coloro che hanno un reddito più basso di avere accesso alle stesse scuole, con gli stessi professori, gli stessi alunni, gli stessi programmi. E’ un principio di solidarietà e di vero progresso: noi vogliamo difendere questo principio.

Viceversa, se lo Stato si mette a sovvenzionare (in qualunque forma) le scuole private, l’uguaglianza tra i cittadini viene meno: ogni scuola potrà perseguire obiettivi diversi, livelli di apprendimento diversi, sostenere ideologie diverse, selezionare gli iscritti e i professori in base a queste ideologie.

Questo pericolo si verifica anche in un altro caso: quando lo Stato promuove la differenziazione delle scuole pubbliche e la loro messa in concorrenza, la diversità dei titoli di studio e dei programmi su base territoriale o regionale, la ricerca dei finanziamenti privati per le scuole pubbliche, l’adeguamento delle idee dei professori ad un “progetto” particolare, ad un indirizzo predefinito. In altri termini, quando lo Stato promuove la privatizzazione della scuola pubblica.

Ma la scuola non è soltanto il luogo dove si cerca di dare a tutti le stesse possibilità e si persegue l’uguaglianza dei diritti. Certo, la scuola è buona quando insegna a leggere e scrivere bene e a far di conto correttamente. Ma è veramente scuola quando trasmette il gusto del leggere, dello scrivere e del far di conto. In altre parole, la scuola è sede dell’elaborazione culturale: sottraendosi ai vincoli privati in cui era nata e cresciuta nel corso dei secoli, ha posto le condizioni perché questa elaborazione culturale fosse libera. Per questa sua doppia funzione, istruire in modo tendenzialmente uguale e essere luogo di cultura libera, la scuola trova nello Stato la sua garanzia più solida.

La libertà culturale inizia alla scuola materna, al primo incontro con il sapere. La scuola della Repubblica può essere la palestra di formazione di questa libertà molto meglio di qualunque mercato culturale. Per continuare a farlo, deve rimanere essa stessa estranea al mercato e a qualunque condizionamento.

E’ solo nello Stato che la scuola trova la garanzia di essere aperta a tutti, sia per l’accesso all’istruzione, sia per l’accesso all’insegnamento.. L’art. 33 della Costituzione dice che l’arte e la scienza sono libere e che libero ne è l’insegnamento: nessuna scuola privata può offrire tanto. D’altra parte, nessuna scuola pubblica messa a disposizione dei condizionamenti di privati o che costringe i propri docenti a seguire metodi e pedagogie particolari legate ad un progetto d’istituto può garantire il rispetto di questo principio.

La storia passata e quella attuale testimoniano i disastri e le tragedie provocate quando lo Stato si identifica con una o più religioni, una o più idee politiche, una o più filosofie. Si creano allora le culture particolari, si accentuano le divisioni sociali, si apre la strada alla violenza. Gli esempi non mancano: i disastri degli Stati ideologici sono sotto gli occhi di tutti, ma non meno gravi sono le condizioni della scuola di uno dei paesi più ricchi del mondo, gli USA, dove i ricchi possono permettersi un’istruzione privata di un buon livello mentre la grande maggioranza arriva al termine degli studi senza le conoscenze essenziali.

Il Parlamento e il governo, qualunque essi siano, hanno il dovere di far funzionare la scuola pubblica e di utilizzare i soldi pubblici per questo. Siamo coscienti che i governi non hanno adempiuto a questo compito. E’ anche su questa base che si è cominciata a sviluppare un’ostilità verso lo Stato, ostilità più che comprensibile.

Ma il fatto che i governi non abbiano garantito a sufficienza la qualità della scuola pubblica non può essere una giustificazione per lasciare che lo Stato la abbandoni o la attacchi ulteriormente.

Molte volte ci siamo sentiti dire che i peggiori provvedimenti contro la scuola pubblica venivano presi per “adeguarsi all’Europa”. Ci siamo allora informati e abbiamo constatato che numerose direttive dell’Unione Europea prescrivono proprio la distruzione della scuola pubblica. Si può accettare tutto questo? L’Europa che tutti si auspicano è forse quella in cui ci si deve adeguare al livello più basso?

Difendere la scuola pubblica vuol dire, dunque, battersi per dei principi molto concreti:

  1. difendere la libertà d’insegnamento e l’indipendenza della ricerca scientifica, come basi per una scuola aperta al confronto e promotrice del progresso culturale dei cittadini;
  2. difendere i programmi nazionali uguali in tutto il Paese, vera garanzia di uguaglianza dei diritti di tutti;
  3. difendere i titoli di studio con il loro valore legale, base dei contratti collettivi nazionali di lavoro; difendere il Tempo Pieno con due insegnanti su una classe, come previsto dalla legge 820/71;
  4. battersi contro ogni forma di finanziamento alla scuola privata e contro i finanziamenti privati alla scuola pubblica, poiché questi finanziamenti finiscono per condizionare i programmi, le scelte didattiche, l’indirizzo delle scuole. Tutti i soldi pubblici devono andare alla scuola pubblica e le scuole devono avere risorse e insegnanti sufficienti per permettere a tutti di raggiungere gli obiettivi dei programmi nazionali;
  5. difendere il principio che a scuola si studia e ci si prepara al lavoro, ma non si va per lavorare con il pretesto della formazione, mettendo i giovani al posto di lavoratori regolarmente stipendiati;
  6. difendere le conquiste democratiche all’interno della scuola e l’inquadramento statale degli insegnanti, contro ogni tentativo di regionalizzazione della scuola, di assunzione privata, di differenziazione salariale e di valutazione “meritocratica”;
  7. adoperarsi perché la scuola promuova la formazione del cittadino e “rimuova gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (art. 3 della Costituzione).

Le leggi dell’Autonomia Scolastica, della Parità, dei Cicli, il Dimensionamento, la “riforma” degli Organi Collegiali non hanno forse cominciato ad attaccare proprio questi punti? La recente “riforma” federalista della Costituzione non rischia di porre le basi per disarticolare, regionalizzare e privatizzare l’intero sistema scolastico, attraverso il principio di “sussidiarietà” (vedi nota) che nei fatti è contraddittorio con quello di solidarietà? Quanto pesano i provvedimenti come la chiusura di migliaia di scuole, la soppressione di decine di migliaia di posti di insegnamento, l’aumento degli alunni nelle classi, l’abolizione delle supplenze?

Oggi il governo ha in progetto di continuare su questa strada con altri provvedimenti che, ancora una volta, vengono chiamati “riforme”. Il nuovo ministro, ringraziando il governo precedente per i provvedimenti presi, ha annunciato che vuole “potenziare l’Autonomia Scolastica varata da Berlinguer”. Dalle successive dichiarazioni, dalla Finanziaria 2002, è chiaro dove si vuole arrivare: alla privatizzazione della scuola pubblica e al finanziamento di quella privata.

Noi pensiamo di avere il diritto e il dovere di fare un bilancio della politica di questi anni. Pensiamo che si debbano unire le forze di tutti coloro che intendono difendere la scuola pubblica, al di là delle appartenenze politiche e sindacali, delle differenze pedagogiche, delle associazioni in cui lavoriamo.

Nell’ultimo periodo diversi scioperi e manifestazioni si sono svolti in difesa della scuola pubblica. Essi hanno dimostrato che esiste la volontà e la forza degli insegnanti, dei genitori e degli studenti per difenderla. La lotta degli insegnanti per il ritiro del “concorsone” e quella di insegnanti e genitori contro la “riforma” dei cicli ne sono una testimonianza.

Ma un problema si pone sotto gli occhi di tutti: altre volte le manifestazioni si sono svolte nella divisione delle date e delle sigle, disorientando in questo modo il mondo della scuola e l’intera popolazione anche a causa di parole d’ordine confuse e contraddittorie con la difesa della scuola pubblica.

Non è di questa divisione che la scuola ha bisogno: noi ci impegniamo a lavorare per una mobilitazione unita di tutti i lavoratori della scuola, degli studenti e dei genitori con tutte le organizzazioni sindacali sulla base dei principi espressi in questo appello.

Come primo passo ci impegniamo a raccogliere migliaia di firme e adesioni su questo appello e a lavorare per un dossier-libro bianco sulle conseguenze delle leggi passate in questi anni.

 

Nota: Il principio di “sussidiarietà” è stato inserito nella Costituzione con il referendum del 7 ottobre. Esso prevede che i servizi pubblici possano essere svolti non solo da regioni, comuni e province al posto dello Stato (regionalizzazione della scuola pubblica), ma anche dai privati al posto degli enti pubblici. Le regioni devono impegnarsi in questo senso, cioè a privatizzare i servizi pubblici.

Hanno promosso il “Manifesto per la difesa della scuola pubblica”: Nicola Adduci (ins. el., Torino, “Manifesto dei 500”); Angela Ballarani (ins. el, “Manifesto dei 500”); Sonia Bortolotti (coordinamento genitori-insegnanti “Il Bambino e l’acqua sporca”, Firenze, Cobas); Antonella Chieffa (ins el, RSU-CISL, Abbiategrasso, MI); Vittorio Ciocca (delegato RSU CGIL, Milano, membro direttivo Rifondazione Comunista, Milano); Elena Colombini (delegata RSU CISL, Magenta-Abbiategrasso); Andrea Contarini (ins., presidente “Comitato Scuola e Costituzione” di Ravenna); Rita Defeudis (ins. el., coordinatrice nazionale “Manifesto dei 500”); Raffaella De Mucci (ins., Consigliere comunale Rifondazione Comunista, membro “Comitato Scuola e Costituzione”, Ravenna); Daniela De Paoli (ins RSU-COBAS, Roma); Marisa Evangelisti (ins., membro “Comitato Scuola e Costituzione”, Ravenna); Angela Fenocchio (ins. el. Torino, “Manifesto dei 500”); Grego Daniele (ins. Torino, iscritto CISL); Roberto Malanca (genitore presidente consiglio di circolo, Torino, “manifesto dei 500”); Guido Montanari (genitore presidente consiglio di circolo e docente universitario, Torino); Luisa Mondon (ins. el. membro direttivo UIL-Scuola, Torino); Paolo Peruzzi (genitore del coordinamento ins-gen. Di Firenze); Roberto Pratest (ins medie, RSU-COBAS, Firenze); Mario Sanguinetti (responsabile Coordinamento insegnanti e genitori di Roma, “Il bambino e l’acqua sporca”); Anna Scarselli (ins. el. Scandicci, FI); Laila Scorcelletti (ins. de “IL Bambino e l’acqua sporca”, Roma); Carmela Trezza (ins. Scandicci, FI); Maria Trezza (ins.el. delegata RSU-Cobas, Scandicci, FI); Lorenzo Varaldo (coordinatore nazionale “Manifesto dei 500”); Vanna Ventre (ins. el. Torino, “Manifesto dei 500”)

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