Un referendum o una legge di iniziativa popolare per far passare la “riforma”?

Un referendum o una legge di iniziativa popolare per far passare la “riforma”?
di Guido Montanari (genitore, Presidente del Consiglio dell’I. C. Manzoni di Torino)

Sono uno dei coordinatori nazionali delle iniziative del “Manifesto dei 500” e vorrei intervenire a proposito della proposta di un referendum abrogativo della legge 53/2003, “riforma” Moratti della scuola, avviato sul sito di Rete Scuole di Milano da Michele Corsi, insieme alla proposta di una raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare sulla scuola. Entrambi i temi sono ripresi nell’ordine del giorno della riunione nazionale dei coordinamenti di Venezia del prossimo 30.01.
Personalmente non credo che tali proposte possano portare un contributo a chi sta cercando una strada per l’unità, per il ritiro del decreto applicativo, per l’abrogazione della “riforma”, ma al contrario, sostengano chi ritiene che questa “riforma” non vada abrogata e che si debba piuttosto procedere a qualche modifica, pur di tenerla in piedi.
La legge 53/2003 non è emendabile perché architettata per minare alla fondamenta l’essenza stessa della scuola statale (fine dell’obbligo, dei programmi nazionali, della libertà di insegnamento, avvio della privatizzazione, dell’abbassamento culturale, ecc.). L’eliminazione delle schede di valutazione nazionali, la circolare sui nuovi modelli di iscrizione, il varo del decreto sulla scuola superiore (con la messa in causa del valore legale dei diplomi nazionali) e la ripresa del disegno di legge sull’università (con eliminazione della ricerca pubblica e la precarizzazione dell’intero sistema) sono soltanto alcuni segnali della forsennata volontà di questo governo di portare avanti la distruzione della scuola pubblica, secondo i piani coordinati da Prodi a livello europeo, nelle Commissioni governative di Bruxelles, nel summit di Lisbona e previsti dalla pretesa Costituzione Europea, che abolisce il concetto e l’essenza stessa di “servizio pubblico”.
Questa “riforma” ha trovato la strada aperta alla sua messa in campo nella “riforma” Berlinguer e in tutte le leggi sulla scuola del precedente governo di centro sinistra, in primo luogo quelle sull’autonomia, sulla dirigenza scolastica, ma anche sull’eliminazione delle supplenze, dell’esame di maturità, sulla parificazione tra scuola privata e pubblica, sulla frantumazione dell’università. Di fronte alla “riforma” Moratti i partiti del centro sinistra non hanno fatto nulla per informare il Paese sulle conseguenze della legge, i loro deputati erano assenti dall’aula quando la si è votata, non hanno mobilitato, non hanno premuto sui sindacati per uno sciopero generale fino la ritiro.
Se questa è la situazione perché proporre un referendum o una legge di iniziativa popolare da lasciare nelle mani degli stessi che hanno permesso alla “riforma” di essere messa in campo? Perché impiegare un’enormità di forze per ottenere (forse) tra anni, una parziale modifica?
Ma proviamo a seguire le argomentazioni di Corsi.
1. Nella campagna elettorale il referendum potrebbe essere un modo per condizionare la campagna elettorale delle regionali. Cioè si dovrebbe ricorrere ai partiti del centro sinistra e ai sindacati per organizzare la raccolta delle 6 – 700.000 firme necessarie alla celebrazione del referendum per poter obbligare quegli stessi partiti ad esprimersi finalmente in modo univoco a favore o contro la riforma! Perché dovrebbero impegnarsi in qualcosa che dovrebbe smascherarli? Francamente mi sembra una contraddizione in termini, ma se anche lo facessero, il referendum non apre la strada all’abrogazione. Come può spiegare qualsiasi costituzionalista un referendum abrogativo della legge in toto è impossibile: essendo una legge delega sull’insieme della scuola si creerebbe un vuoto legislativo inaccettabile. Si può dunque proporre una serie di quesiti referendari su alcune parti della legge, cosa che vorrebbe dire accettare la legge, magari con qualche modifica in grado di farla passare meglio: esattamente quello che vorrebbero fare D’Alema e Prodi che non hanno mai parlato di abrogazione.
2. All’obiezione che negli ultimi referendum non si è arrivati neppure al “quorum”, Corsi risponde dicendo che se vince il Centrosinistra (GAD) il referendum non si celebrerà perché il nuovo governo potrebbe “modificare” la legge nel senso voluto dai referendari: quindi siamo di nuovo al metterci nelle mani della GAD, il cui leader Prodi, ha dettato tutte le direttrici della riforma Moratti. Se al contrario dovesse vincere il centro destra, il referendum diventerà “LO strumento per farla finita con la legge”, cioè, uno strumento spuntato, basato sul fatto che i partiti del centro sinistra tra due anni, convincano la popolazione ad andare a votare e votare contro la riforma. Corsi non prende più in considerazione in questa seconda parte dell’argomentazione il problema del quorum e nemmeno quello dell’informazione e non dice che un referendum fallito vuol dire l’affossamento definitivo della richiesta di abrogazione e di tutte le speranze di uno sviluppo della scuola pubblica.
3. Dato che il movimento attraversa una fase di difficoltà è necessario “qualche cosa di diverso”… per “mettere insieme e rimotivare la gente. Cioè, visto che siamo in difficoltà, proponiamo qualche cosa che sia preso in mano da qualcuno, che la porti dove vuole. Per esempio verso una “riforma” della “riforma” che sarebbe proposta da quegli stessi che hanno applaudito da Bruxelles a questa legge e che oggi affermano che bisogna completare le direttive di Lisbona. Qualche cosa inoltre che “obbliga” a coordinarsi, tornare alla base, spiegare, presenziare”. Grazie per l’invito, ma chi come me è genitore o insegnante, nella scuola, nei Consigli, con i colleghi, c’è e ci resta senza aver bisogno di “obblighi”, semplicemente per difendere il diritto all’istruzione dei propri figli e la dignità del proprio lavoro.
Dunque per Corsi l’obiettivo del referendum abrogativo della legge Moratti non è quello di arrivare all’abrogazione della legge, ma soltanto, nella migliore e poco probabile delle ipotesi (firme raccolte, quorum raggiunto, maggioranza voti a favore dell’abrogazione) una parziale modifica della legge, o una “pressione” sui partiti della GAD. Alla fine dell’intervento Corsi dice: “sia che la proposta venisse raccolta (…) sia venisse respinta, le cose da fare per il movimento non mancherebbero comunque” e sarebbero, oltre alla resistenza scuola per scuola (che si rivela nei fatti sempre più difficile e improponibile) la discussione sulla “scuola che vorremmo” e poi una proposta di legge di iniziativa popolare, con altre firme da accompagnare a quelle del referendum.
Le 50.000 firme necessarie per una legge di iniziativa popolare sono un obiettivo più praticabile in autonomia dai partiti, peccato che anche una tale legge, per essere sostenuta in Parlamento, verrebbe consegnata nelle mani di coloro che dichiarano di voler andare avanti con le direttive europee di distruzione.
Insomma: che si proponga un referendum o una legge di iniziativa popolare, si vorrebbe portare il movimento verso la necessità di una “riforma” della “riforma” della scuola, cioè verso ciò che si trasformerà in qualche “miglioramento” in grado di far passare nel Paese quella distruzione che viene imposta dai piani di Bruxelles.
Chi propone “un’altra scuola possibile”, non dice che soltanto un governo che rompa con le direttive di Bruxelles, che abroghi la modifica del titolo V della Costituzione, che rigetti il principio di sussidiarietà, di privatizzazione dei servizi pubblici, potrebbe aprire la strada ad uno sviluppo reale della scuola pubblica. Purtroppo però di un tale governo non si vede all’orizzonte neppure l’ombra e dunque non credo che ci siano scorciatoie: o si resta fermi nella denuncia del baratro che si sta aprendo con la riforma e si cerca l’unità sull’abrogazione della legge, per il ritorno a tutte le norme precedenti (tempo pieno e moduli, formazione classi, programmi nazionali, diplomi, ecc.), oppure si cade nella trappola di “fare qualcosa, per non fare nulla”.
Personalmente ho firmato la lettera al Presidente della Repubblica che ha raccolto più di 10.000 firme da oltre 600 comuni e penso che si potrà usare la campagna in corso per costruire un incontro nazionale e una delegazione che porti al Presidente il Dossier-denuncia per informare sulle conseguenze della “riforma”, per smascherare il ruolo di istituzioni e partiti nel favorirne l’applicazione. L’iniziativa del “Manifesto dei 500”, non è in concorrenza con altre, ma vuole portare un contributo alla riflessione sulle responsabilità in campo, sulla separazione tra gli interessi di chi vuole distruggere la scuola pubblica e chi la vuole difenderla come uno degli assi stessi della democrazia e della civiltà. Per questo nell’assemblea nazionale non si discuterà di “un’altra scuola possibile”, ma delle conseguenze concrete di questa “riforma”, delle responsabilità di chi la applica e di chi ne copre l’applicazione, per aprire la strada all’unità per la sua abrogazione.
25.01.2005

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