Riforma Moratti atto II: dalle parole ai fatti


Vietato far “leggere ad alta voce”, peggio ancora se “tutti lo stesso testo, alla stessa riga, alla stessa parola”…Vietato anche “tenere il segno con il dito, per non perdersi”.


Riforma Moratti

 

atto II: dalle

 

parole ai fatti

 

10 conseguenze della “sperimentazione” della “riforma” Moratti
a cura di Lorenzo Varaldo

In pieno agosto, mentre gli insegnanti e i genitori erano in vacanza,il ministro Moratti ha pubblicato la bozza di decreto, i piani di studio e le raccomandazioni didattiche e organizzative che prevedono l’avvio di una sperimentazione della “riforma” a partire dall’anno scolastico 2002-2003.
Con questo atto il ministro intende scavalcare la discussione democratica, già fortemente rimessa in causa dal meccanismo della Legge Delega, e forzare la mano prima ancora che la legge venga approvata. Il motivo è evidente: la “riforma” sta incontrando ostacoli notevoli, non solo per l’opposizione degli insegnanti e dei genitori, ma anche per le prese di posizione di importanti membri della stessa maggioranza. Anticipando con questa sperimentazione l’applicazione della legge-non legge, il ministro intende mettere il Parlamento e il Paese di fronte al fatto compiuto. Ancora una volta, e in questo caso in modo palese e spudorato, le “sperimentazioni” non sono altro che una manipolazione per far passare ciò che tutti rifiutano.

La gravità del provvedimento che si annuncia, tuttavia, non risiede solo in questa forzatura: i documenti pubblicati dal ministro chiariscono in modo preciso quale modello di scuola si prepara e come sarà organizzata se la “riforma” dovesse essere attuata. Da essi si comprende tutto: orari, programmi, titolarità degli insegnanti, composizione-scomposizione delle classi, utilizzo degli edifici…
Il decreto prevede che “due circoli didattici per ogni provincia, nonché due scuole paritarie per ogni capoluogo di Regione” possano sperimentare la “riforma” Moratti, nelle scuole elementari e nella scuola d’infanzia. Tra queste scuole, un circolo didattico per ogni provincia e una scuola paritaria per ogni Regione potranno sperimentare l’anticipo della frequenza, limitatamente ai bambini che compiono tre e sei anni entro il febbraio 2003.
La bozza di decreto è accompagnata dalle “Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati” e dalle “raccomandazioni per l’attuazione delle Indicazioni Nazionali”, suddivisi in due elaborati, uno per la scuola elementare e uno per la scuola d’infanzia. Il tutto per un totale di circa 200 pagine.

Ancora una volta 200 pagine ! E per di più per annunciare, ad agosto, una sperimentazione che partirà a settembre: lo scopo principale è tenere il più possibile lontani insegnanti e genitori dalla comprensione di ciò che sta avvenendo, facendo loro credere che sia in gioco semplicemente l’opportunità di iscrivere i bambini qualche mese prima a scuola e che questo riguardi solo pochissimi istituti.
Non è questo, o meglio non è solo questo quello che è in gioco.
E’ necessario conoscere il contenuto di queste 200 pagine, le frasi, i grafici che descrivono l’organizzazione della scuola “riformata”, i programmi, le modalità…
Queste 200 pagine confermano completamente il quadro disastroso non solo della legge delega, ma più in particolare del documento Bertagna. Tutte le dichiarazioni di coloro che avevano sostenuto, da gennaio 2002 in poi, che il testo della commissione Bertagna era da considerarsi superato e archiviato si rivelano false: come il “Manifesto dei 500” ha sempre sostenuto, questo documento è la base su cui verrà applicata la legge, con tutte le conseguenze gravissime che ne conseguono.

Il seguente contributo ha lo scopo di fornire un primo quadro dei documenti ministeriali di agosto sulla sperimentazione e sulle conseguenze dell’applicazione della “riforma”, in modo che la discussione su come proseguire la mobilitazione possa essere più approfondita possibile (l’analisi è limitata alla scuola elementare, sia per questioni di tempo, sia di competenza)

Prima conseguenza: il caos all’inizio dell’anno scolastico

Il primo elemento che emerge è la ferma volontà di creare il caos nelle scuole.
Se consideriamo che il decreto deve essere approvato dal CNPI (Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione) prima di poter essere varato e che lo stesso CNPI darà il suo parere solo a inizio settembre, ci rendiamo subito conto che la sperimentazione potrà partire solo a scuole iniziate….
A quel punto, però, bisognerà ancora decidere quali scuole parteciperanno alla sperimentazione….Una volta deciso, si dovranno riaprire le iscrizioni per i bambini di cinque anni e mezzo….
Conclusione: le classi che faranno questa sperimentazione potranno trovarsi a dover accogliere alunni più piccoli a scuola iniziata da un mese.
E’ evidente non solo il caos che questo creerà, ma anche l’assoluta mancanza di ogni serietà da parte di chi vorrebbe “sperimentare”.

Seconda conseguenza: distruzione della professione insegnante e dell’unità della categoria, apertura del mercato della scuola. Un insegnante “coordina” i suoi colleghi…

Il progetto di sperimentazione conferma la creazione di un insegnante prevalente: “Il docente prevalente cura la continuità didattica e il rapporto con le famiglie e assicura, altresì, la coerenza e la gradualità dei percorsi formativi per ogni alunno (…) Il docente prevalente sv olge, pertanto, funzioni di coordinatore del team docente e di tutor nei confronti degli alunni, curando la compilazione del portfolio delle competenze, in collaborazione con le famiglie”.
Gli altri docenti che interverranno nella classe saranno dunque insegnanti di serie “B”, “coordinati” dal tutor, che non potranno compilare il “portfolio” (tornerò successivamente su questo punto fondamentale), che non terranno i rapporti con le famiglie e che svolgeranno “attività laboratoriali” (attività espressive, musica, ed. motoria, recupero) e in generale tutto quello che non farà il coordinatore.
Si tratta di una vera e propria gerarchia all’interno della classe e della scuola, con un insegnante che coordina gli altri e che ha a disposizione persino delle ore per fare ciò.
Agli insegnanti di serie B verranno affidati i Laboratori: “Attività informatiche, attività di lingue (tra cui Inglese), attività espressive, attività di progettazione, attività motorie e sportive, LARSA (Laboratorio di Recupero e Sviluppo degli Apprendimenti)”. Fiera del bellissimo nome trovato (LARSA….), la Moratti ci spiega: “I laboratori vengono affidati, in piena autonomia organizzativa da parte della Istituzione scolastica, ad uno o a più docenti che per competenza professionale e didattica, e disponibilità personale, organizzeranno percorsi opzionali in grado di rispondere alle differenti situazioni di apprendimento degli allievi. I laboratori possono essere predisposti all’interno dell’Istituto e/o tra più istituti in rete, servendosi dell’organico di Istituto e di Rete a disposizione (…) Si pensi ad esempio alla possibilità che insegnanti elementari particolarmente competenti possano operare con gruppi di alunni dell’intera scuola di appartenenza o di scuole in rete”.

Traduciamo: gli insegnanti di serie B potranno lavorare in una o più scuole. Se sceglieranno volontariamente di fare questo lavoro (laboratori), bene. Altrimenti si dovranno definire i criteri, all’interno delle scuole, per scegliere chi sarà di serie A e chi di serie B. E’ evidente, per esempio, che un insegnante con il titolo di inglese avrà “particolari competenze professionali e didattiche” e quindi difficilmente potrà essere insegnante prevalente….Lo stesso vale per chi avesse qualche conoscenza di musica…., o di ed. all’immagine….

Terza conseguenza: distruzione del Tempo Pieno e dei Moduli

Dall’istituzione di questo insegnante “coordinatore” discende la distruzione del TP e dei Moduli.
Dal prospetto degli orari si comprende molto bene la situazione.

a) Organizzazione del tempo normale (attuali moduli)
Nel tempo chiamato “normale” si prevedono 27 ore settimanali in prima e 30 nelle altre classi.
L’insegnante tutor avrà 21 ore su 27, più 3 ore per coordinare gli altri. Agli altri le briciole: 3 ore per un insegnante di serie B e 2 ore di laboratorio per un altro insegnante di serie B, 1 ora a L2 (Inglese), 2 ore a Religione,. In seconda e terza si passerebbe a 18 ore per l’insegnante tutor, 8 per un insegnante di serie B e 3 di laboratorio per l’altro di serie B, 2 per L2, 2 per Religione.
In quarta e quinta l’insegnante prevalente avrebbe 10 ore, e salirebbero a 10 anche le ore del primo insegnante di serie B….

Da notare che gli insegnanti di serie B lavorerebbero su più classi (a loro volta mescolate tra loro, come vedremo tra breve). Ma anche gli insegnanti tutor, a partire dalla seconda, avrebbero da completare l’orario con alcune ore (3 o 5) in altre classi.

Seconda annotazione: la tanto declamata L2 (la prima delle tre “I”, Inglese) avrebbe meno ore di oggi! Ci sarebbero, infatti, 2 ore settimanali dalla seconda alla quinta e un’ora sola in prima, contro le 3 ore settimanali di oggi dalla terza alla quinta: il totale è identico, ma la situazione odierna è migliore in molti casi, poiché in più ci sono le ore delle classi prime e seconde nelle scuole in cui la L2 è stata estesa !
Terza annotazione: dal prospetto degli orari si comprende molto bene che gli insegnanti di serie A lavorerebbero al mattino, mentre le eventuali ore pomeridiane spetterebbero per lo più a quelli di serie B.
Infine, ciliegina sulla torta: le attività gestite dagli insegnanti di serie B non saranno obbligatorie per tutti e specialmente potranno essere svolte in altri edifici e con lo smembramento delle classi. Chi deciderà quali materie dovrà frequentare un determinato alunno e come farle? Naturalmente il tutor, cioè l’insegnante di serie A, dopo aver sentito gli altri docenti e la famiglia: “Dopo che ogni istituzione scolastica ha organizzato, al proprio interno o in rete, Laboratori ordinati e coordinati, (…) ciascun docente coordinatore indica, in accordo con gli altri docenti e la famiglia, quali laboratori possano essere utili per il pieno sviluppo delle capacità di ciascun allievo; può quindi accadere che un fanciullo frequenti tutti i differenti laboratori, mentre un altro ne frequenti solo alcuni tipi, perché, ad esempio, ha bisogno di perseguire un maggior sviluppo motorio e di esercitare abilità di manualità fine, mentre per altre conoscenze e abilità sono sufficienti il percorso di classe e le competenze maturate in contesti extrascolastici”.

Il ministro viene colto definitivamente con le “mani nella marmellata”: “Per altre conoscenze e abilità sono sufficienti il percorso di classe e le competenze maturate in contesti extrascolastici”. Ciò significa che chi potrà acquisire delle competenze al di fuori della scuola potrà non fare alcune materie: il progetto Bertagna è completamente confermato; il mercato della scuola è aperto!
Proseguiamo: “La caratteristica principale del Laboratorio dal punto di vista didattico, è la sua realizzazione con gruppi di alunni della stessa classe o di classi parallele, riuniti per livello di capacità o apprendimento, o per eseguire un preciso compito, o per assecondare interessi e attitudini comuni
Tanti auguri agli insegnanti di serie B !

b) E il Tempo Pieno?

Se è vero che si prevede la possibilità di effettuare un orario di 40 ore, comprensivo della mensa, è altrettanto evidente che il Tempo Pieno sarebbe distrutto, ridotto cioè a mera assistenza ai pasti.
Anche in questo modello di scuola avremmo infatti l’insegnante prevalente di serie A e quelli di serie B che gli ruoterebbero intorno, completerebbero l’orario, coprirebbero i pomeriggi…..
Lo schema parla chiaro: in prima, l’insegnante di serie A avrebbe 17 ore di insegnamento, 4 di mensa-ricreazione e 3 ore per coordinare gli altri…
Da notare che le 4 ore di mensa significherebbero due pasti alla settimana, poiché la mensa comprende 1/2 di pasto e un’ora e 1/2 di ricreazione. Ma dal prospetto orario si comprende che l’insegnante di serie A farebbe un solo pomeriggio intero, poiché nel secondo si limiterebbe a lavorare in mensa per poi andare a casa alle 14.30… L’insegnante di serie B farebbe invece 10 ore di insegnamento e 6 di mensa (3 giorni di mensa alla settimana), più 6 ore di insegnamento sui laboratori. Egli lavorerebbe 3 pomeriggi interi, un pomeriggio a metà e avrebbe solo 2 ore al mattino con la classe.

In seconda e in terza, l’insegnante di serie B perderebbe ancora delle ore a favore di un secondo insegnante di serie B (o di serie C, fate voi), mentre in quarta e quinta gli insegnanti di categoria inferiore diventerebbero persino 3.
Risultato: caos totale, distruzione delle classi, distruzione delle titolarità.
Cioè distruzione del Tempo Pieno.

Tutta questa organizzazione dimostra la volontà ferma, costante, puntigliosa di distruggere la scuola elementare.
Infatti, la conferma della durata della scuola elementare (5 anni, come oggi) non richiederebbe alcun cambiamento strutturale, tanto più per una scuola che tutti dichiarano funzionante e per modelli di orario e di organizzazione estremamente validi (Tempo Pieno). Anche Berlinguer voleva cambiare tutto e aboliva il TP, ma “giustificava” l’operazione con la soppressione di un anno e l’accorpamento tra elementari e medie. Ora il re è nudo: quali motivazioni ci sarebbero dietro il caos che si vuole creare? Perché non mantenere l’organizzazione attuale?

La risposta è semplice: si vuole cominciare a distruggere e disgregare la funzione docente, in modo da poterla a poco a poco sostituire con personale esterno, privato, temporaneo, cooperative, corsi privati che i ragazzi potrebbero frequentare fuori dalla scuola ecc.
Il testo del ministro stabilisce già, come abbiamo visto, che alcune materie possano essere fatte fuori dalla scuola, privatamente per chi può permetterselo Si prevede anche che altre, riservate agli insegnanti di serie B, possano essere svolte da insegnanti delle medie….

Quarta conseguenza: fine dei programmi nazionali e avvento del PSP (!) Ovvero: la Programmazione annuale viene moltiplicata per il numero degli alunni.

Nel 1999, l’ex ministro della Pubblica Istruzione, Berlinguer, scriveva: “La riforma porterà in breve tempo alla scomparsa dei programmi didattici ministeriali, validi per tutto il territorio nazionale” (“Il libro verde della pubblica istruzione”, Franco Angeli Editore).
Il processo, avviato dal governo precedente, viene ora portato a compimento dalla destra con questa sperimentazione. Ai programmi si sostituirebbero i PSP, cioè i Piani di Studio Personalizzati.
In pratica, ogni bambino dovrà avere un suo programma personale e ogni insegnante tutor dovrà predisporre con gli altri insegnanti questo programma: “Una delle note più caratteristiche della riforma del sistema di istruzione e formazione si concentra nella teoria e nella pratica dei Piani di Studio Personalizzati (…) dove la parola chiave è appunto ‘personalizzati’, sia nella progettazione, sia nello svolgimento, sia nella verifica (Portfolio delle competenze)”.

Si tratta della distruzione del principio di uguaglianza dei diritti di ogni bambino e quindi della negazione del dovere dello Stato di assicurare a tutti le stesse opportunità, la stessa formazione.
Quello della distruzione dei programmi nazionali è un progetto che va avanti da molti anni e che trova compimento nella sperimentazione della Moratti.
Le giustificazioni “teoriche” sono semplicemente ridicole, ma vanno analizzate a fondo perché nascondono un’ideologia reazionaria e distruttiva dei fondamenti della scuola pubblica e delle radici storiche di essa.
Esse muovono prima di tutto dalla ridicolizzazione dei programmi nazionali: “I Programmi designano contenuti di insegnamento dettati centralisticamente, da parte del Ministero, e da svolgere in maniera uniforme in ogni classe del Paese”. Nulla di più falso: i programmi vengono attuati secondo la libertà di insegnamento, cioè la libertà di metodo di ogni insegnante che, all’interno del territorio culturale delineato, può scegliere come muoversi per far raggiungere a tutti i ragazzi gli stessi obiettivi e perché essi instaurino un rapporto personale con la disciplina e con la cultura. Il fatto che gli obiettivi siano invece fissati centralmente è giusto, poiché questo significa che lo Stato si impegna a mettere la scuola, gli insegnanti e le famiglie nella condizione di far raggiungere a tutti lo stesso, elevato, livello di preparazione. indipendentemente dalle condizioni sociali, culturali, economiche ecc. di provenienza di ogni alunno. Quindi lo Stato, con i programmi nazionali, dovrebbe impegnarsi a istituire classi poco affollate, orari decenti, insegnanti di sostegno, nomine dei supplenti, nomine in ruolo, materiali, libri, corsi d’aggiornamento, libri gratuiti per le famiglie, mense a basso costo…
Da anni lo Stato non fa il proprio dovere (taglia fondi, supplenti, cattedre, aumenta gli alunni nelle classi, le mense….) e, non volendolo più fare in modo definitivo, arriva ad eliminare i programmi.

Per fare questo si copre di ridicolo nel tentativo di denigrare i programmi nazionali: “Tutti i docenti e le scuole a discendere devono adeguarsi alle loro indicazioni (dei Programmi Nazionali). I ragazzi e la famiglie devono addirittura subire un adeguamento alla seconda potenza: si devono adattare all’insegnamento dei docenti che a loro volta si sono dovuti adattare alle richieste di insegnamento dettate dalle disposizioni ministeriali”.
Qualunque genitore desidera che il proprio figlio non abbia un programma differenziato, non raggiunga obiettivi inferiori agli altri, non abbia un diploma con valore diverso. Qualunque genitore sa che questo è possibile se esistono dei programmi nazionali all’interno dei quali gli insegnanti si muovono per guidare i ragazzi nel loro rapporto con il sapere. Nessuno vorrebbe iscrivere suo figlio ad una scuola dove si insegna a leggere e scrivere in seconda. Nessuno vorrebbe che al proprio figlio venisse dato un programma “personale” che preveda di imparare le moltiplicazioni in quarta elementare. Nessuno vorrebbe che il proprio figlio imparasse la metà, o un terzo, o anche un decimo in meno degli altri. Nessuno vorrebbe che la propria scuola avesse un programma inferiore a quella di un’altra regione o provincia, o quartiere.
Naturalmente tutti sanno anche che ci sono dei ragazzi in difficoltà, che hanno bisogno di più aiuto e sostegno, che necessitano di essere seguiti più da vicino. Per loro, lo Stato dovrebbe mettere gli insegnanti e le scuole nella condizione di superare queste difficoltà, o almeno dovrebbe fare di tutto per provarci.
Si tratta di osservazioni ovvie che non dovrebbero nemmeno essere discusse. Si tratta del semplice buon senso, “buon senso” che sembra fuori moda da molti anni…
Questo “buon senso” è la base delle conquiste della scuola pubblica.

Ma le teorie dei vari governi, costruite per convincere insegnanti e genitori della bontà delle riforme, mentre il vero obiettivo è quello di disimpegnare lo Stato e demolire le aspettative dei ragazzi e delle famiglie, hanno fatto in modo che i princìpi più ovvi e democratici debbano essere spiegati nuovamente e analizzati per poter essere difesi.
E’ così che ci troviamo a difendere i Programmi Nazionali da teorizzazioni di bassissimo livello che sono riuscite a confondere le acque.

Per esempio: che ogni ragazzo apprenda in modo diverso e raggiunga risultati diversi è del tutto normale, poiché le persone sono diverse e ognuna risponde in modo libero e differente. Ma che lo Stato teorizzi questa differenziazione, questa discriminazione, significa semplicemente che lo Stato rinuncia alla sua funzione di garante della crescita culturale di ognuno.
“Sul piano professionale, dunque, i programmi nazionali richiedono ai docenti un atteggiamento impiegatizio dell’applicazione e dell’esecuzione”. Assolutamente falso: è proprio il Ministero, con i suoi POF, Carta dei Servizi, PSP e tutte le altre trovate che cerca di immettere un atteggiamento impiegatizio.
Al contrario, i programmi nazionali lasciano piena libertà e stimolano la ricerca pedagogica (come insegnare per raggiungere gli obiettivi), il confronto tra gli insegnanti, la selezione dei contenuti (per esempio, un argomento di storia come la Rivoluzione Francese può essere affrontato da diversi punti di vista, evidenziando diverse relazioni, scegliendo episodi diversi…), l’utilizzo dei materiali….Il problema è che i vari governi che si sono succeduti hanno continuamente tolto del tempo agli insegnanti per fare questo, imponendo loro tutta una serie di obblighi burocratici e di compiti estranei alla loro professione. Dove è finito il tempo per parlare degli alunni, per confrontarsi sui metodi, per approfondire la conoscenza delle materie e scegliere i contenuti? Le riunioni sono sempre più sature di questioni contabili, POF, nomine di figure che coordinano, decisioni burocratiche….E con il PSP andrà ancora peggio.

“Le istruzioni dei programmi, perciò, prevalgono sulle esigenze dei singoli allievi. Questi sono chiamati ad adeguarsi a quelle, non viceversa”.
Vediamo allora il “viceversa”: i programmi vengono sostituiti dai curricoli per “corrispondere in maniera più pertinente alle differenze territoriali, sociali e culturali di provenienza degli allievi”.
Eccoci al punto: i ragazzi hanno delle differenze territoriali, culturali e sociali e la scuola deve “adattarsi”, prevedendo curricoli personali che non mirino a recuperare queste differenze, ma che le accettino e su di esse costruiscano un programma adatto. E’ così che un bambino con difficoltà linguistiche potrà imparare a leggere e scrivere solo in seconda, o in terza, o anche in quarta. Un altro, con difficoltà di matematica, non seguirà più il programma nazionale che prevede di saper calcolare, per esempio, il perimetro e l’area: la famiglia potrà stare tranquilla, non dovrà “subire un adeguamento alla seconda potenza”. Semplicemente, per quell’alunno verrà fatto un programma inferiore….I genitori saranno contenti di non “subire un adeguamento alla seconda potenza”: al propri figlio sarà risparmiata l’ “ingiustizia” di raggiungere gli obiettivi necessari per avere una cultura e una preparazione dello stesso livello dei più dotati..

Quinta conseguenza: le famiglie costruiscono i programmi

Se poi pensate che questi curricoli individualizzati siano definiti dai soli docenti (o meglio, dai docenti di serie A) vi sbagliate di grosso: saranno i ragazzi e le famiglie a sceglierli.
“I docenti, le scuole, se coerenti con la logica della Programmazione Curricolare, non possono non coinvolgere, in questa operazione, i genitori, i ragazzi ed il territorio. (…) Resta la responsabilità della scuola e dei docenti che devono offrire percorsi formativi, ma risulta ancora più netto di prima il principio della personale responsabilità educativa dei ragazzi, dei genitori e del territorio, nello sceglierli e nel percorrerli ed acquisirli.”

Falsa e demagogica “democrazia”: sarà interessante notare che, a fronte di questa grande “libertà” offerta a docenti e famiglie, la “riforma” della Moratti prescrive poi metodi, ideologie, divieti, costrizioni per gli insegnanti, violando apertamente la libertà d’insegnamento degli insegnanti e la libertà educativa delle famiglie. La confusione tra questi due piani (quello del ruolo della scuola e quello del ruolo della famiglia) non può che portare a ciò. Tornerò su questo aspetto nel paragrafo sulle indicazioni didattiche.

Riassumiamo: ogni bambino avrà il suo programma personale (PSP), compilato dal tutor dopo approvazione della famiglia (!). Oltre a questo lavoro, ogni insegnante di serie A dovrà poi compilare e aggiornare il “Portfolio delle competenze”. Vediamo quindi di cosa si tratta.

Sesta conseguenza: fine dei titoli di studio uguali per tutti

“Il Portfolio delle competenze individuali comprende una sezione dedicata alla valutazione e un’altra riservata all’orientamento. La prima è redatta sulla base degli indirizzi generali circa la valutazione degli alunni e il riconoscimento dei crediti e debiti formativi (…) Il Portfolio, con precise annotazioni sia dei docenti sia dei genitori, sia, se del caso, dei fanciulli, raccoglie: – materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo, capaci di descrivere le più spiccate competenze del soggetto; – prove scolastiche significative relative alla padronanza degli elementi specifici di apprendimento e contestualizzazione alle circostanze; – osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento del fanciullo, con la rilevazione delle sue caratteristiche originali nelle diverse esperienze formative affrontate; commenti su lavori personali ed elaborati significativi, sia scelti dall’allievo (è importante questo coinvolgimento diretto) sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali; – indicazioni che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con lo studente e anche da questionari e test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti”.

Precisiamo : non si tratta di una barzelletta.
Questa sorta di schedatura continua del bambino, fatta da insegnanti e famiglia (ma “è importante il coinvolgimento diretto” dei bambini: aiuteranno l’insegnante a compilare il Portfolio, eventualmente correggendolo?) ha lo scopo di spezzettare e frantumare le classi, l’insegnamento, l’apprendimento.
L’obiettivo di fondo è quello di creare una scuola in cui ognuno prende ciò di cui ha bisogno se non può procurarselo altrove, ma specialmente nella quale il raggiungimento degli obiettivi non è certificato con un titolo, un esame, un diploma, uguale per tutti, ma con una certificazione individuale.
L’abolizione dei diplomi validi su tutto il territorio nazionale e del loro valore legale, i crediti e i debiti formativi, l’individualizzazione delle certificazioni erano già presenti nella “riforma” Berlinguer-De Mauro.
Che cosa produce questo processo?

I diplomi, i titoli, danno accesso a dei concorsi, a dei contratti, a delle tutele sul lavoro.
Al contrario, se l’individuo si presenta ad un colloquio di lavoro con un Portfolio delle competenze, dovrà “vendersi” individualmente, con un contratto personale, e sarà quindi più ricattabile e meno protetto.
L’esistenza dei contratti nazionali è rimessa in causa dalle fondamenta, e per farlo è necessario attaccare i programmi nazionali fin dalle scuole elementari, personalizzando il percorso e creando il Portfolio della competenze.

L’abolizione dell’esame di quinta, sul quale qualcuno aveva espresso un giudizio neutro o persino favorevole, va proprio in questa direzione: significa che lo Stato rinuncia fin dall’inizio ad ogni valutazione collettiva e abdica completamente dal proprio ruolo, abbandonando i singoli al loro Portfolio e condannandoli alle loro “differenze”.

Detto per inciso: quante centinaia di ore dovranno dedicare gli insegnanti alla compilazione-aggiornamento di questo Portfolio? Resterà ancora dell’energia per insegnare e coltivare un reale rapporto con i ragazzi?

Ultima riflessione: la parola “Portfolio” rimanda a qualcosa di monetario, di commerciale, di negoziabile. Rimanda, cioè, al mercato, e non è un caso: il bambino e poi il ragazzo dovranno vendersi sul mercato al minor prezzo possibile, poiché ci sarà sempre qualcun altro disponibile a coprire un determinato posto di lavoro per un salario inferiore. Oggi, questo processo ha un freno proprio per l’esistenza dei diplomi e dei contratti nazionali. Essi si fondano sui programmi nazionali: si può ben comprendere il progetto complessivo di distruzione di tutti questi elementi costitutivi delle conquiste di civiltà e di democrazia.

Settima conseguenza: un abbassamento culturale senza precedenti. Ovvero: quello che resta dei programmi

Il progetto della Moratti dice che, all’interno dei PSP e del Portfolio, “Restano, come nella stagione della Programmazione Curricolare, i vincoli nazionali che tutti devono rispettare e che lo Stato ha il dovere costituzionale di indicare, anche dando spazio ad intese per una quota regionale della loro determinazione”.

Sorvoliamo in questa sede sulla quota regionale (stiamo tutti assistendo ai danni che questa “novità” introdotta dall’Autonomia sta producendo) e veniamo al punto: se questi “vincoli nazionali”, chiamati “Indicazioni Nazionali per i PSP”, dovessero riproporre i contenuti degli attuali programmi della scuola elementare, ci troveremmo semplicemente di fronte al gioco delle tre carte: i programmi nazionali rientrerebbero dalla finestra come vincoli “che tutti devono rispettare e che lo Stato ha il dovere costituzionale di indicare”.
Ma se, al contrario, questi “vincoli” decretassero obiettivi e programmi inferiori a quelli di oggi, ci troveremmo di fronte ad un intollerabile abbassamento della preparazione fornita dalla scuola elementare.
Bisogna quindi analizzare il contenuto di queste Indicazioni Nazionali, ma prima di farlo è necessaria una precisazione. La Moratti dice: “…che lo Stato ha il dovere costituzionale di indicare”. In realtà, lo Stato non ha solo il dovere di “indicare”, ma anche quello di mettere tutte le scuole e gli insegnanti nella condizione di perseguire quegli obiettivi e quei vincoli…
Non è una sottigliezza: con questa omissione la “riforma” sancisce ancora una volta il disimpegno dello Stato. E’ come se il ministro dicesse: noi indichiamo quello che si dovrebbe fare, poi vedete voi….

E allora analizziamo “quello che si dovrebbe fare” per alcune materie.

a) Quello che manca….

La Storia vera e propria si comincerebbe in quarta e arriverebbe solo fino all’anno Mille. I ragazzi andrebbero alle medie senza aver nemmeno sentito parlare di Rinascimento, Rivoluzione Industriale, Rivoluzione Francese, Unità d’Italia, Guerre Mondiali, Fascismo, Resistenza….

Anche in questo caso ci troviamo di fronte a qualcosa di già visto: i programmi della “riforma” Berlinguer-De Mauro prevedevano persino che lo studio cronologico della storia iniziasse in quinta e che i ragazzi andassero alle superiori senza nemmeno aver fatto una volta l’ ‘800 e il ‘900….

Si è a lungo discusso sull’opportunità di non “ripetere” tre volte la storia (elementari, medie, superiori). Questo ritornello è stato ripetuto in modo vuoto partendo da una domanda assurda, vuota e inconsistente (“Perché studiare tre volte la stessa cosa?”) che potrebbe essere rovesciata senza problemi all’interno di un dibattito serio sulla questione (a partire dal fatto che solo una persona completamente esterna alla scuola può pensare che “si facciano le stesse cose”…).
In questa sede, tuttavia, penso che il problema vada affrontato da un altro punto di vista, evitando le battaglie di principio sull’opportunità o meno di ripetere due o tre volte la storia (e lo stesso vale per la geografia e per altre materie).
In assoluto, infatti, è sbagliato definire a priori se la Storia vada studiata due, tre o più volte. Dipende da molti elementi che fanno riferimento al sistema, alla psicologia, agli obiettivi…
E’ necessario però partire da un dato, e cioè che l’impostazione dei programmi in vigore prende spunto dalle teorie sullo sviluppo cognitivo del bambino di Piaget e Vygotskij, dalle loro tappe evolutive.
L’insegnamento della storia (e della geografia, delle scienze ecc.) viene ripetuto perché il bambino impara, nei diversi stadi, secondo modalità differenti, ed è indispensabile passare attraverso le diverse tappe e modalità di apprendimento per poter passare agli stadi successivi. E’ quindi importante che il ciclo della storia (e della geografia, delle scienze…) si compia interamente all’interno dello stadio evolutivo in cui si trova il bambino. E’ evidente che quell’apprendimento sarà limitato dalle capacità di astrazione e di concettualizzazione dell’età, ma è proprio affrontando l’apprendimento al livello adatto che si creano le premesse per gli apprendimenti e gli approfondimenti successivi.
Secondo questa visione, la storia (geografia, scienze) va ripetuta più volte anche se con modalità diverse e approfondimenti diversi perché, altrimenti, il bambino impara degli argomenti in modo parziale e “amputato”: se un argomento viene affrontato solo alle medie, il bambino non avrà il retroterra dello stadio operatorio concreto acquisito; viceversa, se l’argomento viene affrontato solo alle elementari, il bambino non potrà apprendere quell’argomento secondo la visione più “adulta” dello stadio successivo, quello dell’astrazione.

La Moratti (che, come abbiamo visto, Berlinguer-De Mauro avevano anticipato) decide invece proprio questa rottura: il ciclo storico viene amputato, come quello di geografia.
Il problema che si pone è il seguente: a quali teorie psicologiche fanno riferimento questi nuovi programmi? Chi ne ha discusso? Piaget e Vygotskij non sono più validi? Avevamo capito male? Ci sono delle nuove tappe evolutive?

Esiste poi un altro problema, molto pratico. Per comprenderlo è necessario contestualizzare il provvedimento all’interno della “riforma”.
Essa prevede che un gran numero di ragazzi, una volta finita la terza media, abbandonino la scuola per frequentare corsi professionali regionali (per cuoco, barman, tornitore, elettricista, parrucchiere….) senza più alcun contenuto culturale storico, geografico, letterario, matematico ecc. Moltissimi di questi ragazzi, poi, non frequenterebbero nemmeno queste scuole professionali regionali, ma andrebbero direttamente al lavoro attraverso l’apprendistato, che potrebbe sostituire la frequenza scolastica.
Ebbene, questo enorme numero di ragazzi uscirebbe dal sistema scolastico avendo affrontato una sola volta, e per di più in quarta o quinta elementare, argomenti fondamentali per comprendere il nostro mondo come la storia greca o romana, il feudalesimo, le altre civiltà antiche. Questi ragazzi uscirebbero dalla scuola avendo affrontato una sola volta tutti i temi della storia moderna e senza aver mai potuto riprenderli, approfondirli, consolidare le conoscenze su di essi.
In poco tempo queste conoscenze sarebbero destinate, per gran parte, a perdersi.
Non è il disprezzo per la cultura che porta il ministro a progettare tutto ciò: è la consapevolezza dell’importanza della cultura nell’emancipazione dell’uomo, nella costruzione di una personalità indipendente, della sua capacità di difendersi, comprendere, analizzare.
E’ proprio per evitare che i ragazzi crescano con queste capacità di autonomia intellettuale, con una mente libera e un libero rapporto con la conoscenza, con il mondo, con il potere ecc., che si impone il taglio di queste parti fondamentali di programma.
E’ significativo, e lo vedremo tra breve, che mentre si tagliano queste materie, se ne istituiscano altre fumose, reazionarie, che pretendono di entrare nella sfera personale della persona e della famiglia, per inculcare ideologia e far accettare la società così com’è.

E’ in questa direzione distruttiva che si situano gli altri tagli.
La Geografia comprenderebbe solo lo studio delle Regioni Italiane: nulla sull’Europa (mentre tutti i giorni veniamo bombardati dal messaggio “siamo in Europa” !), nulla sugli altri continenti.

In Matematica, perimetri, aree e volumi verrebbero affrontati solo per la comprensione del concetto, mentre il calcolo della loro misura verrebbe affrontato solo “in casi semplici” e senza alcun riferimento a formule, regole, generalizzazioni.
Tutta la parte sui problemi viene liquidata con la seguente frase: “Partendo dall’analisi del testo di un problema, individuare le informazioni necessarie per raggiungere un obiettivo, organizzare un percorso di soluzione e realizzarlo”. Il testo di “un” problema? Di che tipo? Con quali difficoltà? Con quanti passaggi richiesti?
E’ evidente che un tale “programma” si presta al fatto che in quinta si arrivi a risolvere problemi semplicissimi e banali, pur di vedere il “successo” del bambino previsto dal suo PSP…
Misura: eliminate le equivalenze, resta un generico “misurare esprimendo i risultati in opportune unità, utilizzando multipli e sottomultipli e rappresentando i dati misurati in opportune modalità”.
Chi definisce quali sono le “opportune” unità? Un ragazzo con difficoltà potrà accontentarsi di misurare con unità non convenzionali? Potrà accontentarsi di conoscere a grandi linee i multipli e i sottomultipli delle unità convenzionali?

Con i programmi di Italiano abbiamo l’esemplificazione delle contraddizioni della Moratti. Da un lato si procede ad un lungo elenco di obiettivi particolari che corrispondono alle normali programmazioni di ogni insegnante e che violano la libertà d’insegnamento: i docenti sono obbligati a seguire questo percorso in cui non esistono obietivi generali, ma solo indicazioni ultra particolari. Che fine hanno fatto le denunce sui “programmi dettati centralisticamente, da svolgersi in maniera uniforme in tutto il Paese”, se poi si arriva a definire nei minimi particolari la programmazione di ogni insegnante?
Ma, d’altra parte, in questa ossessiva programmazione l’analisi grammaticale e quella logica vengono ridimensionate e sostituite da cenni generici: alla fine della quinta è sufficiente “usare e distinguere i modi e i tempi verbali”, e “riconoscere gli elementi fondamentali della frase minima”.
L’analisi grammaticale del nome, dell’articolo, dell’aggettivo, dei pronomi, degli avverbi è liquidata. L’analisi logica ridotta agli “elementi fondamentali della frase minima” e al riconoscere la “funzione del soggetto e del predicato”
Certo, si tratta di un lavoro impegnativo per insegnanti e ragazzi, ma è proprio con l’esercizio e l’affinamento dell’analisi grammaticale e logica che si forniscono agli alunni gli strumenti di padronanza del linguaggio, e quindi di sviluppo del pensiero, della capacità di analisi (“analisi” grammaticale, “analisi” logica), di espressione ecc.

b) …..e quello che c’è in più.

Se per caso qualche insegnante si fosse felicitato per questo “alleggerimento” dei programmi, pensando di ridurre il proprio lavoro, non si preoccupi: per ogni taglio di materia o parte di essa, per ogni amputazione culturale della scuola, il nostro ministro ha pensato di compensare con l’istituzione di nuove “materie”, nuovi obiettivi, nuovi contenuti, nuova burocrazia, programmazioni, voci sul registro, verifiche….

E’ così che all’interno della materia “Tecnologia” troviamo: “Il ciclo produttivo e il sistema di distribuzione commerciale (produzione, commercio, consumo); (…) Significato, ruolo e funzione della pubblicità (era da immaginare: con l’uso che ne fa il nostro Presidente del Consiglio !); Funzione ruolo e utilità della moneta nazionale e comunitaria, dei titoli di pagamento diversi dalla moneta (bancomat, carte di credito, assegni, cambiali); Sistemi di approvvigionamento e smaltimento idrico: acquedotti, centrali di potabilizzazione, reti idriche (urbane, domestiche), reti fognarie (urbane, domestiche). Impianti e strumenti utili per ridurre l’inquinamento dell’aria e dell’acqua (filtri, marmitte catalitiche, impianti di depurazione dell’acqua)”

“Reti fognarie”? “Acquedotti”? “Smaltimento idrico”? Moratti, Berlusconi: siamo alle elementari, non alla facoltà di ingegneria!
E, specialmente: dobbiamo dare una formazione culturale di base generale, fondata sulle materie, non su un indottrinamento ideologico (pubblicità, funzione della moneta unica), né sul manuale del perfetto cittadino (uso del bancomat, uso delle fogne…)
A proposito della funzione dell’uso della moneta comunitaria: si potrà spiegare anche il motivo per cui, a causa dell’Euro, i prezzi sono schizzati alle stelle con un inflazione superiore al 10%, che il governo nega? Gli insegnanti saranno liberi di spiegare il perché di questo fenomeno e la vera “funzione” dell’Euro?

Se non ci fosse da piangere…..: “Riconoscere ed analizzare gli elementi distintivi e fondamentali delle confezioni e dei messaggi pubblicitari, distinguendo quelli necessari da quelli superflui”.

Procediamo. Tra le materie nuove c’è “Educazione alla cittadinanza”.
A parte l’obbligo di stendere un “Regolamento di classe”, troviamo: “Analisi, partendo da situazioni prossime, dei concetti di pace, sviluppo umano, cooperazione, sussidiarietà e dei concetti contrari”.
La scuola dovrebbe quindi fare propaganda al concetto di sussidiarietà che sta alla base della distruzione della scuola pubblica stessa?
Cosa si intende per concetto di pace? Si sa che Berlusconi ha fatto la guerra in Afghanistan per portare la pace, insieme ai suoi amici americani… E lo stesso ha fatto D’Alema per portare la pace in Jugoslavia…
A monte, c’è un problema: la scuola elementare è la scuola in cui si formano i “concetti”: Come si fa ad “analizzare” i concetti, se prima non si sono formati? La confusione teorica dei nostri “esperti” è enorme…

Poi vengono l’Educazione stradale, l’Educazione ambientale, l’Educazione alla salute, l’Educazione alimentare…..
La confusione tra il ruolo della scuola e quello della famiglia è ormai totale, ma il massimo si raggiunge con l’Educazione all’affettività, vera e propria invasione del campo morale, delle scelte educative della famiglia: “(…) In situazioni concrete, riflessioni sulle differenze di ruolo dei maschi e delle femmine”: esistono dunque delle differenze di ruolo da insegnare, assumere, giustificare? Tutti i cittadini e le famiglie devono essere d’accordo con queste “differenze di ruolo”? Chi le stabilisce, Berlusconi o la Moratti? E se è presente in classe qualcuno con una cultura diversa?
“Forme di espressione personale, ma anche socialmente accettate e moralmente giustificate, di stati d’animo, di sentimenti, di emozioni diversi, per situazioni differenti”: si tratta quindi di entrare nella sfera della morale “corretta”, di influenzare i comportamenti, i sentimenti, le emozioni che sarebbero conformi a questa morale e bandire gli altri? Chi deciderà quello che è conforme? Ancora Berlusconi? Gli insegnanti? Le famiglie e gli insegnanti si adegueranno? E se le famiglie avessero idee diverse su ciò che è “conforme”?

Ma andiamo più a fondo. Si dice: “Forme di espressione personale, ma anche socialmente accettate e moralmente giustificate, di stati d’animo, di sentimenti, di emozioni diversi, per situazioni differenti“: questo significa che bisognerebbe insegnare ai bambini a ridere ad un matrimonio e piangere ad un funerale e non a viversi liberamente la propria emotività? Significa che ogni bambino dovrebbe imparare a “recitare” la propria parte, una per ogni occasione, come un automa?
E’ un piano per formare dei perfetti psicotici?

” Conoscere le principali differenze fisiche, psicologiche e comportamentali tra maschi e femmine (…)”
Sulle differenze fisiche, sarebbe sufficiente inserire lo studio del corpo umano in scienze, cosa che invece viene abolita….Ci sarebbe il vantaggio di dare un fondamento culturale alla questione ed evitare la confusione con le questioni psicologiche, morali e comportamentali. A proposito di queste ultime: c’è un manuale su cui informarsi? Si spera che non sia la Moratti a darci indicazioni. E nemmeno che Berlusconi assuma “ad interim” la funzione di coordinatore morale…
“In situazione di simulazione (giochi di ruolo, animazioni teatrali…) rappresentare comportamenti tipici del genere maschile e femminile” Giochi di simulazione? Ma la Moratti ha presente quello che possono scatenare? Ha presente le implicazioni? Ha presente la competenza che richiedono?
E specialmente: ha presente che queste pratiche devono essere liberamente scelte dalle famiglie all’interno di un rapporto con psicoterapisti preparati, che rispettino il segreto professionale e la deontologia della loro professione e che sappiano davvero operare con esse?
“Esercitare modalità socialmente efficaci di espressione delle proprie emozioni e della propria affettività (…) In situazione di gioco, di lavoro e di relax, modalità di espressione corretta della propria emotività”.
In breve: si tratta di sostituirsi alla famiglia, scegliendo per i bambini ciò che è bene e ciò che è male, quali modelli sociali siano ammissibili e quali no, quali comportamenti ed espressioni siano giusti e quali no…
Vi sembra esagerato?
Consideriamo allora questa asserzione che funge da vera e propria inquadratura generale della funzione di tutte le materie e gli apprendimenti (non solo, quindi, dell’Educazione all’Affettività): “Gli obiettivi specifici di apprendimento delle diverse discipline si concretizzano in competenze, cioè in atteggiamenti, comportamenti, giudizi, modi di vivere che trovano nell’esercizio individuale e sociale dei valori della Convivenza civile stessa la loro causa efficiente e la loro causa finale”.
Una violenza inaudita sui soggetti, sui ragazzi, sulle famiglie e sugli insegnanti: la scuola servirebbe dunque ad inculcare gli “atteggiamenti” i “comportamenti”, persino i “giudizi” e i “modi di vivere” nei ragazzi? Chi può stabilire i valori della “Convivenza civile”, entità astratta, messa in maiuscolo quasi potesse essere codificata e approvata come una Costituzione?

L’attuale “educazione civica”, che in realtà, alle elementari, ha preso il nome di “Studi sociali”, è cosa ben diversa. Si tratta infatti dello studio della Costituzione, delle diverse forme di organizzazione sociale, delle forme di gestione del potere e dello Stato….Attraverso questa conoscenza (culturale e non morale) il bambino e il ragazzo vengono messi nella condizione di scegliere, autonomamente, quali idee formarsi, quale idea farsi della convivenza civile (minuscolo, proprio perché relativo), dell’organizzazione della democrazia e dei diritti.
La storia insegna che ciò che oggi è “civile” domani può essere considerato diversamente. Con Berlusconi-Moratti la storia si ferma: esistono dei valori assoluti che gli insegnanti dovranno trasmettere. Peggio: tutte le materie dovranno essere alle dipendenze di questo obiettivo: inculcare i comportamenti, i giudizi, i modi di vivere giusti e combattere quelli sbagliati: “Tutti i docenti sono tenuti ad interrogarsi sul contributo che il loro insegnamento può portare alla maturazione di corretti comportamenti di educazione stradale, ambientale, alla cittadinanza, alla salute, all’affettività”.
Insalata incredibile: un conto sono i “corretti comportamenti” in educazione stradale (sempre che vada fatta a scuola al posto di storia o geografia, il che va dimostrato), argomento abbastanza oggettivo e comunque regolato da leggi precise, con tanto di divieti, multe ecc….Ben diverso il discorso sui “corretti comportamenti” all’affettività: qual è l’affettività giusta da insegnare? Odiare una persona è corretto o scorretto? Provare rabbia è corretto o scorretto? L’omosessualità è corretta o scorretta?
Chi lo decide? L’insegnante, la scuola, Berlusconi o l’Unione Europea?

Dove sono finite tutte le asserzioni demagogiche sull’individualità del “bambino”, sul suo “percorso personalizzato”, sul rispetto delle sue diversità? Dove sono finiti i principi di rispetto della famiglia e delle sue scelte educative, tanto cari al governo?

Ottava conseguenza: distruzione della libertà d’insegnamento

Dopo aver distrutto i programmi nazionali perché obbligavano gli insegnanti e le famiglie “a subire” delle imposizioni e ad avere “l’atteggiamento impiegatizio dell’applicazione dell’esecuzione”, la “riforma” impone ai docenti il metodo da seguire per insegnare.
E’ così che si scopre che l’unico metodo per insegnare a scrivere deve essere quello globale, che “bisogna prima di tutto scrivere e leggere testi, la lettura e la scrittura corretta seguiranno”, che non bisogna far fare esercizi per “riconoscere lettere, o completare parole con sillabe o lettere”, e, “addirittura, la copiatura di parole dalla lavagna”..
Vietato anche far “leggere ad alta voce”, peggio ancora se “tutti lo stesso testo, lla stressa riga, alla stessa parola”…vietato anche “tenere il segno con il dito, per non perdersi”.

Non intendo in questa sede entrare nella discussione sull’opportunità o meno di queste pratiche didattiche, poiché il punto non è questo.
Ognuna di queste pratiche ha dei pregi e dei difetti, e per ognuna esistono delle varianti, delle contro-teorie, delle analisi delle implicazioni pedagogiche, psicologiche, didattiche.
La libertà d’insegnamento si fonda sul fatto che ogni insegnante è libero di scegliere il metodo e la pratica che considera più adatti alla situazione, al suo modo di insegnare, agli allievi che ha di fronte ecc. per raggiungere determinati obiettivi. La libertà d’insegnamento è fondamentale perché si sviluppi una libera cultura, un libero confronto e perché il ragazzo impari a confrontarsi con essi. Ma essa è anche fondamentale per il successo didattico, poiché ogni insegnante può essere veramente efficace solo se si riconosce nel metodo scelto, se lo può variare in itinere, se lo può mescolare con altri, se può confrontarsi con i colleghi.
Le indicazioni della sperimentazione negano tutto ciò: assumono un metodo come assoluto e lo impongono agli insegnanti, entrando fin nei minimi particolari.
Spiegano come si deve insegnare matematica, storia, scienze….Quali metodi vanno bene e quali male….spiegano persino le frasi da dire ai bambini e quelle da evitare.
Si tratta di un’operazione ideologica che mira ad uniformare e appiattire la professione dell’insegnante e che avrà come risultato immediato l’insuccesso scolastico degli allievi.
La professione insegnante si fa e si costruisce ogni giorno, è un’arte che richiede continui aggiustamenti e contaminazioni tra i metodi. Ogni insegnante cambia metodo e approccio a seconda delle situazioni, degli alunni, degli obiettivi specifici…La Moratti nega tutto ciò e impone per ogni disciplina un metodo, il suo metodo, il giusto metodo.

Distruggere la libertà (individuale) d’insegnamento porta ad attaccare e distruggere ogni libertà. E la Moratti porta a compimento il processo teorizzato da 20 anni a questa parte e già avviato da Berlinguer (alla libertà d’insegnamento bisognava sostituire la “libertà collegiale”: da quando esistono delle libertà “collegiali”?), arrivando a rimettere in causa la libertà di comportamento delle persone, cioè degli insegnanti: “Essi devono concordare collegialmente sia gli interventi educativi e didattici necessari (…) sia esplicitare lo stile relazionale a cui intendono ispirarsi nella vita quotidiana all’interno della scuola tra adulti e fanciulli e tra adulti stessi. Ciò al fine di trasmettere, anche e soprattutto attraverso l’esempio dei comportamenti personali, messaggi non solo esplicitamente, sul piano cognitivo, ma anche implicitamente, su quello emotivo, affettivo e morale (nel senso di costumi e abitudini) coerenti con i valori educativi della Convivenza civile”.
Allucinante: i docenti non dovranno solo adottare metodi comuni di insegnamento, ma anche “stili relazionali a cui intendono ispirarsi nella vita quotidiana”, anche “tra adulti stessi”, adeguando “costumi e abitudini”: Orwell non avrebbe osato immaginare tanto!
Nemmeno i programmi scolastici fascisti erano arrivati a questo livello !

Nona conseguenza: assunzione di un’ideologia di Stato

Non contenta, la Moratti delinea l’ideologia di fondo, la sua filosofia del sapere che deve essere assunta da tutti: “Scienza non è cogliere la realtà, l’esperienza tutta insieme, come e in quanto totalità, magari confusa. (…) L’attrito, la moda, la mediana, la gravità, l’atomo, l’accelerazione ecc., ma anche tutti i concetti adoperati dalle cosiddette scienze umane, da sviluppo a rito, da classe a potere, perciò non esistono in sé. Non si trovano cose reali che si danno a noi, nell’esperienza, come attrito, moda, ecc., o classe o potere. Sono invece nostri costrutti mentali esplicativi di determinate caratteristiche empiriche della realtà. Si può dire che siano il nome che diamo a quella serie di relazioni del reale che il punto di osservazione da cui ci poniamo, nonché il metodo e gli strumenti che usiamo per costruirlo, consente a noi, e a chiunque faccia come noi, di cogliere”.

Questo, posto all’inizio delle raccomandazioni generali, merita una breve riflessione.
Si tratta di affermazioni che evidenziano bene l’operazione ideologica e di distruzione della libertà d’insegnamento, di ricerca e di pensiero che sottende all’intera operazione della “riforma”.
Ancora una volta non si tratta di giudicare come “giuste” o “sbagliate” queste asserzioni e la filosofia che sottende ad esse. Ma non si può negare che una filosofia ben precisa si nasconde dietro a queste frasi, filosofia su cui, da circa 3.000 anni, si discute da posizioni diverse.
La definizione di scienza proposta dalla Moratti, definizione che sta alla base di tutta la “riforma” e che si riflette nei programmi e nelle indicazioni dei metodi da usare, assume un punto di vista filosofico particolare come assoluto e pretende di somministrarlo a insegnanti e famiglie come “la verità”.
Ci potrà essere, ed è normale, qualcuno che pensa che effettivamente le cose stiano nella maniera descritta. Ci potrà essere qualcuno che condivide questa filosofia della scienza e più in generale questa visione filosofica. Ma la storia della filosofia, e in particolare quella della filosofia della scienza, mostra che esistono altre interpretazioni e visioni e che il dibattito su questi aspetti è aperto e vivo.
E’ dunque gravissimo che un governo, ma più in generale lo Stato, assuma una filosofia come assoluta e pretenda di propinarla ai docenti e agli alunni come “la” filosofia.

La questione non è secondaria, poiché la filosofia scelta funge poi da base per giustificare tutta l’operazione di demolizione dei programmi e delle fondamenta stesse delle scuola pubblica.
E non potrebbe essere diversamente: qualunque filosofia si accetti come assoluta e la si assuma come fondante una scuola, essa imporrà di conseguenza la sua visione del mondo, e quindi anche la sua visione della scuola.

Decima conseguenza: un regalo alle scuole private e un taglio drastico degli organici

Per la prima volta nella storia della scuola italiana una sperimentazione parte contemporaneamente nelle scuole pubbliche e i quelle private. Di questo dobbiamo ringraziare ancora una volta Berlinguer e il centro-sinistra, che avevano varato la legge di Parità.
Quali sono le conseguenze?

Poiché i soldi per generalizzare la “riforma” non esistono (bisognerebbe assumere molti insegnanti per accogliere tutti i bambini di 5 anni e mezzo), nel successivo anno scolastico si potrebbe verificare la seguente situazione: molti genitori, non trovando posto nella scuola pubblica, potrebbero rivolgersi alle private, ben liete di aumentare i propri allievi (e i propri profitti) In pochi anni potremmo trovarci di fronte ad un “boom” di iscrizioni nelle scuole private, a partire dai bambini di 5 anni e mezzo che non trovano posto in quelle pubbliche.

Riflettiamo infine sulla questione organici.
L’esempio che chiarisce meglio la situazione è quello del Tempo Pieno, ma il ragionamento è identico per i Moduli.
Oggi, in un TP lavorano due insegnanti titolari sulla classe + l’insegnante di Lingua straniera + l’insegnante di Religione.
Con l’organizzazione che abbiamo visto, l’insegnante prevalente farebbe 21 ore (in prima). Altre due ore saranno coperte dall’insegnante di Inglese e altre due da Religione. Si arriva così a 25 ore: per arrivare a 40 ne bastano 15, e questo avrà come conseguenza il fatto che non potrà essere più nominato un secondo insegnante titolare su una sola classe, poiché 15 ore non fanno una cattedra….
Conclusione: per completare la cattedra, l’insegnante di serie B dovrà lavorare (come abbiamo visto) su più classi, riducendo i posti di lavoro, le immissioni in ruolo, gli organici.

Lorenzo Varaldo, coordinatore nazionale del “Manifesto dei 500”, 2 settembre 2002

 

Il “Manifesto per il ritiro della riforma dei cicli” viene promosso nell’ottobre 1999 da 500 insegnanti e genitori di Torino, Milano, Lodi. Più di 15.000 ins. e gen. di 20 province italiane hanno sottoscritto il “Manifesto”. Nel rispetto delle tradizioni culturali, pedagogiche, didattiche, politiche, religiose di ognuno, il “Manifesto” si batte per unire più largamente possibile gli insegnanti, i genitori, gli studenti, le organizzazioni sindacali e tutte le persone che intendono difendere la scuola pubblica. Il “Manifesto dei 500” ha organizzato in questi anni assemblee, riunioni pubbliche, conferenze in tutta Italia e ha promosso delegazioni che sono state ricevute alla Camera e al Senato, al Ministero della Pubblica Istruzione e a Palazzo Chigi. Il 24 marzo 2001 si è svolta a Torino una manifestazione pubblica che ha visto sfilare 1.000 insegnanti e genitori. Insieme al Coordinamento ins-gen di Roma e Firenze e a rappresentanti di altri gruppi, associazioni, sindacati e partiti di tutta Italia, il “Manifesto dei 500” ha promosso un “Manifesto per la difesa della scuola pubblica” e ha dato vita ad un “Comitato Nazionale di collegamento”. Le iniziative del “Manifesto dei 500” e del Comitato di collegamento sono completamente autofinanziate dai contributi dei firmatari.
Contatti: Lorenzo Varaldo, c/o sc. el. “S. Aleramo”, v. Lemie, 48, 10149 Torino.
e-mail: [email protected] – sito Internet: http://manifestodei500.altervista.org

Print Friendly, PDF & Email