“Perchè è importante “ripetere” lo studio della storia e della geografia (elementari, medie, superiori). Ovvero: perchè i “nuovi” programmi della scuola sono devastanti”

Perché è importante

ripetere” lo studio

della storia e della

geografia (elementari,

medie, superiori).

Ovvero: perché i “nuovi”

programmi della scuola

sono devastanti.

a cura di Lorenzo Varaldo,
coordinatore nazionale del “Manifesto dei 500”

Presentazione

Uno dei contenuti della “riforma” Moratti che la accomuna a quella precedente mai entrata in vigore, la “riforma” dei cicli di Berlinguer, è il taglio drastico dei programmi di storia e geografia nella scuola elementare e media.Entrambe le leggi non contengono questo provvedimento direttamente nel testo approvato dal Parlamento, ma nei decreti applicativi che inevitabilmente hanno chiarito quello che il “Manifesto dei 500” ha sostenuto fin dall’inizio: comunque fosse stata applicata, la “riforma” avrebbe portato ad un taglio dei programmi, in particolare per queste due materie (per la “riforma” Moratti si tratta dei decreti applicativi della sperimentazione in atto, ma i responsabili delle commissioni ministeriali hanno confermato che si intende procedere in questo senso anche con i decreti definitivi).

Non è l’unico argomento su cui si assomigliano, ma mai come in questo caso le due leggi risultano identiche.
In queste note sosterrò che questa impostazione è profondamente errata, non poggia su alcuna base logica né pedagogica e porta conseguenze gravi per i bambini e per i ragazzi (quindi per i cittadini di domani) sia sul piano culturale, sia sul piano psicologico, sia su quello più in generale formativo.

Alcuni dati oggettivi da cui partire:
che cosa prevede la “riforma”

La “riforma” Moratti che sta per entrare in vigore prevede che lo studio della storia (in senso cronologico) cominci in quarta elementare (in terzo si farebbe la preistoria) e arrivi solo fino all’Impero Romano alla fine della quinta. La cronologia essenziale fino ai giorni nostri verrebbe conclusa solo in terza media. Fino a questa classe (13 anni!) i ragazzi non affronterebbero mai lo studio dell’800 e del ‘900, la Rivoluzione Francese, Napoleone, l’Unità d’Italia, le Guerre Mondiali, il Fascismo e il Nazismo, la Resistenza….
La precedente “riforma” Berlinguer era molto simile nella sostanza: lo studio vero e proprio della storia iniziava persino solo in quinta (al termine di questa classe i bambini avrebbero affrontato esclusivamente le civiltà più antiche, Greci e Romani esclusi !); solo in sesta e settima (la legge prevedeva il ciclo unico di sette anni e sopprimeva un anno di scuola) si sarebbero affrontati gli altri argomenti, fino ai giorni nostri. In entrambi i casi i ragazzi andrebbero alle superiori (quelli che ci andranno) avendo affrontato solo una volta ogni argomento.
D’altra parte, le due “riforme” prevedono un’altrettanto significativa amputazione del programma di geografia: con la “riforma” Moratti si arriverebbe solo allo studio delle Regioni italiane alla fine della quinta classe e si affronterebbero l’Europa e il resto del mondo negli anni successivi. Con quella Berlinguer non esisteva neppure un vero programma di geografia, e i ragazzi avrebbero potuto non affrontare mai lo studio sistematico delle Regioni e delle province, degli Stati Europei e del resto del mondo…..
Per contro, vanno ricordati alcuni elementi dei programmi attualmente in vigore nella scuola elementare. Essi non comprendono uno studio approfondito, né di tipo astrattamente mnemonico, di tutta la cronologia storica e della geografia mondiale, ma, attraverso i “quadri di civiltà”, prevedono che l’insegnante possa muoversi all’interno di un vasto territorio culturale, delimitato dal fatto che un primo approccio d’insieme alla storia dell’umanità e alla geografia comprenda tutti i periodi storici e tutte le zone del mondo entro la quinta elementare. Alle medie questo quadro d’insieme viene ripreso in modo più approfondito e alle superiori questo avviene una terza volta con un approccio ormai decisamente diverso.
Può essere utile citare direttamente i programmi attuali per rendersi conto di come, pur all’interno di un territorio culturale definito, esista grande libertà di scelta per l’insegnante: “Il fanciullo pervenga, nel quinquennio del corso elementare, ad una visione sufficientemente articolata dei momenti significativi della storia, connettendoli in un quadro cronologico a maglie larghe”.
La lettura di questo passaggio ci dà già l’idea di quanto siano ridicole le frasi con cui il ministro Moratti giustifica l’attacco e la distruzione del concetto stesso di programma nazionale: “Tutti i docenti e le scuole devono adeguarsi alle loro indicazioni (dei programmi nazionali); i ragazzi e le famiglie devono subire un adeguamento alla seconda potenza: si devono adattare all’insegnamento dei docenti che a loro volta si devono adattare alle richieste di insegnamento dettate dalle disposizioni ministeriali”. Se non sono demagogia e mistificazione queste…..

Parte prima: l’inconsistenza delle tesi su cui si fonda la “riforma”

Il solo argomento portato a sostegno di queste scelte è stata la ormai famosa frase “E’ assurdo che i ragazzi debbano ripetere tre volte gli stessi argomenti”. Come quasi tutte le “teorie” pedagogiche degli ultimi anni, questa affermazione si fonda su un misto di suggestione e di argomentazioni “da bar” che a prima vista possono colpire l’interlocutore, ma che ad una minima analisi più attenta rivelano tutta la loro infondatezza.
La suggestione, secondo lo Zingarelli, è l’”arte” con cui “un individuo, senza l’uso di argomenti logici, di ordini o di mezzi coercitivi, induce un altro individuo ad agire in un determinato modo o ad accettare una certa opinione, fede o convincimento” . In una ulteriore precisazione dello stesso vocabolario si legge che la suggestione corrisponde ad un “intenso fascino”.

Il fascino di questa vera e propria madre di tutte le argomentazioni (“E’ assurdo che i ragazzi debbano ripetere tre volte gli stessi argomenti”) consiste nel fatto che essa si poggia su una domanda che effettivamente molte persone si sono poste: perché studiare più volte gli stessi argomenti? Persino i ragazzi, a volte, si pongono questa questione: si tratta quindi di una domanda più che legittima che merita una risposta articolata e motivata, qualunque essa sia. Ma nella realtà questa domanda trova una risposta che non è solo priva di logica, ma risulta una vera e propria “non risposta”; l’affermazione “è assurdo”, infatti, non risponde proprio a nulla e rimanda esclusivamente ad un’altra questione: perché sarebbe assurdo?

Ma a questo punto i nostri “esperti” si fermano, non forniscono argomenti di alcun tipo e occupano tutte le loro energie nel ripetere all’infinito, come un ritornello, la loro frase. E il ritornello, ripetuto migliaia di volte nelle conferenze, nelle riunioni, sulle riviste specializzate, negli atti delle commissioni parlamentari diventa “la verità”, fino a quando nessuno si permette più di mettere in dubbio la questione. Esso acquista quindi un carattere ideologico e dogmatico e si sottrae pertanto, definitivamente, ad ogni analisi, critica, discussione. A questo punto il ritornello è pronto per essere ripetuto anche nelle discussioni al bar.

Ripeto: esso rappresenta l’unica giustificazione (se di giustificazione si può parlare) portata per distruggere i programmi di storia e geografia. Per quanto esso sia assurdo, sarà però opportuno partire da qui.

Assurdo ripetere?

In realtà non è per nulla assurdo ripetere più volte gli stessi argomenti o le stesse esperienze. Tutti i campi del sapere e dell’agire umano sono oggetto di ripetizioni molto importanti e produttive. Chi oserebbe dire che è assurdo ripetere più volte gli esercizi di guida dell’auto prima di prendere la patente? Chi oserebbe dire che è assurdo ripassare più volte una lezione prima di un esame? Vi sembrano campi molto diversi dallo studio della storia e della geografia? E allora chi oserebbe dire che è assurdo leggere due o tre volte un libro o vedere un film, per analizzarlo meglio, scoprirne aspetti nascosti, cogliere punti di vista diversi, provare emozioni differenti?

In realtà la nostra vita è costellata di ripetizioni: ripetiamo i gesti che ci permettono di imparare a camminare, fino ad averne acquisito sicurezza e poter passare alla corsa e allo sport; ripetiamo le parole, i verbi, le frasi, fino ad avere sicurezza di comprensione e elaborazione; ripetiamo giochi, attività, passatempi che ci piacciono per il piacere di riprovare e rinnovare sensazioni, emozioni, ragionamenti e per scoprire aspetti nuovi e approfondire competenze e abilità.
Quando abbandoniamo un’attività per un certo tempo, proviamo un notevole piacere nel riprenderla e nel riscoprirla, sapendo in partenza che alcuni aspetti saranno da recuperare, altri si porranno in modo differente, altri potranno essere approfonditi, altri ancora saranno persi.
Nessuno sportivo, di nessuna disciplina, si porrebbe il problema del perché ripetere non tre volte, ma migliaia, un gesto, un allenamento, un esercizio, sapendo bene che ogni volta quello stesso gesto o esercizio verrà effettuato in modo differente, più preciso, più efficiente.

La ripetizione è un elemento fondamentale non solo della conoscenza e dell’apprendimento, ma di tutta la vita stessa. L’immagine della spirale è particolarmente adatta a rendere l’idea di come si ritorni continuamente su ciò che già si conosce, si vive, si prova. Si ritorna, ma ad livello sempre differente: per esempio si ritorna ad analizzare stati d’animo, emozioni, turbamenti, piaceri che già si sono provati e analizzati; proprio grazie a questo “ritorno” l’individuo riesce via via a controllare e comprendere se stesso e il mondo che lo circonda, ad un livello sempre più approfondito.
Fin da bambini piccolissimi si fa questa esperienza: ciò che può far piangere o provocare turbamento in prima battuta, diventa col tempo qualcosa di controllato e controllabile, pur conservando sempre un fondo più o meno evidente del carattere iniziale.
La stessa cosa vale con il piacere: il tempo cambia la natura del piacere ripetuto, ne allarga la comprensione e la durata, consente la modulazione e la differenziazione, permette di evitare l’assuefazione… Anche nell’apprendimento scolastico vale questo principio, come vedremo meglio in seguito.

Dire che è “assurdo” ripetere un’attività, uno studio o una materia è quindi, in astratto, un argomento privo di senso e di logica. Dirlo poi per un bambino o un ragazzo è semplicemente un’idiozia tipica di individui che non hanno alcuna intenzione di stare davvero con i bambini (o che, forse, non sono stati mai, loro stessi, bambini?): come non ricordarsi della tipica domanda infantile “mi racconti di nuovo la storia di……”, con il relativo piacere che si prova a rivisitare una cosa già sentita, a prevederne lo svolgimento, a coglierne altre sfumature….?

Si tratta di vere ripetizioni?

La questione della ripetizione va invece calata nel contesto del nostro problema: perché è fondamentale che la scuola elementare continui a prevedere lo studio di tutta la cronologia storica, seppur attraverso grandi linee dei quadri di civiltà? Perché è fondamentale studiare, seppur in modo generale, l’Italia, l’Europa e il mondo entro la quinta? Perché è importante che questo primo approccio venga ripreso alle medie in modo più approfondito e per l’intera cronologia?

Le stesse osservazioni da cui eravamo partiti evidenziano che nessuna ripetizione è in realtà tale. Solo un modo di ragionare di tipo formale e antidialettico può accettare il termine “ripetizione” (e questo costituisce proprio uno dei più grandi limiti del “pensiero” Berlinguer-Moratti: l’assenza assoluta di dialettica). In tutti i campi, ogni ripetizione è in realtà portatrice di differenze, integrazioni, arricchimenti…
Ciò è vero in misura ancora maggiore per i programmi di storia e geografia (ma in generale per tutti i programmi ) della scuola.
Solo persone che non abbiano mai messo piede nella scuola possono affermare che la storia e la geografia delle elementari vengono “ripetute” alle medie e poi alle superiori. Il tipo di linguaggio usato, il tipo di approccio alla materia, le possibilità di comprensione e di astrazione del bambino e del ragazzo sono talmente diversi da condizionare necessariamente gli stessi contenuti dell’apprendimento.
Non parliamo poi dell’importanza che assume la figura dell’insegnante e il rapporto che questi instaura con l’alunno: moltissimi hanno fatto l’esperienza di “amare” una materia con un determinato insegnante (magari mentre un compagno di classe “odiava” la stessa materia con lo stesso insegnante…) e “odiarla” con un altro.

Tuttavia è evidente che i famosi “quadri di civiltà” che compaiono nei Programmi attuali della scuola elementare vengono poi ripresi alle medie e alle superiori: gli Egizi, i Greci, i Romani, il Medioevo, il Rinascimento, i Comuni, le Signorie…., la Rivoluzione francese, le guerre mondiali, la Resistenza….sono tutti temi che, impropriamente, potremmo dire vengano “ripetuti”.
Perché è necessario che si continui a farlo?

Parte seconda: I programmi della “riforma” condannano all’ignoranza milioni di cittadini futuri

Quale preparazione avranno i ragazzi se passerà la “riforma” e il taglio dei programmi?
Analizziamo prima di tutto il caso dei ragazzi che a 15 anni abbandoneranno la scuola (la “riforma” prevede che a 15 anni si possa andare a lavorare invece che a scuola, con l’apprendistato e l’alternanza scuola-lavoro, in nome dell’ “obbligo formativo” che sostituirà l’obbligo scolastico…).
Questi ragazzi avranno studiato, per esempio, i Greci o i Romani in terza o quarta elementare, con un approccio di astrazione e di comprensione tipico di questa età (quindi molto limitato per alcuni aspetti, ma necessario per altri). Gli stessi ragazzi avranno poi studiato il Rinascimento, l’industrializzazione, la Rivoluzione Francese, l’Unità d’Italia ecc.. una sola volta alle medie, in uno dei periodi più complessi e turbolenti per la crescita intellettuale, fisica, psicologica.
Questi ragazzi non riprenderanno più nessuno di questi argomenti per tutta la vita (a meno che si voglia immaginare che un ragazzo che si avvia all’apprendistato a 15 anni si metta, per conto suo, a leggere qualcosa sulla riforma di Clistene, sulle lotte di classe ad Atene o sull’imperialismo Romano…..).

E in geografia? Un ragazzo che seguisse i corsi della scuola “riformata” affronterebbe le Regioni italiane una sola volta in quinta elementare! Stessa sorte per lo studio della geografia europea e mondiale: è impressionante pensare all’ignoranza che produrrebbe un simile sistema.
D’altra parte non c’è da scandalizzarsi: il modello dichiarato dei nostri legislatori è quello degli USA. Lucio Russo, nel suo libro “Segmenti e bastoncini”, riporta le seguenti osservazioni: “Spesso si sottolinea che negli USA il 90% dei cittadini possiede un diploma di scuola superiore. Un autorevole membro del congresso ha però affermato che la maggioranza dei diplomati non è in grado di leggere il diploma che riceve. Probabilmente si tratta di un’esagerazione, ma indagini statistiche accurate hanno dimostrato che la grande maggioranza dei diplomati crede che l’America sia stata scoperta dagli europei nel XVIII secolo (il che non stupisce, visto che l’unica storia studiata è quella degli Stati Uniti d’America) e non è in grado di calcolare i due terzi dei tre quarti di una mela”.

Le innovazioni proposte dalla “riforma” aprirebbero la strada a scenari molti simili, producendo adulti assolutamente privi di ogni conoscenza storica e di ogni orientamento geografico, con una superficiale infarinatura destinata col tempo ad essere totalmente dimenticata. E’ evidente infatti che studiare un argomento solo in terza o quarta elementare, con l’approccio e la possibilità di comprensione di un bambino di quell’età, è solo di poco (molto poco) diverso dal non fare per niente quell’argomento.

Il dato della geografia assume un particolare risvolto paradossale: con tutto quello che ci raccontano su “Europa” e globalizzazione, come si può pensare di lasciare che i ragazzi arrivino a undici anni avendo affrontato solo le Regioni italiane?

La portata di un tale danno si può comprendere se paragoniamo i “nuovi” programmi al percorso di un ragazzo che frequenti oggi un Istituto Professionale Statale o un Istituto Tecnico: quest’ultimo studia storia e geografia, pur con tutti i limiti di queste scuole e dei programmi attuali, almeno fino a 17 anni, approfondendo per tre volte gli argomenti (e va poi detto che i programmi di storia dei professionali e dei tecnici sono già stati ampiamente attaccati….). Si può dire che in confronto ad un ragazzo che dovesse uscire dalla scuola “riformata”, l’alunno di oggi può considerarsi un intellettuale!
Si pensi inoltre a tutti i ragazzi che frequenterebbero i “nuovi” istituti professionali regionalizzati e privatizzati, dove la storia e la geografia praticamente scompariranno: si tratta quindi di milioni di individui, non di una minoranza…

A chi serve questa ignoranza?
Facciamo un esempio attuale: come formarsi un’idea (personale) sul legame tra la guerra in Iraq, le rotte del petrolio, gli interessi commerciali e il problema delle nazionalità se non si conosce nemmeno la geografia in modo sufficiente da immaginare “al volo” la dislocazione degli Stati e le loro risorse? Come comprendere i problemi della democrazia se non si conoscono i principi della Rivoluzione Francese, le conquiste dei sindacati, la storia della Resistenza ecc…? Come difendere la scuola pubblica, le pensioni, la sanità se non si sa come sono nate, chi le ha conquistate, su cosa si fondano, chi le paga, di chi sono?
E’ evidente che il nostro ragazzo che avrà studiato la storia una volta sola nella sua vita l’avrà fatto con il tipico “primo approccio” che caratterizza ogni studio all’inizio: in modo generale e schematico, per inquadrare i problemi. Tale inquadramento sarà destinato ad essere perso, perché non più ripreso, approfondito, visitato ad altri livelli.

Succede così per tutte le attività umane, non si vede perché dovrebbe essere diverso per storia e geografia. Sarebbe come studiare inglese o francese per qualche ora alle elementari o alle medie e poi non riprendere più la lingua per il resto degli studi e della vita: tutti sanno che le poche conoscenze apprese sarebbero perse in poco tempo o comunque destinate a diventare marginali.

E quelli che andranno al “liceo”?

Prendiamo ora il caso di un ragazzo che vada al liceo e prosegua gli studi.
Quando entrerà al liceo, egli avrà quasi completamente perso le conoscenze acquisite durante la scuola elementare, sia perché saranno passati molti anni, sia per il tipo di apprendimento (ancora concreto, infantile) che aveva avuto.
Per questo ragazzo sarà dunque impossibile cominciare a comprendere più a fondo le motivazioni storiche, i processi che richiedono astrazione e sicurezza nell’orientamento cronologico e nei grandi quadri di civiltà, i nessi e i rapporti della geografia economica, fisica, politica, il rapporto tra la geografia e la storia…..

Anche in questo caso partiamo da un esempio.
E’ auspicabile che un ragazzo del liceo attuale, nello studio della storia, non si limiti a conoscere l’esistenza di un certo avvenimento, ma cominci a comprendere e ad astrarre le cause e i rapporti tra diversi avvenimenti. Un ragazzo del liceo potrà studiare le cause della caduta dell’Impero Romano in modo più dialettico e ricco di quanto non possa fare un bambino delle elementari; potrà cominciare a studiare la questione dell’Unità d’Italia ponendosi il problema di quale fu l’atteggiamento dei Savoia, da cosa fu dettato, quali conseguenze esso portò sul futuro assetto del Paese, quali diverse idee di unità esistevano e a cosa corrispondevano, il ruolo della Chiesa, i governi e i problemi degli anni successivi …
Studiando la Resistenza o la Seconda Guerra Mondiale, è auspicabile che un ragazzo del liceo cominci a conoscere la svolta di Salerno, il Trattato di Yalta, il rapporto tra gli scioperi del ’43 e il movimento di Liberazione….
Ben inteso: non si tratta di proporre ai liceali un terreno di ricerca storica tipico dell’Università, ma certamente un ragazzo di 17-18 anni può essere perfettamente in grado di avere un approccio più teorico ai problemi, di collegarli, di fare anche qualche ipotesi interpretativa e specialmente di aggiungere conoscenze ad altre già acquisite e stratificate…

Tutto questo sarebbe totalmente annullato. I ragazzi del “liceo” disegnato dai progetti di “riforma” sarebbero ancora totalmente presi dall’orientamento minimo nei grandi quadri di civiltà.
Per loro, l’Impero Romano andrebbe totalmente ricontestualizzato, avendolo affrontato una sola volta in quarta o quinta elementare. I punti di riferimento cronologici fondamentali ecc. sarebbero completamente da riprendere, molto più di quanto già non avvenga oggi. Non parliamo poi dell’orientamento geografico: ci si troverebbe di fronte a ragazzi con difficoltà ad astrarre anche solo il percorso di Annibale, poiché la geografia studiata fino a quel punto non sarà abbastanza interiorizzata. Stesso discorso per la Rivoluzione Francese, l’Unità d’Italia, le Guerre Mondiali, la Resistenza….
Tutte le energie del ragazzo sarebbero completamente occupate dall’orientamento minimo e sarebbe impossibile alzare il livello dello studio e della spiegazione degli insegnanti. E sarebbe anche impossibile aggiungere conoscenze fondamentali che, necessariamente, non avevano trovato spazio precedentemente.
La questione finale è posta: si può ancora parlare di “liceo”?

Parte terza: I programmi della “riforma” contro
la formazione di una personalità libera e indipendente

Le conseguenze fin qui descritte delle “riforme” in atto rimandano ad alcune questione centrali dell’apprendimento.
La prima è la seguente: ogni apprendimento può essere veramente efficace e significativo solo se si appoggia su una base consolidata. E’ impossibile scrivere un tema se non si sono acquisiti i meccanismi di base della scrittura: l’attenzione sarebbe troppo occupata dalla preoccupazione di non fare errori ortografici, sintattici, persino dalla calligrafia….E’ impossibile comprendere ciò che si legge se non si sono acquisiti e automatizzati i meccanismi della lettura: i bambini di prima e seconda elementare forniscono un esempio continuo di ciò, poiché non riescono a comprendere un testo, un problema anche facile, un pensiero se la loro tecnica di lettura non ha raggiunto un automatismo tale da “non preoccuparli più”. E’ solo a quel punto che essi potranno preoccuparsi di altro, e cioè della comprensione, del significato, della punteggiatura… Procedendo in questa scala di avanzamento, il livello successivo sarà quello della lettura di testi sempre più impegnativi e di quella in grado di cogliere sfumature, emozioni, tipo di linguaggio, stile…e di apprezzare tutto questo a livelli sempre più alti e complessi. Ma questo livello non sarà mai possibile per coloro che non acquisiscono un automatismo di base elevato nella lettura e nella scrittura: essi saranno sempre troppo “presi” dai loro limiti, troppo presi dal decodificare il livello minimo di comprensione. Lo stesso vale per la matematica: se una persona non acquisisce sicurezza e automatismo nello scrivere i numeri, perderà il doppio del tempo a fare operazioni; se non si muove con sicurezza nel riconoscimento delle figure, difficilmente potrà risolvere problemi di geometria; se non padroneggia il concetto di funzione, difficilmente potrà risolvere problemi di geometria analitica o di trigonometria….

Apprendimento consolidato e apprendimento instabile

Tutto questo vale anche per la storia e la geografia, anche se naturalmente con metodi e contenuti differenti.
E’ impossibile studiare un qualunque argomento in modo minimamente approfondito se le nuove conoscenze non si appoggiano su un terreno consolidato, se cioè non sono state poste altre conoscenze più semplici che ne costituiscano la base.
Con la “riforma”, i ragazzi che entreranno alle medie non potranno assolutamente studiare gli argomenti dei “nuovi” programmi (dall’anno Mille in poi) al livello in cui li affrontano oggi, poiché a loro mancheranno totalmente le conoscenze di base su cui costruire i primi approfondimenti. I professori delle medie, oltre a non affrontare più la storia antica (!) saranno obbligati ad abbassare il livello delle loro lezioni. Infatti è impossibile recepire un numero troppo grande di conoscenze in una sola volta, poiché c’è bisogno di tempo per stabilizzare l’apprendimento, interiorizzarlo, consolidarlo.
Anzi: in parte è impossibile, in parte è invece possibile, ma del tutto privo di senso.

Prendiamo un adulto qualunque, mediamente ben istruito, e proponiamogli di studiare alcuni elementi essenziali della chimica, o della biologia, tanto per fare due esempi. Essendo un adulto mediamente istruito è possibile che non abbia alcun problema a comprendere la struttura dell’atomo o della cellula, magari anche ad un certo livello di approfondimento: numeri atomici, acidi, basi, DNA, cromosomi, RNA…..
Esiste tuttavia una differenza fondamentale tra un adulto che abbia fatto questi stessi argomenti una prima volta alle elementari (in una prima forma introduttiva e leggera), una seconda alle medie e poi al liceo e un altro individuo che non li abbia fatti o li abbia affrontati ad un livello inferiore.
La differenza non risiede tanto nella capacità di comprensione, quanto nella capacità di mantenere le conoscenze comprese, facendole diventare patrimonio stabile della propria esistenza, utilizzabili dal pensiero per un’elaborazione autonoma nella vita quotidiana. Il soggetto che comprende qualcosa, ma lo inserisce per la prima volta nel suo bagaglio culturale, avrà da un lato più difficoltà a comprendere, ma specialmente più facilità a dimenticare. E comunque stiamo parlando di un soggetto mediamente istruito, cosa che con le “riforme” sarebbe rimessa in causa….

Apprendimento, libertà, dipendenza….

Questo passaggio è fondamentale per comprendere il livello di distruzione della scuola e del singolo individuo a cui si va incontro se si distruggono i programmi di storia e di geografia. Infatti, solo le conoscenze consolidate permettono alle persone di utilizzarle in modo autonomo e quindi di costruirsi una propria personalità libera e indipendente. Solo la sicurezza delle conoscenze permette di “giocare” con esse, in altri termini di instaurare un rapporto personale con la materia. Le conoscenze e le abilità poco consolidate rendono invece l’individuo doppiamente schiavo: di se stesso, perché deve continuamente recuperarle con fatica e perdita di tempo, oppure decidere di farne a meno; degli altri, perché dovrà sempre appoggiarsi sulle conoscenze e sulle idee altrui, muovendosi su un terreno per lui instabile. Il soggetto diventa quindi completamente manipolabile.

La “pedagogia” su cui si fondano i programmi delle “riforme” è quindi una vera e propria pedagogia di distruzione della personalità delle persone e mira a rendere dipendenti, ignoranti, ricattabili gli individui. Inutile dire che creare una massa di individui di questo tipo fa molto comodo a chi teorizza la flessibilità, la precarietà, la fine delle pensioni….Utile, invece, ricordare che entrambe le “riforma” partono dal presupposto che è necessario che la scuola tenga conto che “non esiste più una società in cui prima si studia e poi si lavora, magari nello stesso posto per tutta la vita” (primo documento Berlinguer sulla riforma, gennaio ’97). La pedagogia Moratti-Berlinguer mira proprio a questo: avere ragazzi e adulti che non si battano per “lavorare tutta la vita”, ma accettino lavori precari, continui corsi di riconversione sottopagati e senza garanzie che vanno sotto il nome di “educazione permanente per tutto l’arco della vita”, contratti flessibili e specialmente individualizzati.
La distruzione dei programmi di storia e geografia si connette quindi direttamente alla distruzione dei contratti nazionali, dei sistemi pensionistici, dei servizi pubblici, delle conquiste dei lavoratori.

Adulti di domani o eterni bambini?

Un’altra questione fondamentale sull’apprendimento è la seguente: non si può comprendere davvero un problema (storico, geografico o quant’altro) senza una vera attività di astrazione.
Senza di essa si resta ad una conoscenza di tipo infantile: tappa necessaria, ma che deve essere superata dall’individuo.
Ma l’astrazione non è una cosa che appare all’improvviso, slegata da ogni contesto e dalle conoscenze-esperienze fatte. L’astrazione deriva in larga parte (anche se non solo, certamente) dalla ripetizione e dalla presa di coscienza, cose che a loro volta necessitano di esperienze e approcci diversi. Essa raggiunge un buon livello quando ci si sa porre da un punto di vista esterno, slegato dall’immediato concreto. Nello stesso tempo, per astrarre veramente è necessario saper vedere-immaginare le cose da più punti di vista, da più angolazioni diverse. Più si possiede questa capacità e più si comprendono le cose, i fenomeni, gli avvenimenti, il proprio io, il rapporto con il mondo…
E’ per questo che è assolutamente necessario offrire ai bambini in crescita una successione di contesti e opportunità diversi per la loro formazione: professori che prendano il posto dei maestri elementari, che adottino altri metodi, altri orari, altri spazi e strumenti scolastici, che richiedano cose differenti, che abbiano un timbro di voce diverso… Il tutto alla faccia della “continuità”, altra demenzialità reazionaria sbandierata in tutte le argomentazioni a sostegno delle “riforme”.

Preparare il bambino a essere indipendente o gettarlo allo sbaraglio?

Questo argomento della “continuità” meriterebbe ben altro spazio, ma è importante aprire una breve parentesi.
E’ significativo che, mentre si sbandiera la “continuità” a tutto danno del soggetto, entrambe le “riforme” prevedano poi lo spezzettamento della classe in tanti gruppi flessibili, con i ragazzi che cambierebbero insegnanti e compagni in continuazione, privando quindi gli alunni di ogni punto di riferimento e di ogni rapporto educativo stabile. Anche il “ritorno al maestro unico” visto con favore da qualcuno è una pura mistificazione. Il maestro-tutor della Moratti non crediate che rappresenti un riferimento per il bambino: i decreti applicativi della “riforma” contengono 64 pagine per la descrizione dei modelli orari della scuola elementare!! In queste 64 pagine ci sono gli orari individuali dei bambini che cambierebbero insegnanti e compagni di giorno in giorno e di settimana in settimana, Ci sono persino gli esempi con nomi e cognomi immaginari, con bambini di 6 anni che lavorerebbero per alcune ore con coetanei, poi con altri più grandi, poi con altri ancora nelle settimane successive. Non è fantascienza: si tratta di documenti pubblici disponibili sul sito del ministero.
Il danno è doppiamente grave. Infatti, il bambino-ragazzo ha sì bisogno di rotture e di salti di qualità per crescere (cambiare tipo di scuola, modo di insegnare, rapporto con compagni e insegnanti, tipo di orario….), ma deve essere preparato e seguire un percorso che lo metta in grado di fare questi salti e quindi di affrontare le difficoltà.
I progetti Moratti-Berlinguer negano invece al bambino tutte due le componenti essenziali della crescita: da un lato lo privano dei salti di qualità e delle “rotture”, con tutti gli stimoli e anche le difficoltà che essi presentano e che costituiscono una tappa fondamentale della crescita (contrariamente a molte teorie di questi anni a sostegno delle “riforme”, l’apprendimento e la crescita avvengono anche per salti e rotture, e non certo solo per “continuità”); dall’altro si nega all’alunno il percorso di preparazione a questi salti, percorso che deve svolgersi in una classe definita, instaurando rapporti personali veri e duraturi con compagni ed insegnanti, seguendo un percorso. I gruppi flessibili sono la negazione di questo percorso di preparazione e rappresentano l’abbandono totale del bambino-ragazzo a se stesso, alle forze dislocatrici di un ambiente privo di riferimenti stabili, al disorientamento psicologico.
I progetti Moratti-Berlinguer hanno una loro “logica” diabolica interna: abbandonato a se stesso e completamente dislocato, il ragazzo dovrà poi essere accompagnato, “manin manina”, dalla scuola dell’infanzia all’università, e poi ancora…. Avremo così degli adulti totalmente incapaci di essere indipendenti (il che si combina perfettamente con il taglio dei programmi), affrontare difficoltà, fare scelte, instaurare rapporti stabili o anche solo significativi. E infine avremo adulti incapaci di guardarsi dentro e instaurare un rapporto con il proprio io, poiché questo “io” sarà stato letteralmente tritato.

Apprendimento concreto e apprendimento astratto

Chiusa questa parentesi sulla continuità, torniamo al problema dell’astrazione.
E’ impossibile, per esempio, capire l’ascesa di Hitler, l’avvento del Direttorio in Francia e il colpo di stato di Napoleone, il legame tra l’ascesa della borghesia e la fine del feudalesimo, la caduta dell’Impero Romano ecc.. se non si sa ragionare su questi argomenti in modo astratto.
E’ impossibile capire come cambia il sentimento delle masse tra il 1919 e il 1922-23, fino all’assassinio di Matteotti e che cosa determina l’avvento del fascismo o di Hitler se non si procede con un ragionamento di tipo astratto. Ma questo ragionamento può verificarsi solo se esistono già le conoscenze di base sul contenuto del fascismo (negazione della libertà, violenza, indottrinamento, imperialismo…) e il riferimento storico-cronologico essenziale su cui inserire tutti i collegamenti necessari.
Questo quadro essenziale di riferimento può e deve maturare ben prima dei 15 anni, alle elementari e alle medie.Affinché esso maturi è necessario aver superato bene il pensiero operatorio-concreto tipico della scuola elementare e aver affrontato a grandi linee la storia nel suo complesso secondo le potenzialità e l’approccio tipico di questa età. In un secondo momento è necessario rifare il tutto al primo livello di astrazione tipico della scuola media, in modo da porre le basi per quella che sarà una vera astrazione e indipendenza di pensiero alle superiori.
Se per esempio un argomento (Rivoluzione Francese o Resistenza, tanto per fare esempi concreti tratti dai programmi Moratti-Berlinguer) viene fatto solo a 12 anni, il ragazzo non avrà alcun riferimento su cui appoggiare le relative conoscenze, non solo perché sarà un argomento nuovo, ma prima di tutto perché gli mancherà il tipo di approccio tipico dei bambini alla materia e al periodo.

Sarebbe come pretendere di insegnare i numeri negativi ad un ragazzo che non ha fatto le giuste esperienze sulla conservazione della quantità e non ha acquisito gli automatismi e l’astrazione nell’uso dei numeri naturali. Sarebbe come pretendere un tema da un ragazzo che non sa scrivere nemmeno brevi pensieri o, peggio, non sa tenere la penna in mano con sicurezza ed è tutto preso dal non fare errori e dallo scrivere in modo comprensibile.

L’amputazione dei programmi di geografia risulta, dal punto di vista del percorso verso l’astrazione del pensiero, ancora più grave. La geografia infatti rappresenta un terreno ideale per esercitare il passaggio dal pensiero concreto a quello astratto, in particolare con lo studio e l’analisi delle cartine. Esse infatti permettono al bambino di partire da un riferimento concreto (la carta geografica che schematizza in modo semplice il mondo, si può toccare, vedere, percorrere con un dito…) che tuttavia impone fin dal primo approccio un salto nel campo dell’astrazione, poiché la cartina stessa è solo una rappresentazione.
Per esempio il concetto di “scala” richiede già una certa astrazione, ma con la cartina diventa intuibile e poi comprensibile per il bambino. La stessa questione della rappresentazione della terra su un piano pone il bambino di fronte a problemi di astrazione-comprensione molto grandi: alcuni, per esempio, comprendono con fatica che la parte destra della cartina del mondo (est) finisca per coincidere con la parte sinistra (ovest). Ma proprio grazie alla pratica della consultazione-studio delle carte si affina questo passaggio dal concreto all’astratto. Tutto ciò è in stretta relazione con lo studio della storia: è impossibile comprendere la storia se non si conosce la geografia mondiale, almeno nei suoi tratti essenziali. La tendenza alla distruzione dello studio della geografia è purtroppo già molto presente negli ultimi anni: alcuni insegnanti hanno notato l’assoluta carenza di carte geografiche nei libri di testo delle elementari e, fatto ancor più grave, la confusione con cui vengono presentate le carte, accorpando senza alcuna ragione Stati e regioni e impedendo una vera conoscenza della realtà.

Parte quarta: la distruzione dell’insegnamento elementare

E’ evidente che la comprensione di un argomento di storia da parte di un alunno delle elementari prevede non solo una certa approssimazione, ma anche vere e proprie deformazioni e errori.
Non c’è da spaventarsi, anzi: per esempio l’idea di tempo, il concetto di secolo, di millennio non possono essere acquisiti completamente alle elementari, ma solo “giocando” con questi concetti fin da piccoli ci si potrà lentamente formare un’idea corretta.
Ci sono adulti che continuano a non avere queste idee di tempo, di spazio, di quantità. Per loro è difficile cogliere la differenza tra 1.000 persone, 10.000 o 100.000; è difficile immaginare distanze superiori a quelle praticate quotidianamente; è difficile cogliere l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande…A questi adulti manca una parte importante per comprendere il mondo, e quindi per essere liberi in esso. Quando dico “comprendere il mondo” non intendo limitarmi alle questioni storiche e sociali, ma un esempio in questo campo ci permetterà di cogliere la portata della distruzione prevista da Moratti-Berlinguer: per questi adulti è impossibile capire il significato di una manifestazione di massa, il termine “rivoluzione”, la differenza tra un colpo di stato e un’insurrezione popolare….

Per questo con i bambini è molto importante fare storia e geografia al livello adatto alla loro crescita, senza preoccuparsi troppo di aspetti tipici della scuola secondaria o, peggio, dell’università. E’ importante dare grande valore alle figure, all’immaginazione, al racconto, a fatti esemplari e significativi. Anche la ricerca e la concatenazione delle cause possono avere un loro ruolo, ma deve essere evidente che la comprensione della catena cause-effetti avviene ad un livello semplice e semplificato. Ed è importante che tutto il ciclo storico e la geografia mondiale vengano affrontati nell’infanzia, nel periodo operatorio concreto, e poi ripresi da capo alle medie, proprio perché l’idea di tempo e di spazio si “compia” interamente e non rimanga monca.
Detto in altri termini: un bambino che frequenti la scuola Moratti-Berlinguer è un bambino che nella sua infanzia non si potrà formare quasi alcun concetto di tempo.. Egli, infatti, ne avrà un’idea solo molto relativa, poiché non avrà “finito la storia”. Intendiamoci: come spiegherò tra breve non si tratta assolutamente del problema di “essere avanti in storia” o “essere indietro” che assilla molti insegnanti e genitori. State tranquilli, non è questo il problema. La questione si può invece cogliere con un paragone con altri tipi di “storie”.

Tradire, demotivare, disorientare il bambino

Quando introduciamo la storia in terza elementare, facciamo spesso ai bambini il paragone con altre “storie” (fiabe, favole, racconti immaginari, anche racconti reali…) che essi hanno conosciuto fino a quel momento. Il paragone serve proprio per appoggiarsi su una base conosciuta e procedere oltre per somiglianze e differenze.
Le “storie” che conosce il bambino (da Cappuccetto Rosso a Pollicino, da Pinocchio a quelle più moderne dei cartoni) hanno tutte una cosa in comune: iniziano e finiscono. Possono essere a puntate, ma poi si concludono. E tutti noi ci guarderemmo bene dall’iniziare il racconto di una storia e poi lasciarlo a metà: il percorso sarebbe incompiuto e quindi, complessivamente, incomprensibile al bambino. Una delle cose più gravi dell’uso smodato della televisione è proprio questa: si fornisce al bambino l’idea che le cose non abbiano alcun senso, poiché spesso gli si permette di guardare un programma solo per farlo stare bravo nel momento in cui noi vogliamo stare in pace, per poi toglierlo dal video, spegnere, quando, sempre noi, reputiamo si debba uscire, fare altro ecc, anche se il film o il cartone non è finito. Il valore di quel programma (e quindi di ogni atto) viene completamente perso e il ragazzo si abitua a fare le cose solo per passare il tempo. Un’apparente libertà (guardi cosa vuoi) nasconde in realtà una violenza enorme e un contenuto educativo devastante. Molto meglio sarebbe delimitare il campo di cosa vedere, quando e per quanto tempo, dargli un senso (anche andando contro le resistenze del bambino), ma poi rispettare la persona e i suoi bisogni.

Anche per la storia scolastica è necessario che il bambino conosca l’inizio e la fine: il concetto di tempo, per esempio, si forma nel bambino a poco a poco e può raggiungere un certo livello solo se viene congiunto e legato attraverso il percorso tra le diverse epoche, fino a giungere ai giorni nostri, alla percezione del tempo e dello spazio della nostra vita quotidiana, degli anni della nostra vita, del secolo in cui viviamo ecc. Solo se il tempo fa la sua strada e giunge alla fine della storia, cioè a noi, si potrà cominciare a coglierne il significato.
Dire “cinquemila anni fa” ha un significato molto generico per un bambino di terza elementare. Tuttavia è importante che egli cominci a giocare con questi concetti, a patto che poi “concluda la storia” e possa rivederla tutta all’indietro, esattamente come rivede all’indietro la storia di Cappuccetto Rosso e finalmente, slegato dall’ansia-emozione del racconto, può cominciare a comprenderne il senso complessivo.
E’ a questo punto, e solo a questo punto, che si potranno ampliare le conoscenze secondo i programmi delle medie.

I programmi Moratti-Berlinguer distruggono tutto questo: i ragazzi di 11-12 anni dovranno ancora “finire la storia”. Con un’aggravante: la prima parte di essa sarà così lontana dalla loro psicologia e dal loro livello intellettuale da risultare completamente slegata da ciò che studiano e incomprensibile: sarebbe come raccontare l’inizio di Cappuccetto Rosso in una sera di ottobre, proseguire a Natale con l’incontro del lupo, arrivare alla nonna mangiata per Pasqua e concludere la storia ad agosto. Risultato: bambino annoiato, demotivato, pronto per non ascoltare più alcuna storia.

E’ esattamente questo il risultato delle idee Moratti-Berlinguer.

La storia che si studia alle elementari è di tipo radicalmente diverso da quella studiata in seguito

In realtà il racconto della storia ha, e deve avere, per il bambino proprio un carattere intermedio tra una favola e la storia nel senso scientifico (per quanto la parola “scientifico” vada usata con cautela). Perché questo carattere intermedio?
Il bambino appoggerà le nuove conoscenze su un retroterra conosciuto (la fiaba, la favola, il racconto fantastico o reale…sono anche per questo fondamentali per i bambini piccoli), ma nello stesso tempo sarà portato dall’insegnante a rompere con la fantasia per calarsi nel reale della “storia storica”.
Per adempiere al suo compito la storia deve conservare alcuni caratteri della fiaba e della favola (la successione ordinata degli eventi, l’inizio e la fine, l’identità di linguaggio) e nello stesso tempo “rompere” con essi.

La fiaba e la favola si situano su un terreno completamente fantastico, ma ciò non va confuso con il terreno astratto tipico della storia (e della geografia). All’inizio il bambino mescola i caratteri fantastici con quelli reali: il superamento definitivo dell’approccio fantastico viene preparato in terza, quarta e quinta elementare solo a patto che al termine della quinta vi sia una rottura completa con l’approccio precedente. Per avere astrazione, come hanno dimostrato gli studi di Vigonskji, non è infatti sufficiente la ripetizione, ma essa va associata alla rottura del soggetto con l’oggetto. In questo caso il soggetto (bambino) deve rompere con l’oggetto (la storia o la geografia, fino a quel momento studiata in modo infantile). Ma per fare questo è necessario poter rivedere l’intero film all’indietro e dargli un senso complessivo.

E’ necessaria una precisazione, specialmente per gli insegnanti.
Quando si dice che è fondamentale affrontare tutto il ciclo storico e tutta la geografia, non si intende affatto che sia necessario affrontare tutti gli argomenti, né approfondirli tutti.
I programmi attuali hanno molti limiti, ma in questo sono saggi e precisi: si tratta di fare i “grandi quadri di civiltà”, di dare una visione organica e collegata, anche facendo già comprendere al bambino e al ragazzo che la storia e la geografia non sono qualcosa di finito, e che il loro studio non finisce mai e può sempre approfondirsi, arricchirsi ecc.
Nessuna preoccupazione, dunque, per l’ “essere indietro nel programma” o per frasi del tipo “non riesco a fare tutto”. Tutto, si sa, solo un cretino può pensare di farlo…
Per noi è invece necessario scegliere gli argomenti sulla base di quelle che sono state le tappe più importanti dell’umanità, ragionare su cosa è fondamentale per comprendere la storia e la geografia e offrire ai ragazzi un primo approccio, sotto diversi punti di vista e con diverse metodologie: è importante il racconto “fiabesco”, perché si aggancia all’interesse e al modo di apprendere del bambino; è importante il fatto eroico e emblematico, perché permette di fissare un argomento e il suo contenuto; è importante un primo approccio alla comprensione delle cause e degli effetti, per far capire che la storia e la geografia non sono solo date e luoghi, fatti e territori; è importante un primo approccio alla ricerca, per far capire i metodi delle scoperte e degli studi e per dare strumenti di apprendimento personale….Sarà compito dell’insegnante equilibrare il tutto.

Parte quinta: La “riforma” e la distruzione del ruolo della scuola

Contenuti, nozioni, nozionismo: una confusione di termini creata ad arte

Tutto quanto esposto fin qui si regge su una questione centrale: l’importanza dei contenuti e delle nozioni per la formazione di una persona libera e indipendente. Questo aspetto ci porta direttamente ad un’altra assurdità che va per la maggiore da alcuni anni, assurdità che ha lasciato interdetti centinaia di migliaia di insegnanti ma che, presentata ancora una volta come “la verità”, nessuno ha mai osato contraddire apertamente.
L’assurdità di cui parlo è condensata in una frase:“Non è importante imparare, ma imparare ad imparare”. A sua volta, questa frase è collegata con la confusione tra nozione e nozionismo, confusione che in realtà è stata creata ad arte per distruggere le conoscenze.

Anche la “teoria” “non è importante imparare, ma imparare ad imparare” (come d’altra parte la confusione tra nozionismo e nozione) è un’altra teoria che si fonda esclusivamente sulla suggestione. Essa “affascina” il soggetto ingenuo e impreparato, rimandandolo a scenari meravigliosi di persone in continuo apprendimento, in ricerca, che possiedono la chiave per comprendere qualunque cosa… In effetti, presa in astratto, questa frase non può che essere sottoscritta. Il problema consiste nel fatto che essa viene contrapposta all’apprendimento dei contenuti e usata per giustificare l’impoverimento dei programmi.
La polemica contro il nozionismo fa il resto: è fin troppo evidente che possedere mille nozioni fine a se stesse non serve a nulla, e fa parte più della psicosi che della cultura. Ma anche in questo caso il castello della suggestione regge solo fino a quando non lo si analizza con un minimo di attenzione in più.

Contrapporre l’“imparare ad imparare” all’imparare, alle conoscenze, alle nozioni è infatti una cosa senza alcun senso.
Sarebbe come dire che “non è importante leggere un libro”, ma “imparare a leggerlo”. Oppure che “non è importante imparare a nuotare, ma imparare ad imparare a nuotare”. Bastano queste due osservazioni per far crollare il castello di carte: in realtà si apprende a leggere leggendo e in modo strettamente legato a quello che si legge, alla comprensione, all’acquisizione delle conoscenze del libro, alle emozioni che ci trasmette, alla logica che sottende ecc.
Allo stesso modo, si impara a nuotare prima di tutto entrando in acqua (nessuno ha mai “imparato ad imparare a nuotare”, né più in generale a muoversi o far sport….), facendo esperienza, ascoltando le spiegazioni dell’istruttore, seguendo un itinerario didattico: lo stile libero con la respirazione viene dopo il saper stare a galla e prima della virata, la quale viene prima del perfezionamento della bracciata e il tutto si affina lentamente grazie al contenuto dell’apprendimento, fino ad arrivare ad un’acquaticità che prima non si possedeva…..e persino a saper salvare una persona che non sa nuotare (una di quelle che avrà “imparato ad imparare”, ma intanto annega….).
Tra l’altro, anche in un apprendimento di tipo pratico come il nuoto o uno sport ci troviamo di fronte alla questione dell’astrazione: più si vuole migliorare e più diventa necessario immaginare gesti e conseguenze, analizzare posture, porsi da un punto di vista esterno a se stessi per “guardarsi dentro”, o forse “guardarsi da fuori”.

Le conoscenze sono strettamente legate all’evoluzione della capacità di apprendimento e più conoscenze si hanno, più si è in grado di acquisirne di nuove, collegarle, elaborarle in modo autonomo. Certo, se le conoscenze si inseriscono sulla persona in modo insignificante (per esempio se si apprendono a memoria delle date senza alcun riferimento, se si studiano poesie senza collegarle a emozioni, riflessioni, significati, se si impara a nuotare come lo farebbe un robot….) allora ci troviamo di fronte al nozionismo fine a se stesso, che portato alle estreme conseguenze assomiglia molto, come si diceva, alla psicosi. In questo risiede la differenza tra nozionismo e nozione-conoscenza. In questo, d’altra parte, risiede tutto il ruolo dell’insegnante e la sua arte.

L’arte di insegnare

L’arte dell’insegnante non è quella di “insegnare ad imparare” in astratto, ma trasmettere conoscenze significative per l’individuo in modo che poi lui, autonomamente e in modo libero, possa scegliere come ampliarle, utilizzarle e, appoggiandosi su di esse e sul metodo con cui ha appreso, acquisisca la capacità di imparare cose nuove.
Imparare ad imparare” è quindi un risultato indiretto di un buon apprendimento, non un obiettivo a se stante, astratto, che si può perseguire senza contenuti. Lo stesso metodo di apprendimento rappresenta un territorio dialettico: da un lato c’è il metodo proposto dall’insegnante, ma dall’altro c’è il modo in cui il ragazzo interagisce con questo metodo, formandosi infine il suo personale.

Il compito dell’insegnante è difficile, sia professionalmente che eticamente. Egli, infatti, deve saper viaggiare costantemente su un confine sottilissimo che lo separa da due pericoli sempre in agguato: da una parte, per dare significato a ciò che insegna e spiega rischia di farsi coinvolgere troppo e passare le sue idee, i suoi metodi; dall’altra, se il suo coinvolgimento nella materia, nell’argomentazione e persino il suo interessamento al ragazzo è troppo basso l’insegnamento risulterà asettico, lontano dal vissuto dell’alunno, estraneo. Quindi diventerà nozionismo.
Il confine segna due territori: da una parte c’è il condizionamento del ragazzo, il suggestionarlo, il non considerarlo individuo indipendente; dall’altro c’è il distacco assoluto, la freddezza, il vuoto delle nozioni quando non corrispondono alla vita.

Perché studiare?

Lo slogan “imparare ad imparare” contrapposto all’acquisizione delle conoscenze poggia la sua suggestione su un altro equivoco: pensare che la scuola debba formare degli storici, dei geografi, degli scienziati, destinati poi, all’università a conoscere, approfondire, ricercare. Nulla di tutto questo: la stragrande maggioranza dei ragazzi non farà storia all’università, né geografia, e solo una parte ridottissima scienze. Pensare di rimandare le conoscenze ad una data da definirsi, all’Università o quant’altro, vuol dire quindi privare i ragazzi, futuri adulti, della formazione di base fondamentale necessaria a qualunque tipo di attività, direi semplicemente per essere adulti liberi e consapevoli.
La storia, la geografia, le scienze, la matematica, la letteratura e tutte le materie studiate nella scuola dell’obbligo e poi alle superiori non devono essere fatte pensando di formare degli storici, dei geografi ecc., ma per fornire a tutti quegli strumenti tipici di una disciplina che sono indispensabili anche per un’altra.
Per esempio: che senso ha diventare storici oggi, se non si conosce bene la teoria di Darwin, e quindi la biologia di base? Ma, d’altra parte, che senso ha diventare fisici o più in generale scienziati se non si conoscono la storia e la filosofia?
E ancora: come si può pensare di studiare filosofia al liceo, se il ragazzo non ha acquisito le conoscenze di base di storia alle elementari e alle medie?
Il collegamento tra storia e geografia, le due materie forse più colpite da Moratti-Berlinguer, è ancora più evidente: non si può comprendere nulla di storia se non si conosce la geografia e per contro è sempre più difficile comprendere la geografia se non si conosce la storia.

Infine, le “riforme” in atto porteranno comunque un danno enorme anche agli studi universitari: sarà impossibile fare vera ricerca se i ragazzi non avranno consolidato le conoscenze di base, se non avranno un quadro di riferimento sufficientemente preciso e dettagliato. Non è un caso che le “riforme” universitarie prevedano proprio di affrontare nei primi mesi e anni gli argomenti oggi tipici dei licei e delle scuole superiori.

Il conoscere: un “prodotto”?

C’è infine un’altra componente su cui si agganciano la suggestione dell’ ”imparare ad imparare” e la polemica contro il nozionismo: il fatto che molte persone non riconoscono in ciò che hanno appreso a scuola un’utilità immediata
Questa componente è direttamente indotta dalla nostra società, dove tutto deve essere spendibile, riconoscibile, monetizzabile.
La realtà è ben differente e riguarda lo stesso concetto di cultura: tutte le conoscenze, anche quelle che apparentemente si perdono e si dimenticano, contribuiscono a formare la persona e a fornirgli strumenti di pensiero sempre più alto e complesso. Ogni conoscenza “serve”, anche quelle che sembrano non servire.
Un caso estremo ci aiuterà a comprendere: l’adulto non ricorda nulla di quello che fece a due o tre anni, eppure quelle acquisizioni sono per tutti fondamentali.

Ma anche accettando il piano pratico, l’utilità delle conoscenze può essere incomprensibile solo se non ci si ferma un attimo a riflettere: per esempio, come orientarsi oggi tra medici, medicine, esami, politiche di tagli alla spesa pubblica e in particolare alla sanità…, se non si è in grado di comprendere, almeno a grandi linee, la biologia, il corpo umano, elementi di chimica, ma anche la storia del servizio sanitario, il perché lo si regionalizza e privatizza, quali interessi ci sono dietro…. Come non farsi “abbindolare” da avvocati, esperti, uomini della pubblicità, stipulatori di contratti ecc., se non si ha una buona cultura e una sufficiente autonomia di pensiero?

Diminuire i contenuti: è l’ideologia dominante che lo impone

L’enorme restringimento delle conoscenze proposto con le riforme non è per nulla una novità nella storia dell’umanità. Ad esso è sempre corrisposta una volontà precisa dell’ideologia dominante. Oggi questa ideologia dominante, come abbiamo visto, è quella della flessibilità, della precarizzazione, dell’individualizzazione del rapporto di lavoro e dell’atomizzazione dei rapporti sociali, della completa dipendenza-assoggettamento alle leggi del mercato.
Questa ideologia richiede la distruzione delle conoscenze, e per farlo ha bisogno dei suoi “teorici” che vanno nella scuole, scrivono libri, prendono soldi tenendo corsi di aggiornamento, citano studi che nessuno conosce e che spesso sono manipolati per fare in modo che i risultati possano essere pubblicati, avere una certa eco, dare punteggio per i concorsi (raccomandati) all’università….. Se poi questi “teorici” citano studi internazionali e, possibilmente, hanno loro stessi un accento straniero, allora risultano più credibili, poiché esercitano maggior suggestione. Ma la suggestione è la loro sola arma: dietro non c’è assolutamente nulla.

L’”imparare ad imparare” è uno slogan coniato ad arte per servire l’ideologia dominante: quello che interessa oggi ad un capitalista non è certo che le persone siano competenti e colte, ma che siano genericamente disponibili a cambiare continuamente lavoro (precario) e quindi ad imparare continuamente da capo le cose, anche in contesti completamente differenti.
E’ questo il significato che l’ideologia dominante attribuisce all’ “imparare ad imparare”: essere disponibili ad adattarsi a qualunque contesto e qualunque sfruttamento. L’adulto che si presenta sul posto di lavoro con delle conoscenze definite, un diploma riconosciuto, delle capacità chiare è una persona che potenzialmente rivendica di lavorare per mettere in atto queste conoscenze, che non accetta di essere sbattuto a fare un lavoro qualunque, che rivendica un’indipendenza intellettuale nel suo lavoro, anche se esso è, magari, semplicemente quello di operaio.
Non è un caso che l’”imparare ad imparare” venga associato alla distruzione dei diplomi riconosciuti su scala nazionale: quello che si vuole creare è una manodopera tendenzialmente ignorante e disponibile, che non abbia punti appoggio per far valere i propri diritti.
L’ “imparare ad imparare” va poi di pari passo con la propaganda a favore dell’ “educazione permanente, per tutto l’arco della vita”. Anche quest’ultima formula si avvale del metodo della suggestione, rimandando ancora ad adulti amanti della cultura, che concepiscono l’educazione come un processo continuo che coinvolge se stessi, gli altri, la società ecc. ecc. ecc..
Nulla di tutto questo. Lo slogan dell’ “educazione permanente” non è per nulla uno slogan: come abbiamo avuto modo di dimostrare con un numero speciale di “Lettere dalla scuola” esso è un programma ben preciso promosso dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) per abrogare i diplomi e i contratti nazionali, rendendo i giovani flessibili e sempre disponibili a frequentare corsi di riconversione sottopagati, senza diritti stabili, con la possibilità di cambiare città, provincia o regione, pena la perdita completa del diritto al sussidio di disoccupazione.
Contro questa sostituzione della scuola, dei programmi nazionali, dei diplomi con l’educazione permanente si stanno organizzando insegnanti, docenti universitari, sindacati e sindacalisti di tutto il mondo: io stesso ho aderito ad una Conferenza Internazionale per la difesa dell’insegnamento pubblico che si terrà a Parigi nel giugno prossimo e che avrà al centro, tra gli altri temi, proprio quello della mistificazione che si nasconde dietro l’educazione permanente.

Conclusioni: Tornare con i piedi per terra

Due semplici osservazioni ci permetteranno di riportare tutti i problemi con i piedi per terra.
Uno: la conoscenza è per definizione contrapposta all’ignoranza: sfido chiunque a dare al termine “ignoranza” un significato positivo. Eppure è proprio questo che teorizzano gli “esperti” che progettano le riforme: auspicare una riduzione delle conoscenze vuol dire teorizzare che l’ignoranza è meglio!
Il giorno in cui la legge Moratti è stata approvata dal Parlamento, il ministro ha dichiarato: “Siamo stati troppo legati allo scritto. La nostra è la società dell’immagine, e non possiamo non tenerne conto” (“La Stampa, 13/3/03).
Se non si trattasse di un ministro che ha appena assistito all’approvazione di una sua proposta di legge ci troveremmo di fronte ad affermazioni molto gravi. Il fatto che sia invece un ministro della Repubblica a formularle risulta semplicemente vergognoso.

Seconda osservazione: la conoscenza è da sempre accostata alla libertà. Più si conosce è più si hanno elementi di libera scelta, di ragionamento, di arricchimento dialettico. Più si conosce e più diventa difficile farsi manipolare.
Tutti lo sanno, più si conosce e più si vorrebbe conoscere: è solo in questo contesto che l’“imparare ad imparare” acquista un significato positivo. Lo slogan trova nella conoscenza e nell’apprendimento la sua unica ragion d’essere e la sua unica possibilità di non essere un vuoto ritornello divulgato per distruggere la scuola e il futuro dei giovani.

Lorenzo Varaldo, maggio 2003

Il “Manifesto per il ritiro della riforma dei cicli e la difesa della scuola pubblica” viene promosso nell’ottobre del 1999 da 500 insegnanti e genitori di Torino, Milano e Lodi. Più di 15.000 insegnanti e genitori di 20 province italiane hanno aderito. Nel rispetto delle tradizioni culturali, pedagogiche, didattiche, politiche, religiose di ognuno, il “Manifesto” si batte per unire più largamente possibile gli insegnanti, i genitori, gli studenti, le organizzazioni sindacali in difesa della scuola pubblica. Il “Manifesto dei 500” ha organizzato in questi anni manifestazioni, assemblee, riunioni pubbliche, conferenze in tutta Italia e ha promosso delegazioni che sono state ricevute in Parlamento, al Ministero e a Palazzo Chigi. Insieme al “Coordinamento insegnanti e genitori” di Roma e Firenze e a rappresentanti di altri gruppi, associazioni, sindacati e partiti di tutta Italia, ha dato vita ad un “Comitato Nazionale di collegamento per la difesa della scuola pubblica”. Tutte le iniziative sono completamente autofinanziate. Contatti: Lorenzo Varaldo, c/o sc. el. “S. Aleramo”, v. Lemie, 48, 10149 Torino. E-mail: [email protected] Sito Internet : http://manifestodei500.altervista.org

 

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