LO STATO, LA SCUOLA E LA PEDAGOGIA: un contributo di Giuseppe Bailone

LO STATO, LA SCUOLA E LA PEDAGOGIA

Dall’autonomia a modello aziendale all’autonomia a modello comunitario?

“Non esiste la pedagogia di Stato, ma l’autonomia scolastica”.

Questa tesi è del ministro Fioroni. Si trova all’interno di un’intervista rilasciata a “Specchio”, supplemento de La Stampa di sabato 9/9/06.

La tesi è polemicamente diretta “alla visione aziendalistica e al dirigismo” della Moratti.

L’aziendalismo morattiano sarebbe l’ultima forma del dirigismo statalistico contro cui la cultura pedagogica cattolica, incardinata sul principio del primato educativo della famiglia, ha sempre combattuto, dall’istituzione della scuola pubblica di Stato ad oggi (non, però, nei decenni dei governi ad egemonia democristiana).

Al modello dell’azienda Fioroni sostituisce quello della comunità e parla della sua esperienza negli scout: “La scuola è una comunità in cammino…….La nostra scuola ha bisogno di governo, non di gestione”.

E’ chiaro che il “governo” a cui pensa è quello della sua comunità di scout, mentre la “gestione” è quella delle aziende morattiane.

Il ministro Fioroni propone e impone una nuova interpretazione dell’autonomia scolastica.

In una nota d’indirizzo ministeriale del 31/8/06, dal titolo Autonomia e innovazione, la parola autonomia compare molto spesso e la legge dell’autonomia scolastica è il testo di riferimento fondamentale, mentre non viene mai citata la garanzia costituzionale alla libertà dell’arte e della scienza e al loro insegnamento.

E’ come se l’autonomia fosse la traduzione in termini aggiornati della libertà culturale e d’insegnamento.

Il ministro comincia col precisare che “va ripensato il modo stesso di realizzare le riforme, che non vanno intese come qualcosa di rigidamente e minuziosamente definito”, “richiedono una interpretazione intelligente e consentono una continua adattabilità”; che l’autonomia non si può “imporla dall’alto, con atti dirigistici, legislativi o amministrativi”.

Alla luce dell’intervista a Specchio è chiaro che il riferimento polemico è alla riforma Moratti.

Non si deve, però, passare “dal centralismo burocratico allo spontaneismo improduttivo” e “vanno definite le competenze del centro che rimangono essenziali”, ma, poi, dedica solo due righe alla necessità di completare le indicazioni nazionali.

Il riferimento all’esperienza negli scout, la denuncia del pericolo del dirigismo e della pedagogia di Stato e del suo opposto “spontaneismo improduttivo” costituiscono il quadro in cui Fioroni propone la sua “interpretazione intelligente” dell’autonomia, in senso comunitarista.

Il ministro parla, a proposito dell’Autonomia didattica, di “comunità professionale” di “principio della collegialità e corresponsabilità che ha nel team o gruppo docente il suo naturale riferimento”.

La didattica, come la pedagogia, è prodotto culturale: non c’è una sola didattica come non c’è una sola pedagogia. Pedagogia e didattica sono campi di confronto e di battaglie culturali: in caso di divergenze all’interno del collegio docenti, le si affronta con il voto, trasformando il confronto culturale in conflitto politico? Chi è in minoranza deve adottare, senza convinzione o contro le proprie convinzioni, le soluzioni maggioritarie? Deve cambiare scuola e andarsi a cercarne una che abbia un POF in armonia con la sua cultura?

L’autonomia, nell’interpretazione comunitarista di Fioroni, è veramente un buon antidoto al dirigismo e alla pedagogia di Stato che, giustamente, Fioroni respinge?

Se ogni scuola si costituisce come comunità educativa, con la sua identità culturale, il suo POF, le sue votazioni su scelte culturali e il conseguente centralismo democratico, non si avranno minuscole scuole-stato con il loro dirigismo e la loro pedagogia di Stato? Avremo sì la fine della pedagogia nazionale di Stato e del centralismo burocratico nazionale, ma anche una frantumazione verso l’anarchia feudale. Se, poi, queste scuole cominceranno ad aggregarsi e a costituire associazioni per affinità culturale, non c’è il rischio di balcanizzazione culturale?

Invece di passare da una versione aziendalistica ad un comunitaristica dell’autonomia, perché non ripensare alcuni punti di quella riforma alla luce delle sue applicazioni e, soprattutto, alla luce dei principi costituzionali?

Invece di passare dalla padella della scuola azienda alla brace della scuola comunità, perché non ripensare quei punti dell’autonomia che si prestano a queste interpretazioni aziendalistiche o comunitaristiche?

Perché non ripensare l’identità culturale che ogni istituto scolastico dovrebbe darsi a fondamento del suo POF, lo stesso POF e la questione dei programmi nazionali?

Si potrebbe cominciare a riflettere sull’esperienza dei nostri padri costituenti: non hanno scritto alcun preambolo alla Costituzione, non hanno definito alcuna identità culturale dell’Italia e solo nel primo comma del primo articolo hanno fatto riferimento al “fondamento”.

E’ il lavoro, l’attività umana più generica, il solo fondamento della Repubblica democratica italiana!

L’Italia, dal primo gennaio 1948, è fondata solo sul lavoro!

Nel secolo precedente, nel 1848, lo Statuto albertino l’aveva fondata sulla “sola” religione cattolica. Il Concordato del 1929 aveva accentuato questa fondazione, dichiarando la religione cattolica fondamento e coronamento dell’istruzione scolastica.

L’Europa ha tentato di definire una sua identità e di scriverla nella sua costituzione, ma referendum popolari importanti hanno respinto quella costituzione e la questione dell’identità non è l’ultima delle ragioni di quel fallimento.

Può ogni istituto scolastico darsi un’identità culturale e fare quello che non è riuscita a fare l’Europa e che i nostri padri costituenti, saggiamente, non hanno fatto?

Oggi il concetto di lavoro è sinonimo d’attività umana e non si presta ad alcuna discriminazione.

Il primo comma dell’articolo 3 vieta come elementi di discriminazione non solo il sesso e la razza ma anche la lingua, la religione e le opinioni politiche, che sono elementi culturali. Neppure la lingua italiana può essere considerata un elemento essenziale dell’essere cittadino italiano. E la lingua è la prima e la più profonda realtà culturale.

La Repubblica non ha una “sua” cultura, ma promuove, difende la cultura e le assicura libertà.

L’articolo 9: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.

Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.

Il primo comma dell’articolo 33: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.

Con la fine della monarchia, lo Stato non ha più una sua religione, non ha più una sua filosofia, non ha più una sua pedagogia, non ha più un suo progetto educativo, ma apre scuole d’ogni ordine e grado nelle quali l’insegnamento è libero nel rispetto delle coscienze.

Perché spingere ogni scuola a definire la propria identità culturale, la propria pedagogia e il proprio progetto educativo? Perché chiudere in quelle definizioni l’apertura al dialogo, al confronto e anche al conflitto culturale che la Costituzione assicura alle scuole dello Stato?

Fioroni può stare tranquillo: contro il pericolo di una pedagogia di Stato e contro il dirigismo pedagogico e didattico c’è la garanzia costituzionale.

Portiamo anche nella scuola lo spirito della nostra Costituzione!

Contro il pericolo dello “spontaneismo improduttivo” il ministro farebbe bene a prendere in considerazione l’invito che da più parti gli viene fatto a ripensare la funzione fondamentale dei programmi nazionali.

Torino 13 settembre ’06

Giuseppe Bailone

Print Friendly, PDF & Email